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Missione compiuta
di Mauro Gnugnoli
Pubblicato su PB19
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Sono ferito. Il rosso del sangue che cola dalla spalla si fonde con il nero della camicia. Le poche persone che incontro mi evitano. Guardano altrove. Non so se è la divisa o l’oggetto che stringo nella mano ad incutere più timore. Manca poco, intravedo già il Comando. Le luci sono accese. Mi stanno aspettando, e staranno pure ridendo di me. Cammino trascinando le gambe. Sono stanco. Siamo all’epilogo, sprazzi di vita passano veloci nella mente. L’infanzia vissuta in miseria con un fratello maggiore e genitori distrutti dal lavoro. Poi è arrivato quell’uomo. Partito da Predappio aveva conquistato Roma e sembrava essere la panacea di tutti i mali. “Perché non seguirlo Berto?”Diceva fratellone Armando. Ed eccoci lì con le nostre uniformi: lucide, nere, impeccabili, ad inseguire un’ideale dissoltosi però come neve al sole lo scorso 8 settembre. “E' tutto finito Berto, vieni con noi, il Re è fuggito e il Duce lo hanno arrestato. Ora dobbiamo farla noi l’Italia!” Cercavano di convincermi, Armando e gli amici camerati, poco prima di darsi alla macchia per servire la causa partigiana. Parole solo parole. Non volevo più che nessuno decidesse del mio futuro. Purtroppo la scelta di diventare un Repubblichino è stata un ennesimo fallimento. “A morte i partigiani. Sono banditi assassini.” Ripetevano i gerarchi. “Non bisogna avere pietà.” Insistevano il giorno prima dell’agguato camuffato da posto di blocco. “E' necessario tornare in possesso di quelle armi!” E noi, accecati dall’odio, a sparare come pazzi contro il camion sospetto. Immagini confuse nella foga dell’azione. L’autista rantola ferito. Un colpo alla nuca e braccia che penzolano lungo lo sportello. Sono confuso, Pasquale mi strattona. Dai Berto, scopriamo il cassone. Non abbiamo tempo da perdere.” Poi la scoperta, sotto il telone solo grano, non armi ma grano. Agghiacciante la vista del corpo rivellato dai colpi ed è amaro constatare che è sangue del mio sangue a tingere di rosso quel grano. Sono così arrivato al Comando. Alla ricerca di giustizia in un paese che pare aver dimenticato il significato di questa parola. Li sento ridere. Spalanco la porta. Di colpo il silenzio riempie la stanza. Vedo salire la paura negli occhi mentre guardano l’oggetto che ho tra le mani. “Allora camerata … missione compiuta?” Domanda agitato l’ufficiale Tedesco, il nostro vero Capo dopo l’occupazione. "Non sono Caino.” Rispondo mentre tolgo la sicura dalla spoletta. “Ora è compiuta!” Sono le ultime parole prima che la bomba tocchi il pavimento.
©
Mauro Gnugnoli
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