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Il chulo
di Alejandro Torreguitart Ruiz
Pubblicato su PB5


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Manuel è quello che suona la tromba nel nostro gruppo ed è anche molto bravo. Lavorare non lavora, però. Si arrangia, come tanti. Qualche truffa qua e là, sigari di contrabbando, rum da poco prezzo, turisti coglioni che si fanno abbindolare...
“Lavorare per il governo non serve” dice sempre “che me ne faccio di venti pesos al mese?”.
Preferisce darsi da fare. Una sera che ci troviamo per un concerto mi prende da parte. Ha l’aria di chi deve confidarmi un segreto.
“Mi sono sistemato” fa.
“Hai conosciuto una straniera?” domando.
C’è poca scelta. Da noi sistemarsi vuol dire sposare un turista.
“Meglio” continua misterioso.
“In che senso?”. Meglio è impossibile, penso.
“Sto con Alina” conclude.
“Alina, quella che fa la jinetera?” domando io.
“Proprio lei”.
“Contento tu. Ma lo sai che Alina si ripassa di tutto? Stranieri, cubani con soldi... proprio di tutto”.
“Per questo ti dico che mi sono sistemato”.
“Vorresti dire che sei contento di fare il cornuto?”.
“No, che sono contento di fare il chulo”.
Il chulo. Ecco un'altra professione che ci siamo inventati, o meglio che abbiamo riportato in auge dai tempi di Batista. La Cuba di Fidel fa miracoli. Il periodo speciale aguzza l’ingegno. Chi l’ha detto che non c’è più lavoro? Qui abbiamo i mestieri più fantasiosi del mondo. Fare il chulo, per esempio. Adesso resta poco di quella vecchia figura di protettore in abito bianco e mocassini, sempre elegante e con il sigaro in bocca. Il chulo è un personaggio un po’ romantico che viene dal passato, da un’Avana fatta di case da gioco e posadas. È un cubano che fa innamorare una jinetera e poi vive da parassita alle sue spalle. Un bel lavoro, non c’è che dire.
“Lei è innamorata cotta” mi fa.
“E tu no?”.
Questo è importante. Se il chulo si innamora è finita. Un vero chulo non si innamora mai. Altrimenti vengono fuori un sacco di complicazioni. Gelosie. Tormenti. La vita diventa un inferno. Non è facile vivere con una jinetera, sapere che sta scopando con uno straniero in uno dei grandi alberghi della capitale o in una casa particular, oppure che sta ballando al Copacabana mentre tu mangi riso e fagioli in solitudine. Non è facile per niente. Per questo fare il chulo è un’arma a doppio taglio e non è cosa da tutti.
“Per piacere mi piace. Ma come si fa a innamorarsi di una jinetera? Ci vado a letto quando lei non ha altri impegni. Mi mantiene”.
“Bella vita davvero. Finché dura sei a posto”. Dico poco convinto.
A me l’idea di fare il chulo non è mai passata per la testa e l’opportunità ce l’avrei anche avuta. È che non sono adatto. Mi conosco come sono fatto. Però se lui ci riesce va bene. Tutti i modi per campare sono buoni, non è tempo di fare i moralisti.
“Perché non dovrebbe durare?” chiede Manuel.
“Dicevo così per dire” concludo.
Abbiamo un concerto stasera alla Casa della Cultura di Marianao e siamo già in ritardo. Non è il caso di stare a discutere di certe cose. Dobbiamo ancora passare a prendere Paco e Pablo. Armando ci aspetta là invece, lui abita poco lontano. Ci offrono persino la cena. Pollo fritto, patatine e birra chiara. Non me la voglio certo rovinare per dar consigli a un chulo.

Qualche giorno dopo rivedo Manuel. Abbiamo un altro impegno in una discoteca frequentata anche da stranieri e ci danno pure venti dollari a testa per suonare un po’ di roba tradizionale. Sempre le stesse cose, è naturale. Guantanamera, Me voy pa’ el pueblo, persino Hasta siempre… Si sa che quando ci sono i turisti il repertorio è obbligato. Però pagano e tanto basta.
“Come va?” gli chiedo.
Sono il solo che conosce la storia del chulo, anche se tutti lo sanno che sta con Alina. Lei non è certo una che passa inosservata.
“Bene” fa lui poco convinto.
“Allora la storia dura?” insisto.
“Certo che dura. Lei è sempre più cotta. E io faccio la bella vita”.
È una risposta secca e decisa. C’è anche una punta di risentimento nelle sue parole. Pare che non gli vada di affrontare quell’argomento.
Cominciamo il concerto. Il gerente del locale ha ingaggiato anche un gruppo di ballerine che si danno da fare dimenando il sedere davanti agli stranieri. C’è tanta gente ma pare che gli stranieri pensino soltanto alle ragazze. Guardano, scelgono, pregustano un fuori programma interessante dopo lo spettacolo. Il gerente ha organizzato qualcosa con le ballerine, questo è certo. Noi dobbiamo solo far passare il tempo suonando musica d’altri tempi.
“Non c’è gran soddisfazione a fare spettacoli così” dico a Paco.
“Pagano abbastanza, tanto basta” risponde lui.
“Anche a saltare i pasti c’è poca soddisfazione” sorride Armando.
“Sì, in fondo venti dollari fanno comodo” conclude Pablo.
L’unico che non dice niente è Manuel. Lui non ha bisogno di venti dollari. Ha risolto ogni problema da quando sta con Alina. Fa la bella vita. Buon per lui. Intanto suona la tromba e accompagna la voce di Paco intonando le note di Hasta siempre.
Quasi quasi faccio il chulo anch’io, penso. Pesto forte sulla batteria come se la colpa fosse sua. Lo so che fare il chulo non è cosa per tutti. È un po’ come scrivere e suonare. Bisogna esserci portati. Allora è meglio che continui con le cose che so fare, tanto tra poco mi pubblicano il romanzo e allora altro che chulo...

Rivedo Manuel quasi un mese dopo. È un po’ che non ci chiamano a suonare e io ne approfitto per studiare. Gli esami della sessione estiva sono vicini e tra spettacoli e romanzi da scrivere non è che mi sia proprio ammazzato di lavoro durante l’anno…
Stasera siamo a una festa privata in casa di gente che conosce Pablo, quello che suona la chitarra. Si celebra un fidanzamento, una cosa tra cubani, ci tiriamo fuori un invito a cena e niente di più. Però meglio che niente. E poi ci piace suonare. Qui siamo liberi di fare le cose che vogliamo. Anche un po’ di rock, dopo salsa e merengue, magari non troppo duro perché la gente vuole ballare.
“Sto male” mi dice Manuel a un certo punto della serata.
“Cosa c’è che non va?” domando.
“Devo prendere un po’ d’aria” continua.
“Alla prima pausa ti accompagno”.
Quando la musica si ferma usciamo sul balcone. La casa dove suoniamo è in un condominio di Centro Avana. Ci affacciamo su di una strada stretta e polverosa circondata da palazzi cadenti, poco lontano un cumulo di macerie ricorda che da queste parti qualche anno fa è passato el niňo. Manuel sta proprio male. Ha il volto tirato, lo sguardo perso nel vuoto, pare che tutto quel che sta facendo non abbia senso. Persino suonare che da sempre è la sua unica passione.
“Cosa ti succede, Manuel?” chiedo.
Lui non risponde. Continua a guardare fisso nel vuoto.
“Quella puttana…” mormora.
Sta parlando di Alina. Ci vuol poco a capire.
“Mai una sera che stiamo insieme, che mi venga a sentire quando suono, che usciamo a ballare. Ha sempre da fare. Impegni. Stranieri. Io non conto niente per lei” continua.
Continuo ad ascoltare Manuel in silenzio. Lui tira fuori ancora tutta la sua amarezza nei confronti di Alina che lo trascura. Non so che rispondere, in questi casi è meglio ascoltare in silenzio. Non vorrei complicare le cose. Manuel è innamorato, purtroppo. E quando ci si innamora di una jinetera è la fine.
“E poi ha detto che mi vuol lasciare perché sono troppo geloso e lei vuole la sua libertà” conclude.
Manuel ha il volto rigato dalle lacrime. Piange. Lo vedo distrutto da un dolore che ho provato spesso e so quanto si stia male. Magari non per una jinetera, però sono stato innamorato anch’io di persone che mi hanno fatto soffrire. Brutta bestia l’amore. Pare che non se ne possa fare a meno, però.
“Tu non puoi capire” mi fa.
Certo che capisco, invece. Se non parlo è perché c’è poco da dire e soprattutto quel che direi non servirebbe molto a Manuel.
A fare il chulo bisogna esserci portati, caro mio. E di Pedro Navaja ne nasce uno ogni cent’anni, che Pedro Navaja era un chulo vero dei tempi di Batista, uno di quelli che lo vedevi da lontano che era un chulo. Scarpe nere sempre brillanti di ceretta, vestito immacolato, baffi arricciati e sigaro in bocca. Un po’ come scrivere. C’è in giro tanta gente che scrive, compreso me, anche se di Lezama Lima in giro se ne vedono pochi. Tanta gente che riempie fogli di cose inutili, che non sa cosa dire. A parte Gutierrez, via.
Però queste cose mica gliele dico. C’è il caso che si butti dal terrazzo di quell’appartamento in Centro Avana, tanto è disperato. Sfodero una sfilza di luoghi comuni, quelle cose che si dicono in questi casi, tipo che Alina non lo merita e che di donne all’Avana è pieno, basta guardarsi intorno e che fare il chulo non è cosa per lui, bisogna esserci tagliati. Manuel pare capire e un po’ si tranquillizza.
“Grazie, sei un amico” mi fa.
Rientriamo in casa e continuiamo a suonare. La serata va avanti senza sorprese. Concludiamo con un po’ di rock americano, ci sono parecchi ragazzi che ce lo chiedono. Bene, almeno mi sfogo a picchiare duro sulla batteria. Manuel dà fiato alla sua tromba e sembra sereno. Gli altri hanno capito poco di quel che è successo. Si va avanti così sino alla fine. Lasciamo la festa che è quasi mattino. Anche domani non si studia e non si scrive. Tanto per cambiare.

© Alejandro Torreguitart Ruiz







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dal 2003-01-01
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