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“Hai cantato a sufficienza nella tua vita?” chiese il bambino a quell’uomo, guardandolo fisso nelle pupille nascosto nella penombra. La luce della finestra gli illuminava il volto famigliare. “Penso di sì” rispose l’uomo sorpreso. “Ho dovuto urlare quando la rabbia ed il dolore dovevano uscire per non corrodermi da dentro. Ho sussurrato flebili melodie quando chi avevo vicino doveva addormentarsi. Ho intonato per ore versi per confondere il mal di mare, aggrappati sul ponte, la tempesta intorno." “Ed è servito sempre a salvare te e chi amavi?” “Si, penso di sì.” “E ti ha aiutato a tenere quelle persone vicino ancora oggi?” “No.” “Avresti dovuto cantare di più allora.” “O di meno”. Ma il bambino non ride. Impossibile. Ma non ride. “Hai sognato a sufficienza nella tua vita?” “Direi di sì. Ho sognato ad occhi aperti. Ho sognato quando faticavo per scalare pareti ruvide e fredde, calpestando gradini spugnosi e ripidi. Ho sognato sudando sullo strumento, pestando un palco e mettendomi a nudo. Ho sognato guidando nella notte fino allo stremo per arrivare nel posto in cui volevo essere con chi mi aspettava. Ho sognato di liberarmi delle catene spigolose che mi ero lasciato mettere. Ho sognato di essere ancora più felice, quando già lo ero. Ho sognato di superare i famelici ostacoli ingordi ed assetati del mio stesso midollo ” “E sognare ti ha aiutato a farlo?” “Non lo so. Direi di sì, immagino” “Hai superato tutti gli ostacoli che ti volevano divorare?” “Alcuni sono stato costretto a lasciarli incedere. Li ho aggirati. Mi hanno costretto a farlo, il resto del mondo” “Avresti dovuto spingere e lottare più forte.” “Hai riso fino alle lacrime?” “Direi di sì. Ho riso tutte le volte che la compagnia degli amici o degli amori mi hanno fatto toccare il cielo con un dito. Mi hanno reso immortale. Ho riso fino a farmela nei pantaloni, non potendo resistere, da piccolo. Ho riso quando motivi non ce n’erano. Ho riso sostituendo il pianto. Ma ho pianto quando non riuscivo a ridere.” “Ridere ti ha salvato?” “Direi di sì.” “Se tutto ciò che mi hai detto è vero, perché stai piangendo oggi?” “Perché ti ho deluso.” “Avresti dovuto ridere più forte”. “Per ogni risposta che ti ho dato mi hai ripreso. Anche per questo piango. Mi hai detto che avrei dovuto curare di più ogni cosa che ho provato a fare nella mia vita.” “Vedi, è vero che l’ho detto. E lo ripeto anche. Ma non c’è mai abbastanza ardimento nel senno di poi. Posso dirlo, da dove sono io. E’ il mio ruolo. Ma so che hai messo tutto te stesso in ogni cosa, hai stremato e superato i limiti che immaginavamo avessi. In ogni scelta. Questo fa di te l’uomo che sei oggi. “Tu avresti voluto esser diverso. Penso a come e quando abbia sbagliato." "Potresti morire continuando a porti domande che forse risposta non avranno mai. Per fortuna, aggiungerei." "Non riesco a sopportare l'idea di aver fallito. In alcuni bivi ho imboccato il sentiero sbagliato, mi son fidato troppo o troppo poco. Ho peccato di perseveranza o codardia, ho dato per scontato o mi son coperto di tuniche di cinismo. Ed anche quando ho cercato di avere più cura, di costruire solidamente qualcosa, qualche terremoto ha portato acqua alle fondamenta." "E cosa hai fatto?" "Ho vegliato sulla voragine di fango, fino a che gli occhi hanno resistito a non chiudersi". "Ogni passo che hai fatto, ha lasciato un'impronta. Da qui posso scorgere il cammino nella sua interezza, libero dalla contingenza." "Avresti voluto vedere orme diverse nel mio peregrinare. In diverse direzioni, su altri terreni, Magari altre orme, oltre alle mie." “Io sono solo un bambino, non lo vedi? Cosa vuoi che sappia di com’è crescere, quali siano le sofferenze, gli sbagli, i torti inflitti e quelli subìti, le porte sbattute in faccia e quelle mai aperte, gli abbandoni, le vittorie, i rimpianti o i rimorsi. Immaginavo una strada diversa? Forse. Ma quello che vedo non mi dispiace. Una parte dei miei sogni rimarrà sempre. Ma questo è vero proprio perché ne rimane sempre una parte in te. Questo significa che alcuni dei miei sono stati realizzati e che proprio queste vittorie ne hanno generati altri, magari uguali, magari diversi, magari migliori o magari peggiori. Questo è il nostro mondo e dobbiamo farne i conti. Non ti crucciare, io sono orgoglioso di te.” “Grazie. Questo per me è vitale.” “Lo so bene. Lo è anche per me.” Disse il bambino. “Ora accendi la luce”. Senza distogliere lo sguardo reciproco l’uomo fece scattare l’interruttore. La luce restituì i suoi occhi, ancora nudo e bagnato, a fissarsi nello specchio.
©
Ergo Egogigolo
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