Sai Vittorio, non so come spiegare, ma ieri, telefonandomi, è stato come rompere, in qualche modo, un incantesimo. Un cordone ombelicale strappato coi denti. Una specie di violenza. Una penetrazione non voluta. Con i tuoi coglioni fin dentro la mia vagina. Fino a sentirmeli in gola. E soffocare.
Dopo un anno di mail tra di noi, sentire per la prima volta la tua voce, i tuoi accenti, ha deviato il percorso della nostra amicizia, in qualcosa di scontato. Di banale. Di “ciò che fanno tutti”. E cioè due amici che si chiamano per parlottare di cazzate, perché diventeremo questo non è vero? Due cretini che la finiranno ad ammettere che anche questo anno le stagioni non sono più le stesse, che si suda molto di più di un tempo, che si soffoca da svenire, ma che la maglia di lana va sempre bene.
Ora, quando ti scriverò, lo farò pensando alla tua voce, e non alla tua mente. Ora, quando ti sfogherò i miei casini lo farò ricordandomi la tua risata, e forse sarò meno sincera nella scrittura, come una figlia con suo padre. Si mente molto di più ad un familiare che non ad uno sconosciuto. Si vomita volentieri davanti ad un medico che non davanti ad un amante.
E tu ora questo sei diventato. Qualcuno che conosce proprio tutto di me, e da cui bisogna guardarsi bene d’ora in avanti, perché il coltello nascosto in una manica bisogna aspettarselo più da un parente che non da un passante.
Ho abortito un amore. Scivolato da un’ovaia senza un’emorragia d’avviso. Come pisciare un calcolo renale. Ora sono nuovamente sterile. Vuota. Contengo in me un utero avvizzito, oramai stanco di cercare di portare a termine gravidanze mentali. O dell’anima.
Anche stavolta questo bambino, questo amore, non ha voluto nascere. Ha capito in tempo che madre avrebbe avuto, e si è tirato indietro. Una specie di suicidio. Ha dato un ultimo respiro prima di lasciarsi andare alla non vita. Eppure, cominciavo ad abituarmi a lui. Me lo coccolavo da giorni. Settimane a parlargli di come sarebbe stata la nostra vita insieme. Delle nostre giornate messi là a fare niente, solo avvinghiati ad una affettività serena. A volte primitiva. O violenta. Ma vera. Partita dalle viscere. Che è la base della Terra.
Ora questo terremoto ha bisogno di giorni di assestamento. Di provare a non far crollare proprio tutto, e salvare ciò che si può. Anche una lacrima va bene, perché i sorrisi, non sono stata accorta in questo, sono andati tutti distrutti. Troppo avvezza all’infelicità, non ho riconosciuto ciò che di buono poteva restare, ed ho recintato meglio pensieri tristi, piuttosto che gioie assaporate appena.
Vittorio caro, sorridi tu che puoi. Tu che, rientrando a casa, avrai sempre una carezza a fine giornata. Tu che, comunque vada, sentirai sempre parole buone, sia che siano indirizzate a te come padre, o come marito. O come amante. O come fratello.
E prega per me. Dio, spesso, ha bisogno di intermediari piuttosto che del bisognoso stesso.