Phandahara
Candar aveva scavato per tutta la mattinata all’ombra pallida e arroventata di un telo tenuto su da quattro pali piantati nella sabbia, ma non se ne curò più di tanto, finalmente aveva trovato quello che cercava. Passò le dita tremanti sulla superficie appena liberata rimasta sepolta per secoli.
Battendo con la piccola pala gli giunse un’eco cavernosa che gli risuonò nelle orecchie come una dolce musica: là sotto doveva esserci una cavità. Risalito di corsa lungo il ripido pendio dello scavo aveva aperto il borsone appeso al fianco del suo dromedario, era tornato portandosi dietro scalpello e martello, poi cercando una posizione comoda aveva cominciato a picchiare con furia incurante del sudore che gli colava negli occhi.
Finalmente dopo una buona mezz’ora era riuscito ad aprire un varco. Si era lasciato calare all’interno appeso a una fune nella luce tremolante della lampada a carburo che gli brillava sulla fronte come il disco di un piccolo sole.
Dentro l’aria sapeva di stantio, ma non costava fatica respirarla, anzi là sotto faceva quasi freddo, un freddo che entrava nelle ossa e le gelava rallentando i movimenti, un brivido che trasformava ogni ombra in forme spettrali, come se stesse violando un luogo sacro.
Da una finestra sfondata s’era infiltrata della sabbia, ma per il resto l’ambiente sembrava pressoché sgombro.
Era convinto che prima o poi sarebbe stato punito per quello che faceva, ma non aveva scelta, quello era il suo lavoro, la sua unica fonte di sostentamento, sollevare polvere e rubare al passato i suoi segreti.
L’interno sembrava ancora, come secoli prima, l’avevano lasciato i suoi abitanti. C’erano delle poltrone parzialmente ricoperte dalla sabbia e mobili notevolmente deteriorati. Poi illuminò schermi vuoti, qualcuno sfondato, altri ancora intatti anche se non sapeva a cosa potessero mai servire quelle superfici di cristallo collegate ad apparecchiature ancora più strane. Ma questo non costituiva un gran problema. Era interessato in particolare a piccoli oggetti da poter rivendere al mercato nero, come soprammobili, bigiotteria o quando era fortunato gioielli. Prese tra le mani un piatto dove erano raffigurati dei guerrieri con lunghe spade e lance durante una battaglia, poi fu attratto da una statuetta in bronzo: una giovane donna seduta con le gambe incrociate e i capelli sciolti lungo schiena. Gli sembrò molto bella. Ne avrebbe ricavato parecchi dinari. Mise tutto nella grossa sacca che si portava a tracolla, insieme a una piccola bambola in ceramica, e a una coppia di uccelli in vetro dai colori sgargianti. Era stato fortunato, quel bottino gli avrebbe fruttato sicuramente un bel gruzzolo.
Prima di andarsene notò una vetrina piena di libri. Aprì il mobile, ne prese uno e cominciò a sfogliarlo delicatamente. Sembrava ancora in buone condizioni. Un colpo di fortuna insperato. Erano tutti quanti di ottima fattura, rilegati in pelle dai titoli incisi con lettere doro. Fece un salto di gioia, quel locale valeva una fortuna, il ritrovamento che aveva sempre sognato. Purtroppo non poteva portare via tutto, il dromedario era già stracarico. Lesse i titoli sulla brossura. La lingua in cui erano scritti era molto simile alla sua. Ne scelse uno di storia intitolato "2001 – 2100 il secolo tragico". Gli dispiaceva dover lasciare là tutto quel ben di Dio ma non voleva dare nell’occhio, in teoria avrebbe dovuto denunciare la scoperta alle autorità le quali avrebbero poi pensato a una ricompensa e a far piazza pulita facendo sparire ogni cosa. Ma di quelle misere ricompense non sapeva che farsene, e poi quei reperti erano particolarmente ricercati oltre confine, proprio da quelle tribù con cui erano in guerra fin dalla notte dei tempi.
Dopo aver nascosto con cura i reperti nei grossi borsoni, cominciò a ricoprire lo scavo, cancellando per bene qualsiasi traccia. Aveva lasciato solo un picchetto come segnale. Faceva conto di tornare presto: quella sarebbe stata la sua miniera per una lunga pezza.
Viaggiò tutto il giorno in groppa al dromedario, poi verso sera preparò il campo. Chiuso nella piccola tenda alla luce della lampada a olio cominciò a leggere quel libro che tanto lo incuriosiva. Non era il primo libro che trovava, anche se nella maggioranza dei casi erano in pessime condizioni, oppure trattavano argomenti incomprensibili, fitti di formule, in altri c’erano personaggi dalle vite avventurose, in altri ancora aveva scorto meravigliosi paesaggi di un mondo che doveva essere nascosto in chissà quale angolo della terra.
Ma quello era il primo libro che parlava della loro storia. Lesse tutta notte come se una febbre intensa lo stesse divorando. Capì che le fotografie piene di paesaggi verdeggianti, che aveva visto anche in altri libri, non venivano da alcun luogo remoto, ma si trattava degli stessi posti che attraversava tutti i giorni in groppa al suo dromedario. Vi si parlava di una guerra, di un terribile scontro tra le due principali religioni che dominavano il pianeta, una religione tollerante e dotata di armi termonucleari e l’altra integralista e sottosviluppata. L’integralismo sembra essere diventato la piaga di quel tempo e a poco a poco anche le nazioni più arretrate erano riuscite a dotarsi di armi nucleari sempre più potenti. A un certo punto quello che allora chiamavano occidente aveva reagito, scatenato un conflitto senza quartiere, che in poco tempo, sempre in nome di Dio aveva portato al disastro generale. Era stato un conflitto terribile, durato più di un secolo, che oltre alle loro civiltà, con le ultime bombe molto più sofisticate e potenti, aveva sconvolto il clima dell’intero pianeta causando la desertificazione di interi continenti.
Adesso finalmente gli era chiara l’inimicizia che continuava a protrarsi tra il suo popolo e quell’altro dalle tradizioni tanto diverse. Anche rintanati nelle poche oasi che l’immenso deserto di Phandahara offriva, continuavano a combattersi sempre in nome di Dio e dei suoi dogmi assoluti.
Così comprese che quella che un tempo era stata una ricca e rigogliosa pianura con paesi e città, macchine volanti, strade su cui correvano veloci i loro mezzi, non rimaneva altro che un cumulo di sabbia rovente. Poi all’ultimo capitolo lesse che quando ormai la guerra aveva reso la vita impossibile si parlava di una scoperta sensazionale che aveva consentito alla maggioranza degli ultimi superstiti di lasciare quel mondo ormai devastato. Erano state costruite numerose basi per abbandonare il pianeta. C’era una mappa che indicava la loro localizzazione; la più vicina si trovava dall’altra parte del deserto, al di là della zona morta che divideva il loro mondo in due. Guardò la data di stampa del libro, risaliva a centocinquanta anni prima.
Il giorno successivo, verso sera, Candar raggiunse la sua oasi: una valle disseminata da palme e un gruppo di case costruite su più piani che allungavano ombre contro un dirupo levigato dalla sabbia. Negli ultimi raggi del sole le case intonacate da spessi strati di calce brillavano di un candore quasi surreale. Candar s’infilò negli stretti vicoli, scartando ora da una parte ora dall’altra per sfruttare ogni brandello d’ombra, ma il sole rasentando muri e scavalcando pareti ricompariva ogni volta impietoso: anche se ormai era basso sull’orizzonte e sembrava aver perso la sua forza.
Dopo le stradine affollate da ragazzi vocianti, gli unici che sembravano indifferenti al caldo soffocante, finì in una piazza circondata da tozze palme. Oltre le palme si aprivano teatri e locali protetti dall’ombra di ampie vele bianche sotto cui si ammassavano tavoli e piste da ballo improvvisate. Candar imboccò un vicolo secondario fino a raggiungere la locanda Arsura, legò il dromedario accanto alla finestra così da poterlo tenere d’occhio anche dall’interno. Il locale era ampio con numerosi tavoli affollati da uomini e donne che fumavano e bevevano. L’aria era mossa da grossi ventilatori caricati a molla appesi al soffitto. Si fece spazio per raggiungere il banco e ordinò una birra. Gli venne servita dentro un boccale in terracotta che trasudava umidità, la trangugiò tutta d’un fiato. Sentì la stanchezza tramutarsi in una sorta di rilassato torpore mentre si adagiava sullo sgabello guardandosi attorno come se cercasse qualcuno. Poi finalmente la scorse. Xania, era di spalle, stava parlando con un avventore magro dalle sopracciglia folte, la faccia scavata e gli occhi ingannevolmente mobili. Ebbe l’impressione che lo sconosciuto gli avesse lanciato un’occhiata furtiva come se lo conoscesse, ma era stato solo un attimo. Poi Xania si girò e gli fece un gran sorriso. Dopo pochi istanti salutò il suo interlocutore e si diresse verso di lui.
Candar era tutto raggiante mentre l’osservava avvicinarsi e lei capì subito, così si adagiò comodamente sullo sgabello accanto, con la tunica in lino che si apriva lasciando scoperta una coscia brunita. Sebbene fosse sulla quarantina era ancora una donna attraente. Forse l’unico uomo che aveva respinto era stato lui, "con i bambini non mi ci metto" aveva detto, ma se ho quasi diciotto anni aveva ribattuto Candar, lei lo aveva dissuaso con una risata piena di sarcasmo. Così il sapore di una donna non lo conosceva ancora e questo era un suo gran cruccio.
"Ti offro una birra." Le disse Candar, "L’altro ieri ho compiuto diciotto anni, ormai sono maggiorenne" le sorrise insinuandosi con lo sguardo fin dove il tessuto lo permetteva. Lei rise sempre con quell’aria enigmatica buttando indietro i lunghi capelli scuri.
"Allora auguri, come è andata oggi?"
"A meraviglia, ho trovato un sito stupendo, il migliore che mi sia mai capitato." Poi si girò verso la finestra dove spuntava la testa del suo dromedario "Avrei delle cose da farti vedere."
"Va bene allora possiamo andare a casa mia."
"Chi era quello tipo con cui stavi parlando?" Non riuscì a trattenersi Candar
"L’ho conosciuto stasera, dice di essere un appassionato di archeologia, mi ha chiesto se avevo degli articoli che potevano interessargli. Ma ho tergiversato, devo stare attenta, ho finto di non sapere niente anche se mi ha mostrato un bel gruzzolo."
la casa di Xania rispecchiava la sua personalità, accogliente e spigolosa allo stesso tempo. Si accomodarono su bassi cuscini sorseggiando del tè. Poi Candar mostrò i reperti che rinvenuti quel mattino.
"Notevoli" disse lei alzando un sopracciglio
Contrattarono per una buona mezzora sul prezzo alla fine Candar esausto cedette sull’ultima offerta di Xania. Duecento dracme. Poi le mostrò il volume in pelle rilegato.
"Per questo sarei disposta a darti anche cento Dracne." Disse Xania rigirandolo tra le mani poi accarezzando le pagine mentre le sfogliava.
"Niente da fare" ribatté Candar. "Dopodomani si apre il mercato di Alkabar. So che tu hai degli agganci, ne potrei ricavare parecchio di più."
Xania rimase in silenzio per un po’ "E io cosa ci guadagnerei?"
"Se mi indichi la persona giusta questa è per te." Fece estraendo una statuetta con due germani in vetro dai colori sgargianti che planavano ad ali spiegate su una pozza d’acqua.
"Mai visti uccelli del genere."
"Neanch’io," rispose Candar. "Probabilmente una specie estinta, pertanto valgono ancora di più, inoltre ti darei una percentuale, sono sicuro di ricavare almeno ventimila dracme dal libro, il dieci per cento sarebbe per te."
Xania non ci stette a pensare troppo "Solo perché sei tu." Si decise alla fine. "Conosco un rivenditore si chiama Elibar, puoi andar tranquillo, è in contatto con alcuni ricchi sceicchi Muslim. La sua bancarella si trova accanto alla chiesa di Santa Maria. Ha un piccolo negozietto proprio lì nei paraggi, nel retrobottega tratta gli affari riservati, devi dire che ti mando io, poi estrasse un bigliettino e lo firmò. Mostragli questo al resto ci penserà lui."
Rimasero d’accordo così, e quando si salutarono, dalla contentezza Candar quasi la baciò sulla bocca, ma lei girò leggermente il viso e così le sue labbra si trovarono appoggiate su una guancia dalla pelle morbida che sapeva d’assenzio e lavanda.
Quando Candar se ne fu andato, Xania tornò di nuovo al locale Arsura incontrò lo stesso uomo di poco prima che gli disse di chiamarsi Omar. Poi insieme andarono a casa sua dove lui le pagò i reperti appena trovati da Candar duemila dracme non prima però di essersi fatto dire quali altri reperti avesse trovato Candar e dove fosse diretto il giorno seguente.
Omar si raggiunse tutto soddisfatto la camera d’albergo dove ad aspettalo c’erano altre tre persone.
Spie della Mezzaluna infiltrati nell’Ecumene volevano bloccare il traffico illegale di reperti che alcuni ricchi sceicchi intrattenevano con i contrabbandieri. Un’operazione di spionaggio che avrebbe dovuto porre termine a tutti quei documenti che tendevano a minare la loro storia e le loro leggende alla radice, contraddicendo quello che era scritto nel Libro Sacro. Quei documenti erano come un veleno che stillato in piccole ma letali dosi tendeva ad accumularsi con effetti imprevedibili.
"Allora com’è andata?" Chiese Quintar stando seduto sul letto osservando la borsa in pelle rigonfia che Omar portava a tracolla.
"Ottimamente, ottimamente." Rispose con aria sostenuta e un sorrisetto malevolo nascosto sotto i baffi. Provava un gusto irresistibile a tenerli sulle spine. "Dai non fare lo scemo raccontaci" Intervenne Damar che interrotta la preghiera aveva cominciato ad arrotolate il tappetino.
"Sai che è pericoloso, non dovresti pregare mentre ci troviamo in territorio nemico" lo riprese Omar. "Dobbiamo comportarci allo stesso modo dei locali. Se qualcuno ti vede è la fine."
"E chi vuoi che ci veda chiusi qua dentro."
"Qualcuno potrebbe spiarci" poi continuò. "Sono riuscito ad agganciare Xania, gran bella donna, mi ha venduto questi." estrasse quattro cartocci li srotolò con malevola lentezza.
"Quanto ti sono costati." Lo interruppe Bargan che lo osservava con quello sguardo tagliente tanto simile al suo naso aquilino.
"Duemila dracme."
"Cosa? Duemila dracme per quelle quattro statuette." Continuò. "Spero che non sia tutto"
"Infatti non è tutto" si affrettò temendo il suo sguardo indagatore. "E’ stato l’unico modo per farla parlare, per quella donna contano solo i soldi. Candar ha trovato un libro, un libro proibito, e lo vuol vendere al mercato nero, dopodomani ad Alkabar probabilmente a qualcuno dei nostri."
"Bene, bene" Fece Bargan
"Lo cattureremo appena partito." Si fregò le mani Quintar
"Invece no, ci limiteremo a seguirlo, voglio beccare l’intera organizzazione" tagliò corto Bargan. "Mi interessa in particolar modo scoprire chi dei nostri sta facendo il doppio gioco, pertanto niente scherzi fino a nuovo ordine."
Gli altri annuirono in silenzio senza controbattere, sapevano quanto poteva essere pericoloso contraddire Bargan, e poi in fondo aveva ragione, perché accontentarsi di un pesciolino quando potevano catturare l’intero banco.
Candar andò da sua madre. Quando arrivò l’abbracciò tutto felice e poi la baciò mostrandole il mazzo di banconote, "L’ultimo ritrovamento mi ha fruttato duecento dracme." le disse orgoglioso.
Poi ne contò cento e allungò una mano verso di lei. "Ecco questi sono per te. E se andrà bene ce ne saranno molti di più." Esultò
Suo padre era morto parecchi anni prima e toccava a lui provvedere alla madre e alla sorella.
La madre lo guardò preoccupata. "Non ti accontenti mai vero?" Fece severa
"Mamma ho trovato un reperto che vale una fortuna."
"Che genere di reperto?"
"Un libro in perfette condizioni che parla della nostra storia, l’ho letto, se trovo l’acquirente giusto saremo ricchi."
"Scommetto che lo vuoi vendere al mercato nero, magari a un Musami, sapendo che per loro queste cose sono proibite."
"Ho un aggancio sicuro, se tutto va bene ci saranno ventimila dracme tutte per noi."
"Non esistono agganci sicuri. E poi sai che è pieno di spie."
"Se vuoi guadagnare, qualche rischio lo devi pur correre."
"Ho sempre paura che ti possa capitare qualcosa."
"Ma dai mamma conosco bene il mio lavoro."
La faccia corrucciata della madre lasciò il posto a un ampio sorriso, in fondo era così felice di averlo lì con lei per un’intera giornata che tutti le sue preoccupazioni svanirono come d’incanto. Lo abbracciò teneramente. "Mi raccomando, sii prudente. Vieni di là, sarai affamato, ti preparo qualcosa da mangiare.".
Uno spolverio di particelle luminose che fluttuavano nell’aria illuminò le palpebre chiuse di Candar. Stropicciò gli occhi riparandosi con una mano dal raggio di sole che filtrava dagli scuri. Prima o poi avrebbe dovuto decidersi a ripararli, ma rimandava continuamente, in un certo senso gli quel raggio gli tornava comodo, altrimenti sarebbe rimasto a letto tutta mattina, dovevano già essere le dieci passate ed era ora che si decidesse ad alzarsi.
Dopo aver fatto colazione e salutato sua madre si recò al mercato del bestiame. Girovagò tra recinti brulicanti di capre, e pecore. Un poderoso toro da monta era legato per le narici a un palo e raschiava con una zampa il terreno sbuffando in continuazione. Intorno una gran confusione d’uomini faceva a gara a chi urlava più forte per poi zittirsi di colpo, tutti quanti con gli occhi fissi sul banditore. Dalle vie affollate e saliva un rumoreggiare sommesso, a volte sormontato da un qualche schiamazzo che subito si spegneva. Provenivano da gruppi di acquirenti e mercanti che con una cocciutaggine pervicace continuavano a contrattare sotto ombrelloni improvvisati. Per fortuna una leggera brezza smuoveva le vesti portando un po’ di refrigerio e mitigando l’odore acre di stallatico.
Quando arrivò al comparto dromedari rallentò e cominciò a osservare con cura gli animali esposti legati lungo una staccionata. Uno in particolare attirò la sua attenzione, sembrava proprio una gran bella bestia, la migliore dell’intera partita. Gli girò attorno controllando le zampe, tastando la consistenza della gobba e poi analizzò i denti, ma senza farsi troppe illusioni, chissà quanto avrebbe chiesto il proprietario. Era un animale ancora giovane e vigoroso, proprio quello che gli serviva, ormai il suo vecchio e fidato dromedario reggeva a stento i lunghi viaggi. Se riusciva a concludere l’affare quel vecchio rudere lo avrebbe regalato a sua sorella che tanto oltre al villaggio più vicino non andava.
Un tipo anziano dalla lunga barba accompagnato da un giovanotto tarchiato gli si avvicinò "Gran bella bestia, vero? Ha solo tre anni e può fare centinaia di chilometri senza bere un litro di acqua."
"Niente male. Quanto vuole?"
"Almeno centocinquanta dracme."
"Quaranta e concludiamo l’affare."
Il proprietario scosse la testa ridendo "non se ne parla nemmeno, centoventi."
"Cinquanta." Rilanciò Candar più per scherzo che altro, sicuro che a meno di cento dracme non sarebbe sceso.
"Centodieci." Fece l’altro ultimo prezzo prendere o lasciare.
Candar si strinse nelle spalle "Settantacinque e non un dinaro in più" azzardò, girandosi pronto ad andarsene
L’altro rimase silenzioso scuotendo la testa.
Comunque ci aveva provato, Candar aveva già fatto i primi passi quando il vecchio lo richiamò "Va bene, vada per settantacinque" disse alla fine.
A Candar non sembrava vero, prima che il vecchio ci ripensasse contò i 75 dinari e li passò al ragazzo che tutto sorridente aveva allungato una mano.
"Come si chiama?" Chiese Candar tenendo il dromedario per la briglie prima di andarsene. "Zurka, Zurka si chiama, Zurka il temerario." Poi scoppiarono entrambi a ridere. "Ah sì dimenticavo, buona fortuna." Dissero prima di scomparire tra la folla.
Candar era tutto contento, aveva fatto veramente un ottimo affare, era stato fortunato, con Zurka avrebbe potuto prendere anche una parte dei reperti che teneva nascosto in cantina e venderli su una bancarella improvvisata che magari non desse troppo nell’occhio.
Il giorno seguente dopo sette ore di cammino in pieno deserto, appena risalita una duna, sulla pista che conduceva ad Akabar, Candar si accorse che l’orizzonte era svanito, al suo posto un pesante drappo turbinante s’innalzava toccando l’estremità più alta del cielo; si trattava di una tempesta di sabbia e tra poco l’avrebbe investito lasciandolo là solo, accecato, nel buio, senza più alcuna possibilità di seguire la pista. Candar ordinò al suo dromedario di fermarsi lì dov’erano, non c’era tempo per cercare un riparo, doveva scavarsi un rifugio direttamente nella sabbia e infilarsi sotto un telo e aspettare. Ma il dromedario con gli occhi ancora più spaventati dei suoi non sembrava dello stesso parere, prima scalciò, e poi con un lungo lamento partì al galoppo nella direzione opposta, alla ricerca di un’impossibile fuga.
"Fermati, fermati" Urlò Candar tirando le redini con tutte le sue forze. Ma il dromedario, spronato da un terrore ancestrale, non ne volle sapere, anzi accelerò la sua andatura "bastardo, farabutto, a te e quell’imbroglione che t’ha venduto" gridò a squarciagola Candar tenendo una mano avvinghiata al pomello della sella, le gambe serrate, per non essere disarcionato. "Ferma, ferma bestiaccia." Gli intimò di nuovo cominciando a tirare gran pugni su quel groppone immondo, le redini ormai sfuggite di mano trascinate sulla sabbia.
Ma Zurka nella foga si era messo a scalciare come un mulo, e tra un sobbalzo e l’altro, rotti i legacci delle grosse borse appese ai fianchi, aveva cominciato a disseminare tutti i suoi averi in giro formando una lunga scia zigzagante che si dipanava subito dietro di loro, finché anche la cesta, quella più preziosa, quella che racchiudeva i reperti raccolti in mesi e mesi di lavoro, e pronti per essere venduti, si ruppe e rotolò lungo il pendio di una duna. Solo il libro che portava nello zainetto sulla schiena si salvò
Candar ormai disperato, estrasse il lungo pugnale ricurvo dalla fascia che gli cingeva la vita minacciando d’uccidere il dromedario lì sull’istante se non si fosse fermato subito, teneva il grosso pugnale in alto perché Zurka lo vedesse, ma quello se ne fregò, i suoi occhi erano tutti per la tempesta, e poi sapeva che Candor non l’avrebbe mai accoppato; senza di lui, appiedato nel bel mezzo del deserto non aveva scampo. Così Candar alla fine si ridusse a supplicare Zurka, a parlargli come si fa a un amante riottosa, con voce dolce come se sotto di lui non ci fosse una bestiaccia immonda, ma la più affascinante fanciulla del mondo che non intendeva ragioni, e così per convincerla aveva cominciato a promettergli paramenti d’oro, gioielli grossi come meloni, cene a base di fieno aromatico, mandorle croccanti, e quintalate di avena spruzzata con melassa di canna, ma quando si accorse che quello neanche davanti allo zucchero di canna si scomponeva anzi continuando più spedito di prima Allora Candar accecato dall’ira, la bocca completamente spalancata, si tuffò in basso stringendogli il collo con tutte le sue forze che aveva, cominciando a dargli gran morsi, con l’unico risultato di trovarsi la bocca piena di peli puzzolenti. Fu così che la valanga turbinante li investì; Candar artigliato sul groppone della povera bestia, che sputava peli, e il dromedario in preda al panico, lanciato in una folle corsa, convinto che un enorme leone del deserto se lo volesse mangiarlo vivo.
Anche le quattro persone che stavano inseguendo Candar imprecarono. In mezzo a quella tempesta rischiavano di perdere le sue tracce. In lontananza Candar era solo un puntino ballonzolante, che invece di riparasi, aveva preso a galoppare a tutta birra, come se si fosse accorto di essere inseguito.
Quintar, il più anziano ordinò, con il viso ancora più scuro e scavato, di fermarsi e cominciare a preparare un riparo.
La tempesta si spense così com’era iniziata mentre il sole stava tramontando. Candar tirò fuori la testa dalla sabbia, si spazzolò i capelli con una mano, sputò più volte continuando a sentire granelli scricchiolare sotto i denti. Fissò la grande palla arancione che, diffratta dal sottile pulviscolo che ancora aleggiava in sospensione, si era gonfiata a dismisura e ora se ne stava là beffarda e indifferente a galleggiare come un gigantesco pallone aerostatico su uno sterminato mare di sabbia. Tirò le redini che aveva tenute ben strette nella mano per tutto il tempo della bufera, ma dall’atro capo non sentì alcuna resistenza, con movimenti scomposti le recuperò, tra le dita gli rimasero solo due cime di cuoio tutte rosicchiate. Rivoltando il telo e la sabbia che lo ricopriva, scattò in piedi gemendo dal terrore, poi raggiunta la cresta di una duna si girò in tutte le direzioni chiamando a squarciagola il nome di Zurka, ma l’ultimo richiamo gli rimase strozzato in gola, di Zurka neanche l’ombra, se n’era andato.
Era la fine: appiedato nel bel mezzo del deserto, senz’altro che i vestiti, uno zainetto e dentro un inutile e pesante libro, non aveva scampo. E non poteva incolpare che sé stesso perché a quanto pare aveva comprato l’unico dromedario che temeva le tempeste di sabbia, adesso capiva il motivo per il quale il vecchio proprietario era sembrato così soddisfatto dell’affare.
Un’onda fredda come un’assenza cominciò a scendergli lungo le membra drenando tutto il sangue fino a lasciarlo esangue, senza forze, in ginocchio, il labbro inferiore che tremava, mentre le lacrime gli rigavano le guance, abbassò la testa: senza dromedario, senz’acqua, perso nel bel mezzo di un deserto, lo aspettava una fine terribile. "Non è giusto" riuscì a sussurrare e rivide sua madre tutta fiera che lo abbracciava e lo baciava per i suoi diciotto anni, non è giusto ripeté estraendo il grosso pugnale, la lama affilata appoggiata al collo.
Fu proprio in quel momento mentre il sole alle sue spalle lanciava l’ultimo raggio, che vide un minuscolo punto verde quasi oltre l’orizzonte. Piantò il coltello nella sabbia e si alzò di scatto, ma era già sparito e al suo posto erano comparse le lunghe ombre della sera. Forse si trattava dell’oasi di Quantar, oppure un abbaglio, ma quel verde, difficilmente i miraggi erano così colorati, se si trattava di Quantar doveva trovarsi a una cinquantina di chilometri. Valeva la pena provarci, avrebbe camminato tutta notte sperando di mantenere la direzione giusta. Sapeva che era un’impresa disperata. Lontano da qualsiasi pista, avrebbe dovuto tagliare per le dune, lungo pendii scoscesi e traditori con i piedi che sarebbero sprofondati nella sabbia trascinandolo ogni volta al punto di partenza, allora avrebbe dovuto arrampicarsi a carponi, conquistare ogni metro con sudore e fatica. Quante dune prima di crollare esausto? forse venti o trenta? Ma anche se fossero state cento, su quella distanza ne avrebbe dovuto superare almeno mille, e poi chi gli poteva assicurare che quello non fosse altro che un’allucinazione. Riprese di nuovo il coltello controllandone il filo con un dito, un colpo deciso e poi via, non avrebbe dovuto soffrire molto, almeno sperava.
Alzò la testa tendendo per bene il collo quando davanti ai suoi occhi comparve una stella, la più brillate, seguita da tutte la altre, rimase ad osservarle un attimo, adesso vi raggiungo sussurrò, ma prima che il suo braccio riuscisse a muoversi rivide sua madre i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, il viso inondato dalle lacrime, Candar, Candar per amore mio non farlo. Lo supplicava piangendo, le mani giunte, e sopra dove le costellazioni si diradavano quella stella solitaria sembrava indicare proprio la direzione dell’oasi, forse si trattava della polare. Una folata di brezza piena di essenze profumate l’avvolse. Era un segno, certo quello era un segno, doveva provarci.
Marciò tutta notte scavalcando una duna dopo l’altra, lasciandosi ogni volta rotolare esausto dalla parte opposta, lungo pendii sempre più scoscesi, le unghie che sanguinavano, e le mani abrase, gli occhi gonfi e rigati, quando a un certo punto ormai sfinito, alle prime luci dell’alba, si era addormentato.
Lo svegliò il sole incandescente, riprese la marcia, parlando da solo e maledicendo il mondo, tutte le razze dei cammellidi, e quel deserto che non finiva mai, poi con le labbra tumefatte, e la lingua gonfia che sembrava un pezzo di legno, continuò e continuò, finché le forze non gli vennero meno, e allora si mise a strisciare febbricitante nell’oscurità sempre più nera.
Il mattino dopo alle prime luci dell’alba lo svegliarono risa squillanti e voci giovanili, e un rimbombo d’acqua scrosciante che gli invase le orecchie, rimase là in quel dormiveglia malato aspettando la fine, almeno sarebbe morto cullato da quei suoni meravigliosi, ma invece di svanire, quelle voci, quelle risa, man mano che usciva dalle nebbie del delirio, divennero sempre più reali, si tirò su a sedere, intorno non vedeva che sabbia, e il sole aveva ricominciato a picchiare duro. Stava per impazzire, certo, non poteva essere altrimenti, orami la febbre che lo percorreva con scariche violente, come se volessero spezzarlo in due.
Però non voleva morire là sprofondato tra le dune circondato da sabbia, solo sabbia, sempre quella maledetta sabbia, si sarebbe arrampicato per l’ultima volta sulla cresta più vicina, gli occhi rivolti al cielo sognando le macchine volanti che aveva visto nel libro, lo avrebbero portato su città brulicanti, tra terre verdeggianti, là dove un tempo forse, c’era una rigogliosa pianura. Sì certo se ne sarebbe andato così, sognando un mondo pieno di verde, mentre si rotolava tra prati lussureggianti, foreste ombrose, campi fioriti.
Appena raggiunta la cima della duna infatti lo colpì un verde cupo e intenso, e l’odore delicato e fresco dell’acqua, e ancora risa, ma quel verde non era la prateria che aveva appena immaginato, ma le chiome d’innumerevoli palme e subito sotto, scolpito nella roccia, un varco lasciava intravedere una gran distesa d’acqua, con giovani ragazze che si tuffavano gridando e ridendo a squarciagola tra spruzzi argentei.
La sua mente reagì, quello non poteva essere un miraggio, era roba vera, ce l’aveva fatta, aveva raggiunto l’oasi di Quatar, ma non ricordava che l’oasi di Quatar avesse una distesa d’acqua di quelle dimensioni, e poi come poteva aver coperto quella distanza ?
Allora gli venne in mente suo padre e i racconti di una misteriosa fonte, quasi un lago, tra le rocce dove esisteva solo sabbia. La pozza di Arkabat, gli balenò nella mente, la descrizione corrispondeva, ma se quella era la pozza di Arkabat voleva dire che si trovava nei pressi di Erikabar e che aveva sconfinato, finendo dritto, dritto in territorio nemico.
Non sapeva se gioire o piangere ancora più forte, se l’avessero catturato avrebbe rimpianto la morte nel deserto; di solito i nemici catturati venivano impalati nella pubblica piazza.
Notò numerosi dromedari legati a una staccionata, e poi riconobbe i terribili guerrieri Sid, guerrieri eunuchi, rispondevano della verginità delle giovani, tutte promesse spose dello sceicco, direttamente con le loro teste. E finire nelle mani di un Sid forse era peggio che venire impalati, ai prigionieri riservavano lo stesso trattamento che avevano subito loro ancora adolescenti. Nonostante la paura che lo attanagliava decise di raggiungere l’acqua, non poteva aspettare i favori dell’oscurità, non sarebbe sopravvissuto fino ad allora.
Cercò di studiare la situazione, alcuni Sid erano seduti, giocavano lanciando grossi dadi, altri sdraiati si godevano l’ombra, altri ancora sul bordo del laghetto tenevano d’occhio le giovani ragazze mentre sguazzavano tutte felici nell’acqua. Contò dieci cammelli con le insegne dell’esercito e sette guardie, dove erano gli altri tre?. Analizzò la conformazione del terreno, individuò un masso che chiudeva un lato della sorgente abbastanza grosso e lontano da consentirgli di non essere visto, se riusciva a strisciare dietro quel masso finalmente avrebbe bevuto e magari avrebbe potuto immergersi nell’acqua. Non poteva far altro, o morire là arrostito, o bagnare le labbra in quell’acqua cristallina e bere, bere e bere ancora.
Senza neanche aver finito quel pensiero si ritrovò a strisciare verso il masso. L’odore e la vista dell’acqua erano un richiamo irresistibile, talmente potente da superare il timore dei Sid.
Appena raggiunta la riva sprofondò la testa nell’acqua a più riprese inghiottendo lunghe sorsate, avrebbe voluto urlare al mondo che l’acqua era la bevanda più buona e più squisita del mondo, era vita dentro le vene, corrente per i suoi nervi, nettare per i pensieri. Poi sempre al riparo del grosso masso, in quel piccolo anfratto isolato, sicuro di non essere visto, si immerse fino al collo. Sentì la febbre abbassarsi e dalla sua testa finalmente svanire quel terribile senso d’oppressione e sofferenza. Quando uscì contemplò una palma che gettava un intricata ombra come i merletti ricamati da sua madre. Raccolse qualche frasca disponendola sul terreno. Era stanchissimo: là sotto almeno per un po’ sarebbe stato al sicuro, sentiva un gran bisogno di dormire. Fu quando si piegò cercando di infilarsi sotto le frasche, che se la trovò davanti completamente nuda. Due occhi scuri come il cielo stellato lo fissarono, sgranati dalla sorpresa, paralizzati dallo spavento. Agì senza pensare, estrasse il coltello, le tappò la bocca con una mano e la spinse contro la roccia, lama appoggiata alla gola.
"Se fiati sei morta!" Sibilò, ma la sua voce gli uscì strascicata, nonostante tutta l’acqua che aveva bevuto la lingua era ancora gonfia e rigida e gli faceva un male tremendo.
"Darai l’allarme se tolgo la mano?" Le chiese dopo un po’ biascicando penosamente, stanco di rimanere in quella posizione senza sapere bene cosa fare. Lei scosse la testa, supplicandolo con lo sguardo.
"Chi sei?" Chiese lei appena lasciò leggermente la presa.
"Mi chiamo Candar della tribù di Entor, mi sono perso nel deserto, anzi ho perso tutto." Si passò la mano sulle labbra screpolate che avevano cominciato a sanguinare.
"Lo sai che se ti scoprono qui per te è la fine?"
"Non ho scelta, cos’altro potrei fare." rispose indicando le dune.
Poi la guardò per la prima volta. Era stupenda, e lei si lasciò osservare senza vergogna anche se il suo sguardo correva studiando ogni curva del suo corpo, e si era soffermato sul pube dove il pelo rasato con cura formava un arabesco e che finiva in un tatuaggio che rappresentava lo stemma dello sceicco.
"E tu chi sei?" Chiese Candar allarmato
"Mi chiamo Hannah, della tribù Ashanti."
"Cosa?" Chiese lui diffidente
"Mi hanno venduto quando ero ancora bambina, e ora sono promessa sposa allo sceicco Artamano, sarò la sua ventesima moglie." Disse senza alcun entusiasmo
"Non è che mi stai raccontando un mucchio di frottole perché ti lasci andare?"
Hannah allargò le braccia. "Come faccio a dimostrartelo? Ma se tra poco non torno sarà la fine per entrambi."
Candar rimase in silenzio senza sapere cosa fare.
"Se mi lasci ti porterò del cibo, immagino che sarai affamato." Continuò Hannah
Poi si sentì una voce non troppo lontana chiamare il suo nome.
"Presto lasciami andare prima che sia troppo tardi, intanto tu nasconditi."
Candar lasciò la presa senza pensare, lei sgusciò via. "Sì sono qui, arrivo subito." Rispose.
Candar si gettò sotto le frasche ammucchiate per terra cominciando a tremare in ogni dove. Non sapeva se rimanere là oppure scappare e rifugiarsi tra le dune, ma se Hannah dava l’allarme a cosa sarebbe servito? Appiedato e debole com’era l’avrebbero preso dopo pochi passi.
Così rimase rannicchiato aspettando di vedere comparire una delle guardie. Ma non accade nulla, si stava quasi per addormentare quando sentì uno scricchiolio. La sua mano andò all’elsa del pugnale, la strinse tanto forte finché non provò un intenso dolore. Subito dopo vide comparire Hannah si era rimessa a nuovo, indossava una tunica bianca, e aveva raccolto i capelli dietro la nuca, sembrava ancora più bella di prima. Candar si acquattò nel suo nascondiglio. "Su adesso puoi uscire." sentì dire
Appena si tirò in piedi lei aprì la tunica ed estrasse un cesto dove erano raccolti alcuni datteri, un pezzo di montone avvolto in una carta unta e bisunta, e del formaggio stagionato di capra.
"Non è molto ma ti ridarà un po’ di forze."
"E tu?" Disse mentre lei gli porgeva un pezzo di montone che Candar impaziente aveva già afferrato con entrambe le mani.
"Io non ho fame, su mangia."
Candar non se lo fece ripetere due volte, si avventò sul cibo, ma si fermò subito con una smorfia di dolore che gli attraversò il volto.
"Devi mangiare piano, molto lentamente" Lo avverti Hannah mentre stava studiando le estremità delle sue dita gonfie, le unghie consumate da cui spuntava carne viva e sangue rappreso.
Allora prese il formaggio di capra glielo sbocconcellò, poi un pezzettino ala volta incominciò a infilarglieli in bocca. Candar appena fece per masticare sputò tutto quanto contorcendosi dal dolore.
"Non ce la faccio."
"Devi mangiare." Insisté Hannah scrutando il viso, che sotto le bruciature, lasciava trasparire un grigiore malato trasformando gli occhi in due cavità segnate dalla fatica.
"Non ce la faccio." si lamentò nuovamente
"Se non mangi ti ammalerai e sarà la fine." Dicendo questo Hannah prese un pezzo di formaggio se lo mise in bocca e cominciò a masticare.
Candar la guardò stringendosi nelle spalle "Hai ragione mangia qualcosa almeno tu."
Hannah scosse la testa, poi senza dire niente sputò una poltiglia semi liquida nel palmo della mano. "Tieni" disse "devi solo succhiare, lo so, ti fa schifo, ma sforzati, domani devi essere in forma."
Candar la guardò indeciso.
"Dai coraggio non è veleno." Insisté Hannah allungando la mano.
Candar si concentrò sulla sua bocca carnosa e suoi i denti belli e sani, alla fine si decise, immerse le labbra in quel palmo tenuto a coppa e cominciò a succhiare avidamente.
Quando ebbe finito di magiare, cioè di succhiare quello che Hannah aveva masticato per lui si sentì meglio, la testa più lucida e le forze, anche se lentamente, gli stavano tornando.
"Adesso devo scappare" lo avvertì Hannah. "Tra poco ci riportano al villaggio. Ma domani verso mezzogiorno torneremo. Cercherò di procurarti dei viveri e una giberna d’acqua. Ti darò il mio dromedario, dirò che mi è scappato. Una volta partito devi seguire la via dell’est è la strada più breve per uscire dai nostri territori, poi devia verso sud. Nelle sacche troverai una bussola. Con un po’ di fortuna ce la farai." Senza aggiungere altro gli passò una mano tra i capelli. Riposati che domani avrai bisogno di tutte le tue forze. Scomparve così come era arrivata, un movimento nell’aria poi più nulla.
Passò tutta quella notte sognando Hannha. La vedeva scendere dal cielo come un angelo, luminosa e piena di grazia come se Dio in persona l’avesse mandata con l’ordine di salvarlo. Le usciva il cibo dalle mani dalla bocca e dal seno e lui tornato fanciullo si abbeverava tutto felice. Oppure la vedeva emergere dall’acqua come una dea, mentre una transumanza di pesci la seguiva, e poi lei glieli cucinava e bocca contro bocca mangiavano tutte e due assieme.
Quando si svegliò alle prime luci dell’alba si accorse di star meglio, riusciva pure a muovere la lingua, solo che l’appetito era aumentato. Aveva una fame che non ci vedeva. Così si spogliò e si tuffò nuotando e inghiottendo acqua per acquietare i morsi della fame.
Poi stanco ma rinfrescato si rifugiò di nuovo sotto il suo giaciglio coperto dalle palme.
Quando si risvegliò i raggi che filtravano tra le palme gli dissero che forse era già mezzogiorno. E di nuovo sentì gli schiamazzi, le risa e i tonfi di corpi che si buttavano in acqua.
Quando il sole divenne un tizzone ardente, e l’aria sembrò prendere la consistenza del piombo fuso, scese un gran silenzio. Coprendosi con le foglie di palma, Candar strisciò a carponi oltre la roccia, temeva che se ne fossero andati tutti quanti. Invece vide che le guardie, all’ombra delle palme, stavano sdraiate sui loro tappeti profondamente addormentate e così pure le ragazze. Quando tornò si trovò davanti Hannah fece un salto dallo spavento.
"Presto" gli fece "seguimi."
Dopo un ulteriore controllo, constatato che non c’era nessuno s’incamminarono quatti, quatti, verso il recinto dei dromedari.
"Ma chi c’è di guardia?" Chiese preoccupato Candar.
"Nessuno, in questo luogo si sentono al sicuro, dormiranno per un bel pezzo ancora."
Ma dopo aver percorso poche decine di metri, accucciato dietro una palma, si trovò davanti un guerriero Sid. Il Sid non aspettandosi di essere sorpreso lì accucciato in un momento così poco onorevole ebbe un attimo di esitazione. Ma fu solo un attimo, scattò subito in piedi cominciando a estrarre la scimitarra, Candar, senza pensare, fece un balzo in avanti; i suoi piedi toccarono il terreno prima che il Sid riuscisse a emettere qualsiasi suono, la sua lama gli aveva già squarciato la gola. Un getto rosso esplose dal collo del Sid investendoli entrambi. Il Sid crollò a terra con un lungo rantolo, poi rimase immobile con il viso sprofondando nella sabbia.
Candar e Annah si lanciarono un’occhiata allucinata, erano entrambi imbrattati di sangue e Candar continuava a tenere il coltello ricurvo in alto sorpreso lui stesso del suo gesto.
"Presto dobbiamo fuggire. Adesso uccideranno anche me." Disse Hannah mentre guardava il suo vestito spruzzato di sangue.
I loro dromedari erano da una buona mezz’ora lanciati in una corsa disperata, e un’abbondante schiuma usciva dalle loro bocche.
"Rallentiamo" disse Hannah rischiamo di ucciderli.
"Hai ragione" rispose Cantar girandosi a osservare le impronte che avevano lasciato dietro di loro.
"Dobbiamo raggiungere la mia oasi, là saremo al sicuro" Disse Candar
"Anche se riuscissimo a passare, cosa assai improbabile, catturerebbero degli ostaggi in cambio delle nostre teste."
"E allora cosa proponi?"
"Abbandonare tutte le piste e inoltrarci in pieno deserto."
"Andremmo incontro a morte sicura."
"Appunto, dopo un po’ smetterebbero di cercarci."
"E poi noi giriamo e torniamo." Disse speranzoso Candar
"Terranno sotto stretta sorveglianza tutta la zona di confine per un bel pezzo, non dimenticarti che hai appena rapito e disonorato una delle promesse spose dello sceicco."
"Dobbiamo raggiungere le montagne al di là di questo deserto." Affermò Hannah
"Impossibile non ce la faremo mai." Scosse la testa Candar
"Io non mi arrendo." Fece dura Hannah
"Mai nessuno nel pieno dell’estate ne è uscito vivo. Più avanti, questo deserto, sprofonda in una depressione dove la temperatura può superare i 60 gradi e dove l’umidità dell’aria raggiunge il 90 per cento."
"Ce la faremo lo stesso."
"Come fai a esserne così sicura?"
"Perché non abbiamo niente da perdere, e poi preferisco morire così che venire catturata viva per essere stuprata, torturata e giustiziata."
Come poteva darle torto, conosceva i suoi nemici e sapeva di cosa erano capaci, centinaia d’anni d’odio, guerra dopo guerra, massacro dopo massacro, non lasciavano scampo. Qualsiasi cosa era meglio pur di non finire nelle mani dei Mussami.
"Forse hai ragione." Alla fine scosse la testa Candar
"Allora puntiamo verso ovest, fino alla catena di Algapar"
"Come vuoi, nel libro che porto nello zaino ho letto che ci dovrebbe essere un’oasi nascosta in una valle dove la gente vive in pace, ognuno è libero di credere quello che vuole, di fare quello che gli pare. Possiamo tentare di raggiungerla."
"A questo punto può essere una meta come un'altra, anche se a certe cose non ho mai creduto, intanto è meglio se ci muoviamo, guarda." Si girò indicando una nuvola di polvere che si stava avvicinando rapidamente.
"Ma dimmi sei un cercatore di reperti proibiti?" Gli chiese Hanna prima di spronare il dromedario.
"Certo, E’ il mio lavoro, l’unico che so fare."
"Un motivo in più per non farci prendere. Appena entrati nella zona morta si fermeranno, nessuno di loro è tanto pazzo da venirci dietro. Rimarranno qua per un paio di giorni per assicurarsi della nostra fine."
" Presto passami la bussola." Disse Candar
Hannah gliela lanciò.
Corsero per una ventina di chilometri in mezzo a sabbia e dune, poi le dune cominciarono a distendersi come le onde del mare che si adagiano su una spiaggia rovente. Adesso davanti a loro si stendeva una lunga discesa. La percorsero fino a ritrovarsi su un terreno duro e piatto, che colpito dal riverbero del sole sembrava ribollire come mercurio liquido. Ogni tanto spuntavano colonne turbinanti, mulinelli di polvere che si innalzavano rincorrendosi, per poi fondersi, separarsi di nuovo moltiplicandosi: certi serpeggiavano rabbiosi quasi a voler a sfidare il cielo, altri svanivano nel nulla appiattendosi sul terreno in un soffio rovente.
Il riverbero era così intenso che gli occhi di Candar divennero due fessure impercettibili. Era la prima volta che si trovava di fronte alla zona morta, adesso capiva perché incuteva tanto timore, era come infilarsi dritti dentro un forno incandescente. Candar ebbe un attimo d’esitazione.
"Non riesco a vedere niente" Si lamentò rivolto ad Hannah come per dirle che forse era meglio tornare indietro e affrontare i Sid e tutto il resto.
Hanna dalla borsa appesa la fianco del suo dromedario estrasse due paia di occhiali, le lenti opache tagliate da due sottili fenditure. Ne passò un paio Candar "Tieni questi ti aiuteranno" Disse. Poi voltandosi e notando la nuvola di polvere sollevata dagli inseguitori sempre più vicina Hannah diede una frustata sul deretano del dromedario di Candor che partì al galoppo, seguito dal suo.
Un alito rovente li investì, mentre galoppavano rincorsi dai mulinelli. Si copersero il viso e ogni centimetro di pelle consapevoli che quel sole avrebbe potuto ucciderli sull’istante.
Dopo qualche ora ondate di calore saturo d’umidità cominciarono a salire dal terreno deformando ogni cosa, Hannah, sembrava una nuvola evanescente che si contorceva seguendo i flussi d’aria a diversa densità come se fosse anche lei uno di quei mulinelli che volavano tanto in alto da toccare il cielo.
Continuarono così per un’altra ora, poi finirono anche i mulinelli, la terra non aveva più fiato nemmeno per quelli; stremati decisero di fermarsi. Il sole si era abbassato sull’orizzonte e ormai si sentivano abbastanza lontani e al sicuro.
Dopo aver piantato un picchetto e legato i dromedari, approntarono un piccolo campo; stesero una vela sostenuta da due pali e poi fissata sul terreno, all’ombra del telo adagiarono un tappeto. Entrambi disidratati la pelle coperta da una pellicola viscida calda che non voleva saperne di evaporare si adagiarono a gambe incrociate. Candar si tolse lo zainetto dalle spalle, e lo appoggiò con cura accanto a lui.
"Non l’abbandoni mai, si direbbe che sei proprio affezionato a quel libro." Affermò Hannah.
"E’ il più importante reperto che abbia mai trovato, al mercato nero varrebbe una fortuna. Parla di un luogo dove si è rifugiata la tribù che conservava l’ultima conoscenza."
Hannah aprì il libro e cominciò a sfogliarlo delicatamente facendo attenzione che le gocce di sudore che le colavano dal naso e dal mento non imbrattassero le pagine. Il libro era pieno di fotografie e immagini, c’erano pure strani macchinari che non aveva mai visto, ma la cosa che la colpì di più furono i colori, tutti quei campi verdi, coltivata con cura.
"Una volta doveva essere così?" disse Candar. "Questa era un’immensa pianura piena di città e paesi e strade, è tutto scritto qua. E se riusciamo a raggiungere il luogo dove gli ultimi sopravvissuti si sono rifugiati forse abbiamo qualche possibilità di salvarci."
"Dunque sarebbe questo il tuo piano."
"Non il mio piano ma il tuo, sei stata tu a proporre di attraversare la zona morta, se conosci qualche posto migliore non hai che da dirlo" poi senza lasciarle il tempo per rispondere continuò. "Nel libro c’è una mappa, parla di un posto dove un tempo esisteva un grande lago, non è così distante come potrebbe sembrare, superata la zona morta dovremo solo proseguire verso ovest seguendo le pendici della grande muraglia e poi girare imboccando una profonda valle, non possiamo sbagliare."
Hannah controllò la mappa "Ma lungo tutto il percorso non esiste nemmeno un punto dove trovare un po’ d’acqua, moriremo di sete prima di arrivare. Sembriamo due disperati che rincorrono una favola."
"Meglio morire rincorrendo una favola, che il nulla nella disperazione più nera." Fece Candar risentito
"A me hanno raccontato che questi libri sono fatti apposta per farti perdere il lume della ragione."
"Può darsi, ma per noi non fa alcuna differenza."
"Certo hai ragione." Annui Hannah abbassando la testa, una ciocca di capelli scura le sfuggì dal cappuccio. Il vestito le si era aperto sul davanti lasciando intravedere un seno luccicante ricoperto da un velo di sudore
"Sai che sei stupenda" Si lasciò sfuggire Candar mentre quasi contro la sua volontà aveva allungato una mano accarezzandole il seno.
Si meravigliò lui stesso di tanto ardire, di solito arrossiva solo se una ragazza lo guardava e non ne aveva mai toccato nessuna in quel modo, ma la consapevolezza della fine imminente, anche con quel caldo insopportabile, non gli impediva di provare uno struggente desiderio per Hannah.
Lei non si ritrasse, anzi lasciò il seno là a risplendere nel riflesso dorato della sabbia. "Non ho mai fatto all’amore." Disse Hannah abbassando la testa e arrossendo, poi fissò Candar negli occhi e con la scusa di asciugargli il viso gli fece una carezza.
"Neanch’io."confessò Candar e non voglio morire senza avere mai amato una donna.
"Certo" disse Hannah. "sarebbe una beffa.".
Pochi secondi dopo erano avvinghiati l’uno all’altro mentre si baciavano, Hannah stringeva tra le dita il suo pene pulsante e la mano di lui che esplorava quell’anfratto così accogliente.
"Però non dovremo, consumeremo energie preziose."
Candar si ritrasse un attimo "Lo facciamo piano, piano, lentamente."
La scusa sembrava molto ragionevole così cominciarono a far l’amore, il sole tramontò senza che quasi se ne accorgessero e continuarono per tutta notte.
Alle prime luci dell’alba erano ancora abbracciati in preda ad un languore che non avevano mai provato mentre continuavano a consumarsi di baci. Si sentivano spossati ma felici.
"Potrei anche morire così, tra le tue braccia senza alcun rimpianto."
"Invece io voglio vivere, adesso ancora più di prima." ribadì Hannah
"Anch’io" Confessò Candar "Ma temo che sarà l’amore più breve della storia, saremo fortunati se arriviamo a stanotte"
Hannah gli passò la borraccia. "Bevi" poi andò a prendere delle provviste. "Vedrai che con queste recuperiamo in fretta."
Mangiarono entrambi con un gran appetito senza curarsi troppo delle scorte, ormai erano convinti che quelli sarebbero state le ultime ore della loro vita.
Nonostante tutto Hannah sembrava felice, sempre vitale e piena di brio. Notò Candar depresso
"Non dirmi che ti vuoi arrendere proprio adesso." Si adirò Hannah scuotendolo. "Adesso che abbiamo scoperto d’amarci, se lo fai ti ammazzo con le mie mani. Forza muoviti prepariamo i cammelli e rimettiamoci in viaggio prima che sorga il sole"
Dopo qualche ora Candar si sentiva pervaso da un malessere che a tratti lo scuoteva con brividi di gelo e vampate incandescenti, fissò il termometro appeso sotto la chiusura della giberna, dove il sole non lo poteva lambire, la temperatura rasentava i sessanta gradi, e con una temperatura simile, se l’aria fosse stata asciutta, disponendo di una scorta sufficiente d’acqua, era possibile sopravvivere. Ma quella non per niente veniva chiamata la valle della morte, l’umidità dell’aria superava il novanta per cento, anche il dromedario sbandava leggermente come se dovesse cadere da un momento all’altro. Stavano percorrendo una distesa di terra piatta tutta screpolata, ricoperta da placche arricciate dal calore, da dove usciva un’umidità che condensava subito in un leggero strato nebbioso. A centinaia di metri di profondità, sotto di loro, probabilmente ristagnava un bacino che lasciava trasudare quella foschia opalescente riempiendo l’immensa depressione .
Stavano perdendo troppi liquidi. Hannah avanzava piegata in due, aggrappata con tutte le sue forze alla sella, la tunica completamente fradicia, i capelli incollati al viso, da cui si staccavano gocce di sudore. Il suo dromedario sembrava camminare senza toccare il terreno, come se stesse ascendendo direttamente verso il cielo. Hannah si era messa a fluttuare leggera come una piuma, levitava distorta dalle ondate di calore, sembrava che avanzasse verso di lui per venire ad abbracciarlo, ma quell’abbraccio non arrivò mai. Candar si riebbe e in un attimo di lucidità vide Hanna per terra, ci mancò poco che nemmeno se ne accorgesse. Si sentiva malissimo, come se una fiamma gli arroventasse le vene trasformando il sangue in piombo fuso. Capì che si trattava di un’insolazione, la temperatura dei loro corpi era ormai fuori controllo, fra non molto sarebbe stata la fine. Scese dal dromedario riuscendo miracolosamente a non cadere, poi con sforzo sovrumano piantò un paletto a cui legò i due dromedari.
Adesso avrebbe voluto solo sdraiarsi accanto ad Hannah, abbracciarla e lasciarsi andare così, ma si accorse che il terreno smosso dal paletto era umido e quasi freddo. A una profondità non eccessiva doveva esserci uno strato a temperatura più bassa. Barcollando e imprecando montò il telo per avere un poco d’ombra, poi vi trascinò sotto il corpo di Hannah, il pensiero di perderla era insopportabile. Hannah parlava facendo discorsi completamente sconclusionati, mentre lui le rispondeva con sorrisi e frasi di convenienza, "Resisti amore mio" le disse. "Ti prego non morire proprio adesso." Aprì la ginestra appesa al fianco del cammello estrasse la piccola pala e cominciò a scavare. Calcolò che doveva essere circa l’una, lo sforzo era terribile, ma la cosa che più lo tormentava erano le continue allucinazioni. Non cercava nemmeno di contrastarle. Lavorò come un automa, finché la fossa non gli sembrò profonda e larga a sufficienza, nei rari intermittenti momenti di lucidità correva da Hannah, che adesso giaceva immobile e muta, poi si gettò lui stesso sul fondo delle fossa, e sentì subito la temperatura del suo corpo abbassarsi, la sabbia era fresca anzi gli sembrò gelida e incominciò a tremare consapevole della gran febbre che lo scuoteva. Si affrettò a prendere Hanna e dopo averla adagiata sul fondo la ricoprì con la sabbia umida. Candar si mise in un angolo accanto a lei in preda a un dormiveglia angoscioso mentre il sole, piano, piano, cominciava ad abbassarsi sull’orizzonte.
Si svegliarono che forse era mezzanotte, abbracciati mentre tremavano dal freddo. "Ma cos’è successo?" fece Hannah appena si riebbe "Ricordo che tutto intorno a me ha cominciato a ondeggiare poi più niente e adesso cosa ci faccio in questa buca?"
"L’ho scavata io fino ad arrivare alla sabbia fresca."
Hannah uscì dalla fossa seguita da Candar. "Se è così potremo viaggiare di notte e scavarci un rifugio nel terreno durante le ore più calde."
"Certo" Esultò Candar. "Con un po’ di fortuna ce la potremo fare."
Si abbracciarono tutti felici, anche se in quell’abbraccio sentì il corpo di Hannah abbandonarsi a lui e poi con un notevole sforzo riprendersi. Candar corse a prendere la borraccia, bevvero entrambi, infine diedero da bere e mangiare ai dromedari, meravigliandosi che fossero ancora vivi.
Candar le sorrise mentre sentiva una gran eccitazione salirgli, Hannah scostò la tunica e ricominciarono a far l’amore spossati e felici.
Un’ora dopo erano in groppa ai loro dromedari sotto uno spicchio di luna che faceva risplendere quella distesa uniforme come un’infinita lastra d’argento, avanzavano uno affiancato all’altro ritti sui dromedari, fieri e orgogliosi come quando si è convinti di aver vinto una battaglia, che si è trovato il modo per sconfiggere il mostro, si tenevano per mano, stringendosi forte, come se il mondo fosse ormai loro, più niente li avrebbe fermati. Così di giorno scavavano profonde buche, e la sera facevano l’amore, poi riprendevano il viaggio finché un bel giorno comparvero all’orizzonte le cime frastagliate della catena di Alpadar.
Fu Quantar, quando ormai erano convinti di dover morire tutti quanti, a scoprire la fossa, subito capirono a cosa era servita, così ne scavarono in tutta fretta altre quattro e vi ci si ficcarono dentro fino a notte, poi una volta svegli, sotto la mezza luna, si prodigarono in lunghe preghiere, prima di ripartire all’inseguimento dei due fuggiaschi.
Adesso Candar e Annah stavano attraversando morbide dune che a tratti finivano in pianori ghiaiosi, alla loro destra svettavano nude cime rocciose. Seguendo il percorso indicato sulla mappa avrebbero dovuto proseguire lungo la fascia pedemontana ancora per diversi chilometri prima di raggiungere la valle.
"Abbiamo finito l’acqua." disse Hannah mentre per affiancare Candar aveva spronato il dromedario a un leggero trotto.
Erano entrambi nervosi, esausti, e assetati. Proprio adesso che avevano superato la parte più difficile del viaggio rischiavano di morire di sete. Quella zona era completamente sconosciuta, dalla mappa non risultavano né oasi, né pozzi e la conformazione del terreno non prometteva niente di buono. Prima della valle Candar calcolò almeno altri tre giorni di viaggio. Certo adesso l’aria era più asciutta e la temperatura non superava i quaranta gradi. Guardò la sua borraccia appesa al dromedario ormai tutta raggrinzita con pochi centilitri d’acqua puzzolente.
"Secondo me dovremo deviare verso quelle pendici, avremo più probabilità di trovare una qualche pozza d’acqua" fece Hannah
"Rischiamo di allungare eccessivamente il tragitto, e poi chi ci assicura che troveremo dell’acqua."
"Non m’importa" Ribatté Hannah passandosi una mano sulle labbra già dolorosamente segnate da profonde screpolature. E senza dire altro girò il cammello nella direzione dei monti.
Ben presto i dromedari cominciarono ad arrampicarsi su ripidi ghiaioni e scendere lungo lastroni di roccia compatta e liscia. Un posto più adatto alle capre che a dei dromedari, anche se quei monti erano troppo aridi anche per le capre, nemmeno in lontananza si scorgeva l’ombra di un cespuglio. Fu su uno di questi lastroni dalla pendenza impossibile ricoperto da una viscida lanugine verdognola che il dromedario di Candar scivolò. Caddero ruzzolando dentro una fenditura. Atterrarono su un letto di ghiaia dai sassi levigati dove filtrava solo un flebile raggio di luce, il dromedario disteso a una decina di metri da lui, mandava lamenti strazianti, si avvicinò e non ci mise molto a capire che aveva entrambe le zampe anteriori spezzate.
Da sopra in alto sentì la voce di Hannah che lo chiamava disperata, e poi l’eco diffondersi nell’ampia caverna, rispose imprecando rassicurandola che lui stava bene, ma che avevano perso il dromedario. Poi vide una corda dondolare da una roccia a sbalzo appena sopra la sua testa e due gambe che si lasciavano scivolare giù. Hannah si girò di scatto per assicurarsi che Candar non si fosse fatto niente mentre lui la guardava astioso "Certo che quest’idea di seguire le pendici rocciose è stata grandiosa"
"Meno male che non ti sei fatto niente." fece lei e lo l’abbracciò con una tale intensità che Candar sentì la rabbia svanire in un attimo.
"Sai cosa mi tocca fare adesso." Disse Candar staccandosi dall’abbraccio il coltello già stretto tra le dita.
Uccidere il proprio dromedario era una delle cose più strazianti che ti potevano capitare specialmente se ti aveva servito fedelmente. Così Candar rimase a rimirare il pugnale mentre Hannah da una giberna aveva estratto una capiente bacinella, poi era tornata da Candar gli aveva preso il pugnale e dopo aver appoggiato la bacinella sotto il collo del dromedario glielo aveva aperto con un colpo deciso raccogliendo il sangue che usciva a fiotti riempiendo la bacinella.
Bevvero entrambi avidamente fino a sentirsi lo stomaco gonfio.
"Così finalmente abbiamo trovato la nostra riserva d’acqua" Fece sarcastico Candar.
"Adesso abbiamo anche da mangiare" Disse Hannah senza far caso alle sue recriminazioni
"Carne cruda?" Storse il naso
"Non preoccuparti, quando si macellava un dromedario per qualche festa ero sempre in prima fila, ad aiutare quelli più grandi."
Si tolse la tunica, poi completamente nuda aprì il ventre del dromedario e gli disarticolò una delle zampe posteriori dopo aver armeggiato per un po’ tornò con due succosi pezzi di carne, cercò una pietra sufficientemente piatta e cominciò a tagliarli in fette sottili.
"Su assaggia, questa è la parte più tenera, ed è buona anche cruda"
Candar nonostante la fame assaggiò il primo pezzo con circospezione, poi si gettò sugli altri, gli sembrava di non aver assaggiato mai niente di così buono. Anche Hannah cominciò a mangiare cercando di darsi un contegno ma anche lei avrebbe voluto fare come Candar e sbranare fette di carne tenendole con entrambe le mani. Ma, come le avevano insegnato, tagliò piccoli pezzi con il grosso coltello masticandoli lentamente. Candar l’osservò là accucciata ricoperta di sangue dalla punta dei capelli fino ai piedi, seduta a gambe incrociate, la peluria sul pube ormai ricresciuta, le costole che ora sporgevano come da un soggetto dimagrito eccessivamente in fretta e coi seni che per contrasto sembravano troppo grossi, i capelli stopposi, i denti rossi di sangue. Ormai dovevano sembrare due selvaggi costretti alla ricerca continua di cibo e acqua fino all’abbrutimento, prima di morire schiantati dalla penuria.
Candar chinò la testa e la scosse lentamente "Mi dispiace." disse
"Di cosa?" chiese stupita Hannah
"Adesso saresti con le tue compagne, a bere latte e miele, ad assaggiare tè, adagiata su morbidi cuscini tra marmi e maioliche raffinate, servita come una regina e invece per colpa mia guarda qua, condannati a vivere come bruti.
"Adesso sarei la ventesima moglie di Artamano, chiusa con le altre nel suo harem, prigioniera come lo sono sempre stata, costretta a soddisfare le sue voglie e a difendermi dalle gelosie delle altre. Fossi in te non mi dispiacerei cosi tanto, e poi la libertà è meravigliosa, non mi sono mai sentita come in questi giorni, non ho mai vissuto tanto intensamente, ed è la prima volta che amo qualcuno, lascia perdere i cuscini, il latte col miele e il palazzo dai locali raffinati, mi sembrano lontani mille miglia e non provo la minima ombra di rimpianto, anzi solo un gran senso di liberazione." Poi si alzò e cominciò a baciarlo. Fecero l’amore più volte prima di addormentarsi.
Candar si risvegliò con uno strano pizzicore alle narici, un odore che gli dava allegrezza e nel dormiveglia disse "non senti anche tu questo profumo, e poi guarda, le pietre sono levigate"
Hannah si mise seduta "Acqua" Pronunciò decisa. Di scatto si rivestì e a narici divaricate cominciò ad aggirarsi nelle zone più buie verso l’entrata della grotta. Aspetta disse Candar e preparò con del cuoio e delle stoffa una fiaccola improvvisata, s’inoltrarono per un centinaio di metri su un ghiaino sempre più sottile. Si trovarono ad ammirare una superficie liscia come il vetro che rifletteva la fiamma della fiaccola, era un laghetto dall’acqua limpidissima. Hanna cominciò a saltaci dentro lanciando spruzzi contro Candar "Senti come è fredda" Urlò piena di gioia. Alla fine si immerse lavandosi via i residui di sangue e di sporcizia, seguita subito dopo da Candar.
In quel luogo rimasero per tre giorni, nutrendosi con la carne del dromedario. Ne diedero anche al suo compagno rimasto legato all’imbocco del dirupo, che non la disdegnò, anzi da bravo erbivoro ingollava pezzi interi senza neanche masticarli. Infine si scolò una quantità incredibile di acqua finché la sua gobba non tornò di nuovo gonfia e soda. Anche loro avevano riacquistato un po’ di peso.
Quasi gli dispiacque quando all’imbrunire del terzo giorno decisero di ripartire, recuperando il più possibile del carico, e riempiendo d’acqua tutto quello che potevano.
Quando si mossero in due in groppa al dromedario sovraccarico nessuno avrebbe scommesso che dopo qualche ora di marcia l’animale non sarebbe schiantato sotto tutto quel peso.
Verso le dieci quando il sole aveva cominciato a dardeggiare di nuovo, si rifugiarono su una specie di balza ombreggiata da uno sperone di roccia. Da là si dominava buona parte del deserto, e fu mentre Candar seduto dietro ad Hannah, le stava spazzolando i lunghi capelli neri per poi intrecciarli dietro la nuca, che vide in lontananza quattro punti scuri.
"Guarda." disse allungando un braccio.
"Ci hanno seguito." Rispose subito lei.
"E se fossero del posto?" Chiese Candar
"E quale posto, per chilometri e chilometri non esiste niente e non ci sono piste di sorta, e poi stanno facendo il nostro steso percorso."
"Siamo in due con un solo dromedario e pure stracarico, ci prenderanno."
Si guardarono entrambi terrorizzati.
"Presto ripartiamo." Disse Hannah
"Dobbiamo alleggerire il dromedario, Lasciare tutto tranne l’acqua, e la bussola."
Hannah fece per protestare ma capì che non c’erano alternative.
Appena si rimisero in cammino Quantar li vide. "Eccoli." Disse puntando un dito ossuto. Poi estrasse un piccolo binocolo. Sono rimasti con un solo dromedario, non ci sfuggiranno.
Cantar Spronò il dromedario sul quel percorso accidentato, ma non c’era niente da fare ogni volta che si girava poteva solo constatare che avevano perso altro terreno.
Ormai li avevano a ridosso "Presto" Disse Candar "Dobbiamo abbandonare il dromedario e proseguire a piedi lungo la parete."
Scesero, Candar si strinse per bene lo zaino contenente il libro, prese una borraccia d’acqua e nient’altro. Hannah anche lei raccolse il minimo indispensabile e poi si precipitarono a scalare la parete arroventata. La salita era durissima e man mano salivano diventava sempre più insidiosa. Anche gli inseguitori avevano lasciato i dromedari ai piedi della scarpata e si erano avventurati tra le rocce.
Hannah non riusciva a tenere il passo anche se Candar cercava di aiutarla in tutti i modi. In un passaggio particolarmente difficile, mentre Candar stringeva la sua mano sudata, la sentì scivolare via e in uno svolazzo di panni vide Hannah precipitare per fermarsi qualche metro più in basso su una balza e poi continuare a ruzzolare fino ai piedi dei suoi inseguitori. Candar imprecò fissando il corpo immobile di Hannah. Per fortuna poco dopo si rialzò e cominciò a divincolarsi nel tentativo di liberarsi dalla presa dei due uomini che la tenevano per le braccia. Candar tirò un sospiro di sollievo e imprecò nello stesso tempo. Poi vide il viso di Hannah alzarsi "Presto scappa, non ti preoccupare non è me che vogliono." Mentre uno teneva stretta Hannah gli altri due ricominciarono l’inseguimento.
"Se la vuoi veder viva fermati." Gridò uno degli inseguitori.
Ma Candar non stette a ascoltare, sapevano che erano là per il libro. Quelle erano spie e non Sid, l’unico modo per liberare Hannah era usare il libro come merce di scambio. Le ultime parole che sentì fu "se non ti arrendi l’uccidiamo" ma sapeva che non l’avrebbero fatto. Così. Dopo che il sole fu tramontato nell’oscurità riuscì a seminarli. Arrivato su una cresta guardò giù dallo strapiombo. Molto più in basso in una radura brillava un fuoco e intorno intuì delle figure. Lo stavano aspettato. Sapevano che non avrebbe mai lasciato Hannah nelle loro mani.
Pensò a come fare per liberare Hannah, se avesse nascosto il libro e poi fosse sceso a contrattare lo avrebbero catturato costringendolo a rivelare il nascondiglio e allora potevano dire addio alle loro vite. Ci pensò tutta notte e non vedeva alternative, doveva scendere da loro, e contrattare lo scambio pretendendo il rilascio di Hannah con la promessa che avrebbero smesso di inseguirli, anche se le loro promesse non valevano niente, ma una volta raggiunto il loro scopo difficilmente si sarebbero arrampicati su per quelle creste dove i dromedari non potevano andare.
Il mattino presto in un anfratto su una balza mise tre sassi uno sopra l’altro a piramide come se sotto vi fosse nascosto qualcosa. Il libro lo nascose da un’altra parte, nella direzione opposta.
Scese fino all’accampamento dei suoi inseguitori. Si fermò a una cinquantina di metri. Quando si furono alzati tutti e quattro in piedi le sciabole sguainate gli fece segno di fermarsi, poi lanciò un’occhiata ad Hannah tenuta per un braccio da uno de tre. Sembrava in buone condizioni.
"Se volete il libro dovete liberare Hannah, poi vi dirò dove l’ho nascosto."
"Voglio anche il biglietto di presentazione che ti dato Zara, faremo finta di essere uno di loro e li beccheremo tutti"
Candar estrasse il biglietto e lo lanciò ai piedi di Quintar, che si chinò a prenderlo.
Poi ci fu una discussione concitata nella loro lingua, alla fine quello che sembrava il capo intervenne. "Chi ci assicura che non ci stai prendendo in giro."
"E come potrei, se vi mentissi non ci vorrà molto perché ci riacciuffiate."
I quattro confabularono ancora un poco.
"Va bene, però devi lasciare qua la borraccia d’acqua"
"Ma senza non abbiamo scampo"
"Appunto, rilasciamo Hannah e vi arrangiate senz’acqua. Se ci menti sarà ancora più facile riprendervi e farvi fare una brutta fine."
Candar scosse la testa lasciò cadere la borraccia davanti ai suoi piedi, poi uno di loro fece segno al suo compare che tagliò la corda che teneva legati i piedi e i polsi. Lei si incamminò verso Candar barcollando leggermente. Appena si fu avvicinata le chiese come stava, poi indicò una balza alla sua sinistra "Il libro è nascosto su quella balza, in un anfratto segnato con tre sassi messi a piramide"
Appena loro s’incamminarono in quella direzione lui trascinò Hannah dalla parte opposta, presero a salire a piedi lungo un pendio non troppo scosceso, una via che si era studiato in precedenza. Poi recuperò il libro.
" Ma gli hai mentito?"
"Certo."
"Allora siamo condannati." Si lamentò Hannah
"Lo saremo stati lo stesso"
"Adesso che dobbiamo proseguire a piedi solo Dio ci può salvare." Fece Hannah
"Appunto preferisco rimettermi alla volontà di Dio piuttosto che essere sgozzato da quei quattro.
Dobbiamo continuare verso ovest per una quarantina di chilometri. Sono sicuro che ce la faremo."
La marcia fu veramente dura, continuarono il loro tragitto tra strette e aride valli per poi inerpicarsi lungo ghiaioni roventi dove per i loro inseguitori era impossibile seguirli. Anche se pochi chilometri a Nord si stendeva la piatta superficie del deserto certo più comoda da percorrere, ma non si fidavano. Nell’ora più calda si gettarono sotto uno spicchio d’ombra che spioveva da una parete al riparo dentro un minuscolo anfratto.
"Non possiamo continuare per molto." Ansimò Hannah. "Queste continue salite e discese ci stanno massacrando."
"Dobbiamo tener duro per un'altra giornata, e poi i nostri inseguitori li abbiamo seminati, è impossibile seguire le tracce tra queste gole e rocce sconnesse." Candar estrasse il libro e lo aprì mostrando la cartina ad Hannah. "Ecco secondo me ci troviamo in questa posizione, se domani ci spostiamo verso sud dovremmo incrociare la valle, è l’unica che scende perpendicolarmente fino a ricongiungersi con il deserto una trentina di chilometri più avanti."
Dopo essersi riposati all’imbrunire ripresero la marcia fino a che il buio non li costrinse a fermarsi e a riposare.
Appena l’orizzonte si schiarì ripresero la marcia. Stavano seguendo quella stretta e arida valle ormai da diverse ore, quando videro che incominciava ad allargarsi, e il terreno diventare sempre più sabbioso, poi d’improvviso gli si aprì la davanti la vastità senza confini del deserto.
Ormai il sole era basso sull’orizzonte e anche se erano distrutti senza alcuna speranza di sopravvivere e il deserto sarebbe stato l’ultima cosa che avrebbero visto, esultarono abbracciandosi e baciandosi con le labbra gonfie e screpolate. Quello era il loro mondo e preferivano essere seppelliti da quella fine sabbia che rimanere sulle nude rocce in mezzo alla desolazione più assoluta.
Ormai rassegnati, Hannah indicò una sfumatura diversa tra le dune. Non si potevano sbagliare era il verde di una piccola oasi a una decina di chilometri da loro. S’incamminarono in quella direzione, fu un tragitto interminabile, per fortuna dall’orizzonte era sorto uno spicchio di luna avevano continuato aiutandosi l’uno con l’altro per tutta notte.
Li raccolse il mattino seguente un vecchio dalla lunga barba bianca che portava a guinzaglio il suo dromedario stracarico con legati dietro due asinelli ancora più carichi. Diede da bere a entrambi e li caricò come meglio poté sulla gobba del dromedario legandoli perché non cadessero.
Quando arrivò a casa chiamò sua moglie, una vecchia che uscì dal fresco dell’abitazione seguita da una frotta di ragazzini "Ho trovato due dispersi, hanno bisogno di acqua e cibo, vedi di preparare qualcosa." Le ordinò l’uomo.
La donna prese per i capelli entrambi alzando con delicatezza le loro teste "Ma sono giovanissimi" disse. "Chissà da dove vengono." Aggiunse notando la loro carnagione scura.
Quando Hannah e Candar rinvennero si trovarono entrambi distesi su un paio di brandine dentro una piccolo locale dalle pareti di fango. Agli angoli c’erano delle poltrone in vimini, un tappeto sgargiante era appeso alla parete e un paio di finestrelle lasciavano penetrare la luce del sole filtrata da candide tende in lino che ondeggiavano nella leggera brezza pomeridiana. L’ambiente sembrava pulito e ordinato dando l’impressione d’una dignitosa povertà.
"Hannah," la chiamò Candar girandosi verso di lei "ce l’abbiamo fatta" Lei allungò un braccio e rimasero là per un po’ come sospesi in un sogno ad accarezzarsi delicatamente.
Ci volle qualche giorno perché si riprendessero. A portare cibo e acqua si presentò la figlia, una bambina attorno ai dodici anni dai capelli biondi. Candar quando la vide la prima volta ne rimase sorpreso, e ancora di più quando Sarah disse che quello era il suo colore naturale. Sarah sembrava avere una particolare attrazione verso Candar, tutte le attenzioni erano per lui mentre Hannah la trattava con una cortesia formale, e a volte quasi con irritazione. Questo divertiva molto Candar specialmente quando vedeva Hannah rabbuiarsi piena di gelosia. Candar la prendeva in giro stupito che potesse mostrare gelosia per una ragazza che era poco più che una bambina, ma una volta gli fece tutta seria "Al mio paese una così è già da matrimonio."
Quando si furono ristabiliti cenarono tutti insieme e Candar estrasse dal risvolto della fascia che gli cingeva la vita dei bellissimi orecchini per la nipote Ebren e altre pietre preziose tagliate in un modo superbo che il nonno Ettor valutò con grande interesse. In cambio chiese due dromedari scorte di acqua e cibo. La contrattazione andò avanti per tutta la serata poi alla fine raggiunsero un accordo che costò quasi tutto il capitale di pietre preziose accumulate da Candar.
Il giorno dopo quando i due dromedari furono caricati di mattino presto Candar e Annah salutarono i padroni di casa per l’ospitalità e ripresero il loro viaggio per la valle di Torbat.
Il cammino era ancora lungo, ma rifocillati e ormai nel pieno delle loro forze rimaneva il tempo anche di ammirare il paesaggio fino ai picchi altissimi si elevavano verso nord.
Poi finalmente un giorno sempre secondo le indicazioni della mappa deviando verso nord e superando una serie di colline moreniche si trovarono davanti a uno spettacolo che li lasciò a bocca aperta. Davanti a loro si apriva una valle immensa circondata da monti e vette che superavano i duemila metri. Il fondo della valle era talmente stretto che anche il sole lo lambiva a fatica lasciandolo quasi perennemente in ombra, una pista appena segnata costeggiava a metà altezza la valle inoltrandosi per decine di chilometri.
"Ecco l’abbiamo trovata," esultò Candar cercando di interpretare la mappa. "dobbiamo prendere questa pista che gira sulla destra proseguire per una quarantina di chilometri fino a un posto che qui viene chiamato Gandar. Seguirono il sentiero che costeggiava lo strapiombo camminando con i dromedari alla briglia. Candar aveva paura che scivolassero trascinandoli in una cauta letale. Così li guidava con estrema cautela prodigandosi in continue raccomandazione ad Hannah che lo seguiva a poca distanza dietro di lui.
"Questo doveva essere il bacino di un antico lago." Quasi le gridò, ma non ce n’era bisogno erano circondati da un silenzio irreale dove perfino lo sbuffare dei dromedari sembrava rimbombare da una valle all’altra. "Anzi" continuò "Migliaia di anni fa questa era la lingua estrema di un gigantesco ghiacciaio"
"Un ghiacciaio?" Chiese Hannah "Che cos’è un ghiacciaio?"
"Vedi come le parti della montagna sono levigate fino a quel segno almeno cinquecento metri più in alto, ecco devi immaginare un fiume di ghiaccio, anzi una montagna di ghiaccio che scivola lentamente riempiendo tutta la valle arrivando fino ai piedi della pianura dove allargandosi si scioglie formando affluenti che poi si gettano in un grandissimo fiume che a quel tempo attraversava tutto il deserto."
"Mai sentite cose del genere, quello che so è che questo deserto è sempre esistito e rimarrà così per sempre."
Candar scosse la testa sorridendo. "E’ quello che temo anch’io, che questo deserto rimarrà così per sempre, ma per noi non cambia molto, non potremo più ritornarci."
"E come sopravviveremo in mezzo a montagne così aride?"
"Se la mappa non mente tra non molto dovrebbe esserci un villaggio molto grande."
La notte fu particolarmente fredda, si accamparono in una minuscola radura montando un campo improvvisato, accesero il fuoco cucinandosi qualcosa da mangiare. Poi rimasero abbracciati sussurrandosi frasi consolatorie intimoriti dal brillio gelido delle stelle e da quelle ombre enormi che incombevano sopra di loro.
Dopo altri due giorni di viaggio si trovarono danti a una ripida collina che sembrava chiudere la valle adesso molto più stretta. Candar controllò sulla mappa. "Qua sopra non è segnato niente del genere."
"Forse abbiamo sbagliato strada."
"Potrebbe essere parte della montagna che è franata, questa mappa ha più di cento anni."
Lentamente s’inerpicarono sulla ripida parete della collina tutta sconnessa fatta di ghiaia e massi "Sembrerebbe una frana piuttosto recente." La rassicurò Candar.
Infatti per proseguire dovevano continuamente cercarsi un varco, un passaggio tra rocce dure e affilate, i dromedari si lamentavano e a volte si rifiutavano di andare avanti, allora ricominciavano tutto d’accapo scegliendo un altro percorso per aggirare guglie pericolanti o macigni alti come dune, solo quando fu notte raggiunsero la cima pieni di escoriazioni e con i dromedari stremati. Appena sistemato il campo e aver mangiato come due lupi si addormentarono di schianto.
Fu Candar alle prime luci dell’alba a notare che c’era qualcosa di insolito, giù nella valle sottostante s’intravedeva una distesa che sembrava fatta di metallo e vetro con raggi del sole che lambendo quelle superfici esplodevano in mille riflessi dorati, come schegge di gioielli disseminati in ogni dove. Svegliò Hannah la quale rimase a bocca aperta. "Ma che cos’è?" Fece piena di stupore.
"Dovrebbe essere una delle loro città, credo. Somiglia a quelle che ho visto nei libri. Forse il posto che cercavamo" esultò. "Ce l’abbiamo fatta."
"Ma è deserta."
"Magari si alzano tardi, non hanno bisogno di lavorare come noi, ci sono le macchine che fanno tutto per loro."
Impiegarono quasi mezza giornata a scendere a valle mezzi azzoppati. Appena si inoltrarono sbalorditi tra le vie levigate di quella cittadina ricoperte solo da un leggero strato di polvere si resero conto che era veramente deserta, sembrava che proprio non ci fosse rimasta anima viva. Furono presi da un profondo senso di smarrimento, anche se abituati alle solitudini sconfinate del deserto, quello era uno spettacolo davvero insolito. A un certo punto cominciarono a lanciare dei richiami, ma di ritorno giungevano solo sperduti echi che si rimbalzavano da una torre all’altra.
Candar vide che Hannah aveva le lacrime agli occhi. "Non c’è rimasto più nessuno, per noi è la fine."
Imboccarono una via molto ampia piena di vetrine e negozi, molti dei quali erano ancora intatti, nessuno li aveva saccheggiati come se temessero una qualche maledizione, ma Candar invece di pensare quanto gli avrebbero fruttato studiò la mappa che in un angolo portava un ingrandimento con la pianta della città e segnato in rosso il punto d’imbarco. "Da quella parte." Disse indicando una via che saliva ripida verso un’altura dove svettavano i resti di un’antica fortezza. La strada non era più ricoperta dal solito asfalto tutto sbrecciato e tagliente ma lastricata da ciottoli lisci e rotondi, e i dromedari finalmente sembravano a loro agio. Arrivati sulla sommità si resero conto che il castello era un palazzo diroccato. La strada si restringeva diventando ghiaiosa e serpeggiava tra i resti di un antico giardino dai tronchi ormai fossilizzati. Poi dopo un’ultima salita moto ripida raggiunsero il retro del palazzo. Davanti a loro si aprì una piazza enorme circondata da un basso muretto, come una balconata si protendeva in fuori su un panorama stupendo; da una parte si stendeva la cittadina attorniata dai monti, dall’altra si aprivano profonde valli che sbiadivano nella foschia fino al rosa delle cime sfiorate dal sole.
Alla loro destra, partiva una scalinata che portava a una costruzione rettangolare dalle forme squadrate dall’entrata entrata enorme, sopra si leggeva ancora la scritta "Uniporto".
"Forse è proprio quello che stavamo cercando." Sussurrò Candar intimorito dalle dimensioni della costruzione.
L’entrata sembrava un invito a proseguire. "Che dici entriamo?" Chiese ad Hannah
"Certo" si fece coraggio Hannah. " Non è per questo che siamo venuti fin qua?"
Mestamente trascinandosi i dromedari s’inoltrarono camminando su per la scalinata. Davanti a loro si presentò un ambiente enorme dal pavimento scuro, forse alabastro in cui, nonostante l’impalpabile polvere che lo ricopriva, potevano scorgere le loro immagini riflesse. Salirono un’altra scalinata che sembrava costruita per una folla enorme finendo su un piano rialzato, all’estremità opposta si dipartivano un’infinità di corridoi numerati. I cartelli appesi alle pareti ancora leggibili indicavano una serie i punti d’imbarco senza precisare alcuna destinazione.
"Prendiamone uno a caso." Fece Candar
"Quello" indicò Hannah. "E’ abbastanza grande da farci passare anche i dromedari, non li voglio lasciare qua."
Percorsero il corridoio illuminato da una tenue luce azzurrina. Si ritrovarono in un ampio locale dove la parete di fronte a loro era completamente nera, un nero così profondo che sembrava proiettarsi direttamente sul vuoto.
Appena entrati con loro sommo spavento le luci si accesero alcuni macchinari si misero in funzione da soli con un sommesso ronzio. Poi una voce femminile molto rassicurante congelò i loro sguardi pieni di paura e stupore.
"Signori siete appena entrati nella sala del multiverso, da questo luogo potete raggiungere un universo parallelo, se vi è mancato il tempo lo potete selezionare direttamente sul monitor alla vostra destra. Vi rammento inoltre che questi universi paralleli sono reali, sono stati preselezionati solo quei mondi dove non ci sono guerre a livello planetario. Vi informo inoltre che esiste un certo grado di indeterminazione che potrebbe provocare uno sfasamento di luogo e di tempo, fate la vostra scelta e buon viaggio."
Alla loro destra si accese uno multi schermo suddiviso in una miriade di rettangoli e in ognuno era rappresentato un posto diverso dove erano riportate numerose informazioni.
"Come facciamo a scegliere." Si lamentò Hannah
"Non lo so forse…"
Candar fu interrotto da un improvviso tramestio, erano i loro inseguitori che li avevano raggiunti di nuovo.
"Fermatevi." Sentì urlare alle sue spalle.
Candar pigiò uno dei riquadranti a caso, la parete buia e senza fondo si animò d’improvviso, comparve una piazza lastricata da porfido, ai lati qualche auto parcheggiata. Entrambi trascinando i due dromedari si gettarono dentro la parete fino a raggiungere la piazza.
I loro inseguitori dopo un attimo di esitazione li seguirono, ma la schermata era già svanita e si trovarono a fluttuare in un pozzo nero e senza fondo
Quando li vidi pensavo che stessero girando un film, due ragazzi vestiti in quel modo che si aggiravano tirandosi dietro due dromedari, da qualsiasi parte la si guardasse la faccenda sembrava alquanto strana.
"Che film è?" Chiesi alla ragazza, lei scosse la testa impaurita. Allora provai in inglese.
Mi rispose il ragazzo con uno strano accento che sebbene avessi girato i più disparati luoghi del mondo non avevo mai sentito, però riuscivo a capirlo.
Mi disse "Scusi ma siamo appena arrivati e non sappiamo dove andare e neanche dove ci troviamo".
Infatti mi guardai attorno e non vidi alcun set cinematografico, né macchine da presa, né trup, né registi.
"ma come avete fatto ad arrivare fin qui tirandovi dietro due dromedari."
"Siamo fuggiti, ma è una storia lunga."
"E adesso dove volete andare?"
"Non lo sappiamo, veniamo da un altro mondo."
"Beh questa poi, forse le state sparando troppo grosse."
Visto che sembravano proprio due bravi ragazzi e che quella faccenda era maledettamente strana dissi "Se proprio non sapete dove andare vi potrei ospitare, il problema sono i dromedari anche se abito in una cascina in campagna, i dromedari non ce li possiamo portare. Però qua vicino c’è uno zoo, magari ve li possono tenere".
Inutile dire che allo zoo ci guardarono con tanto d’occhi come se provenissimo dalla luna, poi chiamarono il direttore e dopo una breve trattativa a cui seguì un assegno da parte mia per tenere i dromedari in custodia almeno fino a che non avessimo trovato una soluzione, il direttore decise di accettare.
Così li scaricammo e notai che nelle giberne e nelle ceste avevano di tutto come se avessero appena attraversato veramente un deserto.
Gli dissi di aspettare poi tornai con la mia auto per fortuna una station vagon Volvo chiamata amichevolmente cassone ma molto capiente che alla fine risultò piena da non riuscire a farci stare più neppure uno spillo. A bordo vollero stare entrambi sul sedile posteriore stretti l’uno accanto all’altro come a sorreggersi, la bocca spalancata dallo stupore non fecero altro che guardarsi in giro completamente spaesati.
Controllando nello specchietto retrovisore mi accorsi che erano talmente impauriti da tremare visibilmente, non parliamone poi quando fuori dalla città acquistai una certa velocità, così decisi di non oltrepassare i sessanta all’ora.
"Ma di preciso da dove venite?" Riprovai
"dal deserto." Mi fece il ragazzo
"E non avete mai visto un’automobile?"
"Mai rispose la ragazza."
"Io sì." Intervenne lui "Anche se erano dei rottami seppelliti sotto la sabbia."
Poi appena cominciarono i primi campi verdeggianti le basse colline ondulate gialle di grano fu tutto un borbottio di meraviglia come se veramente non avessero mai visto niente del genere, e anch’io mi sentivo a dir poco strano come se dietro portassi non due giovani ragazzi ma due extraterrestri.
Casa mia è una vecchia cascina ristrutturata con un vasto cortile sul davanti, i muri a vista, anche troppo grande per la mia esigenze, ormai conduco una vita solitaria e vagabonda, sono un dirigente laico di rilievo dell’Opus Dei e spesso mi tocca viaggiare di qua e di là per paesi sperduti in tutta l’ecumene. E quell’incontro così insolito mi aveva quasi riempito di gioia perché i due ragazzi mi ricordavano i mie due figli, dovrebbero avere su per giù la stessa età, ma quando mi sono separato sono stati affidati a mia moglie, adesso li vedo sempre più di rado. Anche se devo dire che questi due sono di una bellezza sconcertante, e i vestiti originariamente dovevano essere di ottima fattura anche se adesso apparivano consumati e sporchi come dopo un lungo viaggio, insomma non potevano essere dei poveri straccioni magari drogati, e anche quello che stavamo scaricando dall’auto sembrava confermare la loro storia che venivano direttamente dal deserto, ma dal Sahara fino in Toscana la strada è piuttosto lunghetta specialmente in groppa a due dromedari. Forse sono immigrati clandestini e hanno trovato un modo tutto loro per passare le frontiere senza affidarsi a negrieri o scafisti che dir si voglia, anche se passare le frontiere in groppa a un dromedario non deve essere un’impresa semplice
"Ma che strada avete percorso?" Chiedo. "Siete forse passati dall’Egitto Turchia Grecia ecc fino a raggiungere l’Italia , o avete attraversato lo stretto di Gibilterra e poi siete risaliti dalla Spagna"
Loro mi guardarono con tanto d’occhi sgranati. "Non conosciamo questi posti, veniamo da Kandar"
"Kandar mai sentito forse un paesino della Libia?"
"Libia?" Fece lei. "Veniamo dal gran deserto di Phadahara"
"Mai sentito, e dove si trova?"
"Nella regione della grande valle." Fece di nuovo la ragazza
Insomma non ci capivamo proprio.
"Allora andiamo con ordine, intanto non ci siamo ancora presentati, io mi chiamo Mario, Mario Saraceni."
"Hannnah." Fece la ragazza
"Candar." Disse lui e mi strinsero la mano, forse venivano da un luogo lontanissimo e stranissimo ma certe usanze sembravano conoscerle ancora.
Arrivati nel cortile di casa mia, parcheggiai vicino alla porta d’accesso
"Va bene adesso dovete stare tranquilli, vi ospiterò finché ce ne sarà bisogno."
"La ringraziamo dal profondo del nostro cuore." Mi dissero con un leggero inchino "è da settimane che stiamo fuggendo e siamo sfiniti, non conosciamo niente di questi luoghi, veniamo veramente da un altro modo."
A quelle parole scossi la testa. Come potevo credere che venissero da un altro mondo.
Poi Candar mi porse un vecchio libro in pelle. "Se non ci crede qua può trovare la storia del nostro mondo."
"Più tardi gli darò un’occhiata ma intanto entriamo, avete bisogno di un buon bagno, vi preparo anche qualcosa da mangiare, mi sembrate piuttosto affamati, poi vi darò dei vestiti, quelli dei miei figli vi dovrebbero andare bene. Alla fine con calma mi racconterete cosa vi è capitato."
Dopo il bagno, Hannah aveva indossato i vestiti di mia figlia che non le stavano per niente male, e Candar quelli di mio figlio, mangiarono come due lupi affamati. Ma il piacere più grande sembrava consistesse nel bere. Si scolavano lunghe sorsate d’acqua appena tolta dal frigo, con un piacere che non mai visto in nessun altro. Credo che non avessero mai assaggiato un’acqua così buona.
Poi ci accomodammo su un divano e mi feci raccontare quello che gli era capitato e come avevano fatto a finire nel centro cittadino portandosi dietro due dromedari.
Inutile dire che quando finirono il loro racconto rimasi alquanto incredulo, specialmente quando mi parlò del multiverso e del congegno che permetteva di raggiungere uno di questi presunti mondi paralleli.
"Senza un riscontro, è piuttosto difficile credervi."
Candar rimase in silenzio pensieroso, poi si riebbe "Il libro, il libro che ho portato potrebbe essere una prova." Poi scosse la testa "O forse no, bisogna vedere in quale degli infiniti universi siamo finiti, ognuno è leggermente diverso dall’altro e che siamo capitati proprio sulla stessa linea temporale è alquanto improbabile anche se quando siamo fuggiti non abbiamo avuto possibilità di scelta, e prima del salto c’è stato una specie di allarme che ha cominciato a suonare come se volesse avvertirci di qualcosa. A proposito in che anno siamo?"
"Oggi è l’11 settembre 2001"
"Aspetti un momento" Poi Candar corse a prendere il libro. Lo aprì e girò le prime pagine, mi sembra che la storia cominci proprio a partire proprio da questa data, non so se è un caso."
Un’intera facciata riportava la cronaca di un attentato compiuto da un gruppo di terroristi che avevano dirottato quattro aerei di linea e due di questi avevano abbattuto le torri gemelle.
"Credo proprio che siate finiti in un altro universo, è una storia così inverosimile." E per dimostrarglielo accesi il televisore. Sullo schermo apparvero due enormi grattacieli in fiamme, e proprio in quel momento una delle due torri cominciò a collassare.".