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Era una calda giornata estiva del 1974. Nelle prime ore del pomeriggio, una bambina di circa otto anni riposava prona, con braccia e gambe distese, come in volo, sul letto dei genitori. I suoi capelli erano corti, ricci, rossi, ma nella penombra della stanza sembravano scuri. Un raggio di luce, proveniente da una fessura delle imposte accostate, finiva tra le pieghe del lenzuolo bianco, vicino alla sua mano chiusa a pugno. La bimba sbuffò, sollevò la testa con uno scatto, aprì le mani e si sollevò un poco, poi ricadde pesantemente sul letto. I suoi occhi chiari, coronati da folte e lunghe ciglia, erano aperti. Guardò il raggio di luce che, finito tra le pieghe delle sue dita, trasformava la pelle abbronzata e liscia in una strana materia tra l'arancione e il rosa acceso, luminescente e quasi trasparente. Il lenzuolo, di lino grezzo, formava pieghe scomposte sotto il suo corpo accaldato e cominciava ad irritarle la pelle nuda. La bambina mosse la mano e notò che il raggio di luce pareva attraversarla in punti diversi, poi guardò il continuo movimento delle particelle di pulviscolo lungo la scia luminosa. Era polvere, lo sapeva, però a momenti quei puntini brillavano, o si coloravano e poi scomparivano. La bambina si girò, ancora sbuffando, supina, le mani e le braccia aperte. La stanza era bassa, quasi spoglia. Sulla parete bianca davanti al letto poggiava un ampio armadio di legno scuro, con sobri intarsi floreali lungo il bordo. Sulla stessa parete su cui si apriva la porta, una cassettiera di legno più chiaro e lucido sorreggeva uno specchio con bordo dorato, a volute. Ai lati del letto, i comodini per le lampade da lettura: semplici sfere di vetro opaco sorrette da colonnine di ottone. La bambina osservò le venature del legno lucido della cassettiera, per scoprirne la ripetitività nel disegno e le piccole differenze. Riconosceva in esse forme sempre diverse, di animali e persone. Le finestre, sulla parete opposta alla porta, erano due, strette ma profonde, così che ciascun davanzale poteva ospitare una fila ordinata di barattoli di vetro, contenenti cetrioli e peperoni conservati nell'aceto. Nella semioscurità, dei barattoli si distingueva appena il profilo, ma la bambina ne percepiva la presenza, poiché a tratti l'aria si faceva acre, come se quello fosse l'alito dell'estate. Dall'esterno, arrivò improvviso il grido sgraziato di un gallo, seguito dal confuso schiamazzare del resto del pollaio. Fuori c'era la campagna, avvolta nel torpore delle ore più calde. Ora il sole colpiva le imposte con più forza e una larga striscia di luce proiettava sul soffitto l'ombra capovolta della madre, che a quell'ora stendeva i panni in cortile. La bambina ne seguì i movimenti come fosse un film, immaginando la cesta con la biancheria profumata di sapone, la madre nell'abito a fiori azzurri e i capelli raccolti in una grossa treccia rossa. Quando l'ombra sparì, le sembrò di sentire la fragranza emanata dai tessuti bagnati, sospesi nel sole. Aveva gli occhi chiusi quando sentì le risate e lo scalpiccio dei giochi dei bambini grandi giù in cortile. Si risvegliò dal momentaneo torpore e pensò che, in fondo, anche lei avrebbe potuto evitare il riposino pomeridiano, ormai. Però era la più giovane dei fratelli, così i suoi genitori si erano dimenticati di farla crescere. Restando sempre distesa, cambiò più volte posizione, cercando il punto più fresco, calciando ai piedi del letto il ruvido lenzuolo. Persino i capelli le davano fastidio, appiccicati alla nuca, dalla quale pulsavano vampate di calore. Si ricordò di quel trucchetto per vedere le stelle di tutti i colori che aveva scoperto tanto tempo prima: bastava chiudere gli occhi e schiacciare forte sulle palpebre. Lo fece e le piacque, come sempre, ma pensò che forse non si doveva fare. Si mise su un fianco. Aveva meno caldo così e sentiva il suo corpo piacevolmente sospeso. Richiuse gli occhi. Si immaginò di avvicinare pollice e medio, di unire i polpastrelli e di racchiudere in essi una particella piccolissima, un puntino, più piccolo di un granello di polvere. Tutta la sua mente e il suo corpo erano lì, nell'infinitamente piccolo e poi, come per una esplosione, da lì si espandevano tutto attorno, in un vuoto emozionante, completo. La colse una vertigine intensa, che era stupore e gioia. Fu solo un attimo. Il cuore le batteva forte, quando pensò che un giorno avrebbe trovato le parole giuste per descrivere quell'attimo. Poi, come succede ai bambini, all'improvviso si addormentò.
©
Cristina Lanaro
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