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Dalla parte del manico
di Paolo Landi
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– Come si sente? – domandò il medico osservando attentamente il manico del coltello da cucina che sporgeva dalla schiena dell’uomo. – Ho visto giorni migliori, dottore – rispose il paziente, un signore sulla quarantina, alto e grosso, pochi capelli neri, uno che, a quanto sembrava, non perdeva il controllo facilmente. – Non ho dubbi in proposito. Sdraialo sul lettino – disse rivolgendosi poi alla sua assistente, una ragazzona robusta che lo sosteneva per le ascelle. – A pancia in giù – aggiunse vedendo l’espressione incerta e un po’ inebetita di quella, che chi non la conosceva avrebbe avuto il dubbio se fosse sotto shock o proprio fatta e finita così. – Ho dei coltelli assolutamente uguali a questo a casa, – disse il dottore, a cui era rimasto tutto il compito di sostenere la conversazione – non è che è stata la mia vecchia mamma, eh? No, perché in questo caso una condanna per omicidio sarebbe davvero provvidenziale: una prigione è ben più economica di quelle case per anziani dove, solo perché sei medico, danno anche per scontato che tu sia milionario. Igor, così si chiamava il moribondo, pensò che doveva essere una terapia, che il medico stesse cercando di distrarlo per evitare che si preoccupasse, che si lasciasse prendere dal panico. Aveva spesso sentito dire come la tranquillità psicologica del paziente fosse, per qualunque malattia, un requisito fondamentale per una pronta guarigione. Doveva essere un bravo medico. Ad ogni modo quando il dottore disse all’assistente che, se aveva fretta, poteva pure andare, tanto non poteva essere d’aiuto, fu percorso da un brivido. Avrebbe preferito ci fossero testimoni. – Temo di doverle dare una brutta notizia: – riprese il medico, dopo un esame superficiale della ferita – credo proprio che il suo giubbotto sia da buttare. Certo, – aggiunse dopo qualche istante – è davvero il piercing più originale che abbia mai visto. Igor si costrinse a sorridere apprezzando gli sforzi del dottore per tenerlo su di morale. – Ora le chiamo un’ambulanza, è certamente meglio se la curano in un ospedale. Anche perché io sono un ortopedico – aggiunse con sadica precisione. – E magari anche uno squillo alla polizia: non ho idea di come il coltello sia arrivato lì, ma foss’anche sfuggito di mano all’irreprensibile massaia dal sesto piano, presumo che questo sia affare loro. Comunque non si preoccupi, – disse poi con studiata noncuranza, come se si trattasse di un’informazione di secondaria importanza – non è grave: nessun organo vitale è stato lesionato. Già da ora le posso diagnosticare una guarigione rapida e definitiva – e sottolineò quel termine, “definitiva”, in un modo tale che, chissà perché, il paziente ne rimase turbato. – Fa male? – domandò dopo una concisa telefonata in cui chiedeva urgentemente un’ambulanza. – Vuole che le inietti qualcosa? – È lei il dottore, ma se si potesse alleviare un po’ il dolore... L’ortopedico, appena conclusa la domanda, aveva già cominciato ad armeggiare con boccette di medicinali e aveva preparato una siringa così grossa che fece subito rimpiangere al paziente di non aver mentito dicendo che stava benissimo. Si avvicinò al ferito con aria distratta, come se fosse assolutamente normale per lui ritrovarsi nello studio un uomo con un coltello piantato nella schiena e, facendo l’iniezione, riprese a parlare. – Non per farmi i fatti suoi, ma è che sono un tipo curioso: cosa le è successo? – A dire il vero, non ne ho la minima idea – disse l’accoltellato dopo qualche secondo di indecisione, pensando che se il medico era curioso, allora si faceva i fatti suoi. – Lo so che sembra incredibile, ma io camminavo per strada per raggiungere la mia auto, parcheggiata proprio qua sotto, quando ho sentito una fitta alla schiena e mi sono accasciato al suolo. Ho capito che era stato un uomo perché ne ho sentito i passi che si allontanavano rapidi. Mi sono rialzato, ho visto la targa “Studio medico” vicino al citofono e ho pensato che avrebbe potuto essere utile. È stata la sua assistente a dirmi che avevo un coltello nella schiena. – Eh sì, alla mia assistente non sfugge mai nulla. Certo che è davvero singolare. Quindi non riesce a formulare nessuna spiegazione per questa aggressione? – Assolutamente no. – Beh, ma avrà una qualche idea, avrà notato qualcosa, magari sospetta qualcuno... – No, no, assolutamente no. – Eppure sono certo che ragionandoci su riusciamo a capirci qualcosa. Non prenda la mia come morbosa curiosità, il fatto è che sono un appassionato di gialli, come potrebbe intuire con un’occhiata alla libreria che sta alle sue spalle, se solo potesse voltarsi, e sono convinto che con la sola deduzione si possa comprendere molto, anche in un caso decisamente misterioso come questo. Le va di fare questo tentativo? – Certo, anch’io voglio capire cosa è successo, anche se non credo che potremo scoprire granché – disse l’uomo che comunque supponeva si sarebbe trattato dei pochi minuti necessari all’ambulanza per arrivare. E l’altro, quasi ne avesse intuito il pensiero, disse: – Va bene, allora, mentre aspettiamo di sentire la sirena, ritengo che prima di tutto dovremmo identificare il movente dell’omicidio. – Tentato omicidio, ci terrei a sottolineare. – Già, certo, mi perdoni, tentato omicidio. Dunque, il movente principale in questi casi rimane sempre quello sentimentale. Lei è sposato? – Sì, sono sposato, ma posso assolutamente escludere che mia moglie... – Sposato, ma senza fede. La maggior parte delle donne ucciderebbe per molto meno. – No, aspetti, sono senza fede perché... – Perché è stato in piscina, certo. Ha i capelli bagnati e c’è una piscina in fondo alla via; ha tolto la fede per non perderla in acqua. Comunque questo non prova niente. Lei ha un’amante? Risponda sinceramente, tanto rientra nel segreto professionale e io non potrò riferirlo a nessuno. – No, non ho un’amante, è la verità. – Va bene, le credo. Ma l’amante potrebbe averlo sua moglie. E magari hanno deciso di eliminarla. Igor cominciò a seccarsi, il giochino del dottore non lo divertiva poi tanto e anche se sentiva l’urgenza di scoprire la verità, e quel tipo sembrava davvero in grado di riuscirci, lo infastidiva il fatto che prendesse questa faccenda come uno dei suoi libri gialli, quelli stavano nella libreria alle sue spalle. Ma non c’era verso di fermarlo. – Del resto, converrà con me che il delitto era premeditato e che è stato compiuto da un principiante. Premeditato perché nessuno va in giro con un coltello da cucina a pugnalare i passanti senza ragione e compiuto da un principiante perché l’assassino, cioè, l’aspirante assassino, ha commesso una serie di errori colossali. Intanto ha lasciato l’arma del delitto, – e mentre diceva questo contava con le dita, partendo dal mignolo e spostandosi verso il pollice – poi si è accontentato di sferrare un solo colpo, senza preoccuparsi del fatto che fosse o meno mortale. Ammetterà anche lei, anche se probabilmente vede le cose da un punto di vista diverso, che è assolutamente imperdonabile, cercando di uccidere qualcuno, andarsene senza essere certi che la vittima non abbia possibilità di salvarsi. D’altra parte bisogna dargli atto di avere scelto accuratamente il luogo del delitto, un vicolo poco frequentato, buio e a quest’ora quasi deserto, essendo per la maggior parte fiancheggiato da uffici. Ma probabilmente la sua è stata solo fortuna, dovuta al fatto che lei avesse parcheggiato qui. – Già una bella fortuna, perché non lascio mai la macchina in questa viuzza dove è difficile trovare posto – disse amaramente la vittima, che stava suo malgrado prestando molta attenzione alle conclusioni del medico anche se rifletteva sul fatto che se il brav’uomo avesse letto meno romanzi gialli e più libri di medicina, a quest’ora l’aveva già rimesso in piedi. – Certo, perché stanotte c’è il lavaggio strade nella via principale e tutti posteggiano qua, invece lei, uscendo ben prima di mezzanotte, non ha problemi. Ma torniamo un attimo sul fatto che il tentato – e sottolineò “tentato” come se l’usare quel termine fosse un favore personale che faceva al paziente – omicidio fosse premeditato. Infatti mi sento di escludere che il movente fosse quello del furto. Non le hanno rubato niente, no? – No, niente, come le ho detto quel bastardo ha fatto a malapena in tempo a pugnalarmi che già correva via – e dicendo questo, solo per un attimo la pacatezza dell’accoltellato lasciò trapelare la rabbia finora sepolta. – Ecco, ecco, – si accese subito il medico, come se avesse sentito pronunciare il nome stesso dell’assassino – questo è sicuramente un dato importante: sembra quasi che non fosse interessato al risultato della sua azione, voleva piantarle il coltello nella schiena, ma del resto non gliene importava nulla. O almeno così parrebbe dalla sua descrizione degli eventi. Poteva essere uno psicopatico, un pazzo o uno in cerca di notorietà o almeno di un trafiletto nella pagina della cronaca di un quotidiano. Sembra incredibile eppure se ne leggono di cose assurde, ogni giorno, su un qualunque giornale. Direi di tenere questa idea da parte, quella per cui l’hanno accoltellata per la fama, e di continuare la nostra analisi. Quando il dottore se ne usciva con queste frasi, la convinzione che per lui si trattasse solo di un gioco, di una storia uscita da un romanzo, si riaffacciava con prepotenza alla mente di Igor e la tentazione di interrompere quella conversazione era forte. Ma tanto alzarsi e andare via non poteva farlo. – Ma quest’ambulanza? Si sono persi? Non sarà il caso di sollecitare? – In effetti ci stanno mettendo parecchio, ma concediamogli ancora qualche minuto, poi, se ce ne sarà bisogno, richiamerò. Va bene? Non andava bene per niente, ma Igor non volle dirlo e annuì con un grugnito. Era sempre stato un tipo resistente, di quelli che ne passano di tutti i colori, ma non si lasciano impressionare. Nell’arco della sua vita si era rotto almeno una volta buona parte delle ossa principali del corpo: da piccolo era sceso con la bicicletta dallo scivolo, ma dalla parte dei gradini, più grandicello era saltato a piedi uniti da uno scoglio alto sette metri e solo quando era in volo aveva scoperto che l’acqua cominciava parecchio più in là, poi un autunno dell’adolescenza aveva deciso di attraversare a nuoto un torrente di montagna, ma non si era accorto del fatto che poco a valle ci fosse una cascata e si era fatto un bel tuffo, fino a dieci anni prima aveva praticato il parapendio e si era spiaccicato al suolo in modo non proprio ortodosso più di una volta. Insomma, era uno di quelli che tutti considerano pazzi, ma che invece da parte loro si considerano, non senza un certo orgoglio, dei duri. Eppure in quella situazione temeva di non farcela e nonostante nascondesse le sofferenze al medico, queste non erano da poco. Ma il fatto che gli fosse stato iniettato un antidolorifico e che la ferita non fosse grave gli faceva ritenere fosse suo dovere resistere stoicamente. – Potrebbe anche essere che il malvivente volesse derubarla, ma poi, spaventato dal suo stesso gesto, si sia lasciato prendere dal panico e sia fuggito. Sì, a ben pensarci questa ipotesi mi sembra più plausibile di quella del giornale. Immagini di essere un rapinatore alle prime armi, una volta si sarebbe detto un drogato, oggi invece vanno di moda gli extracomunitari… diciamo che è un extracomunitario, segue la vittima armato di un coltello da cucina, probabilmente solo per mettere un po’ di paura, le arriva vicino, ma si lascia prendere dal panico e le pianta la lama nella schiena, poi, spaventato, fugge. Dimenticandosi pure di prendere portafogli e cellulare. Sembra funzionare, le pare? – Già, sembra funzionare. – Eppure mi sembra strano – riprese il dottore dopo qualche attimo di esitazione. – Insomma che uno con tale paura e insicurezza, arrivatole alle spalle decida di accoltellarla quando ancora può filarsela, non è logico: se si fosse scoperto impreparato avrebbe potuto benissimo voltarsi e tornare sui suoi passi. Non crede che sia strano? – In effetti è strano – convenne Igor, che ormai si limitava ad assentire a tutto ciò che il medico diceva. – Non ci resta che cercare tra gli altri moventi – e mentalmente spulciò i suoi romanzi, che stavano nella libreria alle spalle del ferito, cercando quelli in cui il delitto era causato dagli impulsi più singolari. – Pensa che qualcuno potrebbe avercela con lei per motivi di lavoro? Di cosa si occupa? – No, no, non credo proprio. Sono impiegato in una grande società, ma non sono un dirigente o un pezzo grosso. Sono un semplice dipendente. – Capisco. E nella vita privata? Ha litigato con qualcuno di recente o anche non di recente? – No, dottore – rispose lasciando stavolta trapelare tutta la fatica, fisica e psicologica, che quella specie di interrogatorio gli costava; gli pareva quasi di essere lui l’assassino alle prese con il tenente Colombo e pensò che se in due minuti non fosse arrivata l’ambulanza avrebbe pure confessato un tentato suicidio – io sono un tipo assolutamente normale e tranquillo, sono certo che nessuno vuole uccidermi per qualcosa che ho fatto. Non sarà il caso di riprovare con l’ambulanza? Disse queste ultime parole con un filo di voce, tanto che il medico sembrò non udirlo e invece proseguì imperterrito con i suoi ragionamenti. – Allora escludiamo anche i rancori personali. Non rimane molto: pazzi, sadici, maniaci, serial killer... Mi sento di escludere che possa trattarsi di una ritorsione della malavita. Non ha trovato un sacchetto di diamanti da qualche parte e ha deciso di tenerselo, vero? No, certo, queste cose succedono solo nei film, nella realtà nessuno uccide per dei diamanti; magari il vicino perché il cane gli ha pisciato sulla macchina, ma per diamanti proprio no... lei ha un cane? Seguirono alcuni attimi di silenzio in cui il medico, misurando lo studio con lunghi passi, cercava di riordinare le idee, di capire se qualche informazione fosse stata trascurata o non tenuta in debita considerazione, mentre il moribondo, immobile più che mai sul lettino, si riprometteva, se fosse uscito vivo da quella situazione, di tornare e accoltellare a sua volta il dottore, farlo sdraiare ed esaminare minuziosamente le implicazioni psicologiche del gesto. – Mi duole farlo, – riprese infine l’investigatore – ma temo di dover tornare sull’ipotesi forse più dolorosa, quella da cui siamo partiti, quella secondo la quale si tratta di una questione di cuore: ad attentare alla sua vita è stata sua moglie, con la complicità dell’amante. E nonostante disse queste parole con l’assoluta convinzione di chi enuncia una realtà evidente e inconfutabile, anzi, forse proprio per questo, Igor non si prese neanche la briga di rispondere, chiuse gli occhi e si sforzò di non ascoltare. – Ora, è possibile che i due amanti siano ingenui e abbiano commesso così tanti errori che stanotte stessa verranno arrestati dalla polizia. Ma sarebbe strano: per quanto impreparati avranno pure pianificato la cosa per parecchio tempo. Lei sa meglio di me come vanno queste cose, ci avranno pensato settimane, mesi, forse anni; certo non è stato un gesto dettato da un impulso irrazionale e improvviso. Questo mi lascia pensare che sia possibile non abbiano commesso così tanti errori come potrebbe apparire. Il ferito riaprì gli occhi e riprese, suo malgrado, ad ascoltare con attenzione: il tenente Colombo davanti a lui sembrava avere un’idea. – Lei ha detto che non trova mai posto in questa via, eppure oggi l’ha trovato. Strano. O la stanno seguendo da tempo, tutte le volte che va in piscina, aspettando questo momento, ma si sa che quando il marito è fuori gli amanti in genere preferiscono fare altro, oppure sono stati loro stessi a farle trovare il posto, magari tenendolo occupato fino a poco prima del suo arrivo. Potrebbe essere, no? Poi possiamo supporre che si siano procurati l’arma del delitto in un posto a cui assolutamente non sono legati, magari sottratto in un ristorante, probabilmente da un altro tavolo, in modo da avere delle impronte digitali non identificabili, alla fine di una di quelle cenette a lume di candela che gli amanti fanno così volentieri prima di dedicarsi all’altra attività a cui alludevamo poc’anzi. Se andava avanti su quel tono, pensò Igor, non avrebbe resistito ancora molto e il dottore era fortunato che lui non riuscisse ad arrivare al manico del coltello che gli sporgeva in mezzo alla schiena; d’altra parte tutti i pezzi sembravano cominciare a incastrarsi, così non disse nulla. – Che cosa servirebbe ancora? Certamente un alibi a prova di bomba. Scommetto che sua moglie stasera è uscita con qualche amica – e siccome non aveva fatto una domanda non attese neanche una risposta, anche perché l’espressione allibita del ferito confermava tutto ciò. – Quindi manca solo un alibi per lui, il braccio dell’operazione. Ma, in fondo, a lui non serve un vero e proprio alibi, nessuno lo può ricondurre alla vittima, è pur sempre un amante segreto. Quello che invece gli serve è di poter agire indisturbato. Va bene la vietta buia, ma potrebbe non bastare, abbiamo del resto visto come una pugnalata data di fretta possa non essere mortale. E poi per sviare le indagini deve inscenare un furto, ma farlo in mezzo alla strada è troppo pericoloso; per ridurre i rischi bisogna ridurre il tempo dell’operazione. Eppure lei sa bene che un omicidio è qualcosa che va fatto con cura, bisogna prestare attenzione a tutti i particolari e d’altra parte sarà d’accordo con me che non è possibile caricarsi il corpo in spalla, metterlo in macchina seduto sul sedile del passeggero e portarlo a casa propria. No certo, ci vorrebbe un’altra soluzione. Ci vorrebbe che fosse lui stesso a suonare il citofono dell’assassino, a entrare nel suo studio e a sdraiarsi sul suo lettino. Disse queste ultime parole con noncuranza, scuotendo la testa come se si trattasse un’ipotesi assolutamente inverosimile, tanto che Igor non le comprese subito, le dovette metabolizzare qualche secondo prima di rendersi conto di quello che significavano e implicavano per il suo futuro immediato e non. Il medico attese con pazienza, poi, osservando lo sguardo improvvisamente terrorizzato del marito, si compiacque del proprio piano perfetto. – Finalmente ha afferrato! Vede, lei che dubitava! Invece su questo delitto abbiamo ormai scoperto quasi tutto. Cosa ci manca? Solo qualche dettaglio. Avrà capito che dopo averla accoltellata l’assassino è rientrato dall’ingresso sul retro e si è limitato ad attendere che la sua assistente, complice ignara, mi pare giusto specificarlo, e per questo ottimo alibi, ha atteso, dicevo, che l’assistente la portasse fino a lui. La polizia gli domanderà forse come mai lavorasse ancora, dato l’orario, ma vede, ipotizziamo che questo studio l’abbia appena aperto e si sa, ci sono molte cose da sistemare, è normale fare tardi. Certo, l’omicida ha corso un bel rischio: nessuno gli garantiva che lei avrebbe suonato al suo campanello, poteva benissimo chiamare un’ambulanza con il cellulare o salire in macchina e cercare di guidare fino ad un ospedale o anche tornare a cercare aiuto alla piscina. Ma il rischio è la parte bella del gioco, non crede? Bene, mi spiace dirglielo, ma temo le rimanga molto poco tempo, è ora di chiamarla davvero quest’ambulanza. Giusto un attimo per far sparire il suo portafoglio. Era innegabile: aveva lui il coltello dalla parte del manico. – Allora, – disse dopo una breve pausa per dare solennità al momento e per offrire alla vittima, se lo avesse desiderato, il tempo di dire qualcosa – pare sia giunta la sua ora. Le saluto sua moglie, va bene? Le prometto che penseremo a lei tutte le volte che mangeremo una bistecca insieme. Ma Igor aveva smesso, stavolta per davvero, di ascoltare. Definitivamente.
Nello studio del dottor Torrini, l’ispettore incaricato del caso faceva le domande di rito guardandosi in giro e curiosando in una libreria piena di romanzi gialli. – C’è solo una cosa che non mi è chiara in questa faccenda, dottore. Perché non ha chiamato subito l’ambulanza? Il medico spiegò così che l’ambulanza non era stata chiamata immediatamente per colpa di un’incomprensione tra lui e la sua assistente che quella sera aveva un impegno importante e quindi era andata via, ma a cui lui aveva chiesto di chiamare il 118 prima di lasciare lo studio. Ma la ragazza, probabilmente sotto shock, non aveva recepito l’ordine impartitogli. – Ho capito, – annuì annoiato l’ispettore – del resto il caso mi sembra fin troppo evidente: omicidio a scopo di rapina. Sarà stato uno di questi extracomunitari. Pugnalato alle spalle, senza neanche il tempo di offrire il portafogli di sua spontanea volontà. – Il poliziotto ormai parlava tra sé, pareva perso in un labirinto di pensieri che poco avevano a che fare con il delitto. Disse anche qualcosa sul fatto che la città era invivibile e la delinquenza fuori controllo, ma il dottore non lo sentì. Stava ripensando, compiaciuto, al suo omicidio perfetto. E a Susanna, la vedova di Igor: cercava di immaginarsi il suo viso, ma non ci riusciva. Del resto non l’aveva mai visto in vita sua.
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Paolo Landi
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