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-Stamattina sono arrivata al lavoro presto e lui era lì, capisci?- urla Susy per sovrastare il rumore della sirena, -Sì, sono arrivata mezz’ora prima e lui era già lì. Gli ho chiesto cosa ci facesse già in ufficio e lui mi ha fatto lo sguardo da orsacchiotto… da ORSACCHIOTTO... capisci? L’ambulanza sterza di colpo e io non capisco nulla e sento che potrei vomitare anche l'intestino retto. Il Nero al volante insulta qualcuno dal finestrino: -Fai in modo di non aver mai bisogno di me, IDIOTA.- dice a quello che gli ha tagliato la strada. Immagino che l’idiota abbia lasciato la leva della marcia e si sia toccato i gioielli. -Io lì per lì ho fatto la tonta, ma poi mi sono avvicinata…-, continua imperterrita Susy. E’ in piedi, si tiene a una barra attaccata al soffitto ma sembra tranquilla come sul tram. Faccio di sì e se non la conoscessi da un pezzo, penserei che mi stia raccontando queste cose per invitarmi a provarci. -Beh, mi ero messa la gonna corta e lui si è intrufolato con le mani di sotto. Susy è così, ti racconta tutto, tu non puoi far altro che ascoltare, a volte dirle che ha fatto bene. Siamo volontari per il 118 io, Susy e il Nero. Qui si trova gente di tutti i tipi. Molti, neanche dopo anni capisci perché lo facciano. Susy è il tipo “avevo un amico che è morto in macchina, sono rimasta di sale e ora voglio fare qualcosa per aiutare il prossimo”. Io, quando ho iniziato, ero sotto l’effetto di E.R., il serial. Voglio dire, allora mi sembrava che in un pronto soccorso la vita fosse un po’ più vera, meno banale. -E a te come va?- dice intendendo chiaramente la mia storia maledette con Lucia. -Hai visto quanti turni ho fatto il mese scorso? -No. -Tredici, tre sere settimanali più il trasporto anziani del sabato. La mia vita sociale, ormai, ha il suo picco quando il gruppetto delle signore ottantenni mi invitano per la partitina a Burraco. -Perché, ci vai? -Lascia stare. Lucia è la mia vera ragione di volontariato. No, non voglio dire che Lucia abbia bisogno di aiuto, è che ho frequentato il corso per volontari del soccorso perché si era iscritta anche lei. -Lo sai che te lo dico senza offesa ma… certo che sei proprio sfigato. -Non tirare fuori ancora quella storia. -E’ che mi fa ancora spanciare. -Non provarci. -Oh Nero,- urla Susy per farsi udire – raccontami ancora di quel turno in cui tu, Mattia e Lucia avete salvato uno che si voleva ammazzare e che poi si è messo con Lucia. Susy spesso è come un gatto che si rifà le unghie sui tuoi testicoli. -Belle gnocche, se avete finito con i racconti del cuore ci sarebbe da scendere per l’intervento.- Credo che il Nero abbia un debole un debole per Susy, aspetta paziente l’occasione; ma per il momento frena bruscamente, giusto per mantenerci vigili, e spegne la sirena. Lascia il lampeggiante acceso. Io e Susy non ci guardiamo neanche, lei prende il defibrillatore e l’aspiratore e io prendo lo zaino con tutto il resto. Appena scesi vediamo una donna in ciabatte; con una mano ci chiama e con l’altra si tiene la giacca stretta al collo. Susy corre da lei e io arranco con lo zaino sulle spalle. C’è di tutto nello zaino: medicinali, ago-cannule, siringhe, lacci, disinfettanti, il kit di intubazione e perfino le clip ombelicali; mai fatto nascere un bimbo però. Donne incinte sì, siamo andati a prenderle, ma hanno sempre resistito fino all’ospedale. La donna ci conduce all’entrata, parla del secondo piano e ci lascia passare. E’ preoccupata senza essere disperata, ha l’aria della vicina di pianerottolo premurosa. Non c’è ascensore, Susy fa due gradini ad ogni passo e io non le sto dietro. Quando arrivo nell’appartamento, lei sta già parlando con un tizio sdraiato su un letto matrimoniale. Nella camera c’è puzza di sudore rancido. Capisco di invadere la casa d’altri solo quando sento gli odori. Ogni abitazione ne ha uno particolare. Qui si sente ancora l’odore della cena, di piatti ricchi e unti. Abbiamo la nostra procedura io e Susy; prima la chiacchierata col paziente, poi quella con i parenti e infine il consulto fra noi. Il gioco consiste nello scoprire la verità mettendo insieme le varie versioni. Il premio è il viaggio al pronto soccorso. Il tizio è in canottiera e pantaloni del pigiama. I peli neri del torace sbucano disordinati dalla scollatura. Susy chiede quale sia il problema. Io mi sento soffocare e dico a una che sembra la moglie di aprire la finestra. Lei obbietta che Salvatore potrebbe prendere freddo, io rispondo che un po’ d’aria gli farebbe bene; quando si indossa questa divisa le persone ti cedono volentieri il comando e anche la signora ubbidisce. Una bimbetta bionda zampetta in camera sgusciando tra le nostre gambe e chiede al papà di andare con lei a vedere la televisione. Il tizio sul letto mette su un bel sorriso tirato e le risponde di correre in sala che tra un po’ arriverà. Salvatore dice di aver male al petto e al braccio sinistro, di sudare e di far fatica a stare in piedi. Susy ed io ci mettiamo più attenti; questa per un volontario è la maggior catastrofe possibile: probabile attacco di cuore. Ai volontari non è chiesto tanto, non hanno una preparazione approfondita, quello che devono fare è portare il paziente all’ospedale, possibilmente vivo. In un incidente stradale, quando i corpi sono incastrati tra le lamiere, spesso è tutto concluso prima del tuo arrivo. E’ con un infarto che il volontario gioca al dottore, è con le sue braccia che spingono sul petto che può fare la differenza. Susy mi guarda. Tiro fuori lo sfigmomanometro per la pressione e il saturimetro per l’ossigenazione del sangue. Lei se ne va fuori dalla stanza per parlare alla radio con la centrale, io faccio le misurazioni. Potrebbe essere una questione di minuti passare dai sorrisi forzati alla moglie in lacrime. Salvatore si concede a me totalmente, ha capito l’urgenza del mio sguardo; non obbietta nulla quando gonfio la fascia che gli ho messo sul braccio fino a bloccare il sangue. Non protesta nemmeno quando ripeto l’operazione perché non ho capito la pressione massima. La sua grossa pancia va su giù per respirare e mi viene in mente un sufflè malriuscito che prima si gonfia e poi si affloscia. Salvatore mi chiama dottore e io in questi casi non so mai che fare; se confesso di non essere nemmeno un infermiere le persone si agitano, così faccio finta di nulla. Nel frattempo Susy torna: -Mattia, tra cinque minuti arriva il medico per un controllo.- dice a voce alta. Susy a volte è come un torrente. -E voi cosa siete?- chiede allora Salvatore. Mentre Susy spiega che siamo dei volontari, vedo una leggera inquietudine formarsi sul suo volto. Ha capito l’inganno. Per anni la televisione ha urlato che c’erano troppi laureati in medicina e a lui neanche un infermiere è toccato. Nel frattempo il Nero ha portato la seggiola con i manici retraibili per trasportare il paziente giù per le scale. -Si carica?- il Nero ha sempre fretta. E’ contento di fare i turni ma, quando ha un paziente fra le mani, non vede l’ora di scaricarlo al pronto soccorso. Dopotutto è il suo compito. Poi all’improvviso Salvatore diventa pallido e guarda il soffitto. Noi, che a certi segnali non siamo indifferenti, spalanchiamo gli occhi. D'istinto cerco a terra la piccola borsa gialla del defibrillatore semiautomatico. Mi auguro di non doverla aprire. Un volontario può aver fatto centinaia di interventi ma, finché non farà quell’intervento, non saprà se è una persona impressionabile. A me, la rianimazione, negli ultimi cinque anni, non è mai capitata. E faccio il volontario da cinque anni. Certi altri fanno la metà dei turni mensili che faccio io e sembra che abbiano un conto personale con l’aldilà. Salvatore continua a guardare il soffitto e noi lo chiamiamo. Lui però è assente. I sudori freddi cominciano ad arrivare a me. A un tratto si gira verso di noi, spalanca la bocca e con un fiotto chiaro scaraventa tutta la cena sulla camicia di Susy. Lei si guarda la camicia e poi incredula mi fissa. Chissà se il suo collega, stamattina, avrebbe avuto lo stesso atteggiamento maschio immaginandola conciata così. Certe associazioni mentali possono essere pericolose per la libidine. Salvatore però riprende a respirare e incredibilmente sorride. Ha voglia di scherzare, chiama la moglie, cerca la figlia, si è già dimenticato di noi. Il campanello suona e vado a prelevare il dottore. Dopo l’elettrocardiogramma non ci sono incertezze, il medico dice che è stato un problema di stomaco, sul pavimento ci sono ancora le prove. Susy va in ambulanza a ripulirsi: ha la cena del tizio anche nei capelli. A me il sangue non fa un grande effetto, ma l’odore del vomito sì. Il Nero ricompare e mi aiuta a portare giù tutto. Sembra deluso di non dover correre passando i semafori rossi. Chiede a Susy se ha bisogno di una mano e poi sbircia dal finestrino. Sulla strada del ritorno prendo la radio, aspetto che un’altra ambulanza finisca la comunicazione e dico che siamo liberi.
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Massimiliano Govoni
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