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Viaggi sporchi questi erano i nuovi modi di viaggiare dentro lo spazio cerebrale dello spazio, Milioni di piccole, e nello stesso tempo grandi astronavi erano partite l’anno era il 1955 il 13 di ottobre Hitler aveva vinto la sua guerra il Mondo come lo conosciamo noi era scomparso da un pezzo. Non solo barbarie ma un ritorno alle origini si era sviluppato dopo la caduta dell’Inghilterra con tutti gli alleati. Americani in testa. L’Europa era un’immensa e sterile pianura radioattiva, la forza della pazzia aveva fatto il suo corso. Le barbari civiltà avevano fatto presa nella popolazione. Sotto le montagne americane le ricerche verso l’ultimo viaggio si erano accelerate. Piccoli siluri di grigio metallo erano stati lanciati verso il nulla pochi eletti avevano preso parte alle selezioni, uno di questi stava fumando. La sua barba da tagliare oramai da diversi giorni diceva che era depresso. Aveva gli occhi rossi come fosse l’interprete disperato di un vecchio film. Uno di quelli che ogni tanto vedeva nel video inserito nella parete autorigenerante. Era solo, maledettamente solo. Fino a pochi giorni prima, aveva vissuto assieme agli altri. Vicini a lui una bottiglia di alcolico duplicato di un duplicato, di un duplicato… terrestre un whisky tal Jack Daniel’s. 1 Era ottimo, come tutti i duplicati che si ottenevano. Avevano lavorato bene quelli della sezione chimica, peccato, che non ci fossero più. Loro erano stati i primi a morire dopo circa sette anni dall’ultimo risveglio, quello definitivo. Di quel viaggio negli Universi alla ricerca disperata di un qualche cosa che avesse dato un senso alla vita dell’umanità, rimaneva ben poco. Praticamente si era già chiuso un giorno lontanissimo, quando partirono. Quel giorno che veniva ricordato da loro, l’ultimo equipaggio quando si raccontavano le leggende della Terra che si stava esaurendo soffocata dai suoi gas. Era stata l’ultima missione voluta e possibile da tutti gli scienziati. Trovare il senso dell’esistenza. Per questo partirono…per questo si svegliarono, e del senso dell’esistenza che non c’era, in quella zona di ricerca dell’universo non trovarono nulla. Bill pensò che era quello che ci meritavamo, quello che avrebbe portato l’astronave del tempo “Metropolis” esattamente a quello che gli scienziati terrestri oramai morti e sepolti assieme alla loro civiltà, avevano predetto. Quello che dovevano trovare era una zona , l’ultima zona dell’universo che avevano chiamato “la città delle anime” Ma di tutto questo non gliene sbatteva proprio più nulla . Era solamente solo a migliaia o forse milioni di anni luce dalla Terra, stava bevendo un altro whisky il bicchiere era ancora vuoto, stava ascoltando la musica di un vecchio complesso che migliaia, decine di migliaia d’anni prima di adesso aveva suonato sulla Terra, i mitici Pink Floyd, un brano stava riempendo la sala dell’astronave Metropolis, e Bill l’ultimo umano aveva deciso che non esisteva l’anima…non l’avevano trovata neanche nella zona dove doveva esserci. Dentro se stesso. Si alzò si fece una doccia, si rase la barba, adesso gli era chiaro cosa fare. Si avviò verso l’uscita, entrò nella camera di decompressione disattivò i controlli spinse senza rimpianti la leva termica che apriva verso lo Spazio esterno nero come il nulla. 2 Mori in meno di un istante…le porte aperte davano un fascio di luce gelata verso lo Spazio scuro… soltanto una musica e delle voci melodiche uscivano dalla porta a pressione stagna. Peccato si era un peccato. Nessuno più avrebbe sentito i Pink Floyd che stavano suonando come sempre magnificamente, il brano Time.
©
Claudio Zago
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