“La Anna vuole qualcosa di diverso” dice la ragazza shampista che ha appena risposto al telefono. “Deve andare ad una festa a tema e vuole qualcosa di adatto. L’ho segnata per oggi pomeriggio”.
“Sla vo’ fa qualcosa d’adatto, la gà da sta a ca” risponde Gabriella. “Cosa va a fare alla festa a tema, alla sua età. Ghe mia ad vergogna”!
“Oh su, non essere così rigida” interviene Paola “stai diventando proprio acida come una vecchia zitella. Anche se in realtà la zitella qui è la Anna che, proprio perché è zitella, si permette tutte queste cose. Noi, al massimo, ci chiamano per la sagra delle pesche, o per andare a far da mangiare a casa del prete quando la perpetua va in ferie”.
Che poi adesso il prete, Don Tarcisio, aveva preso l’abitudine di andare in ferie anche lui. No, non è che andava al mare a Rimini o Riccione come la intenderebbe la Casalinga di Voghera, però sapendo che il suo Ordine di appartenenza aveva una Casa in Riviera, una volta l’anno andava dai suoi Superiori e si faceva una settimana là.
Così l’Erminia, la perpetua, era libera e poteva finalmente stare tranquilla. Eh sì, perché Don Tarcisio, un sant’uomo per carità, era davvero pesantuccio. Quando andavano a far la spesa non c’era una volta che andassero d’accordo sulla marca del caffè; per non parlare, poi, del vino. Lui non disdegnava, la sera, una bella Bonarda dell’Oltrepo, ma lei non gliela faceva comprare. Così doveva dipendere da qualche parrocchiano di buon cuore e poi ricordarsi di nascondere il fiaschetto, perché all’Erminia non sfuggiva nulla.
Per fortuna il Don era molto alto e quando doveva imboscare qualcosa aveva le sue risorse: l’Erminia si arrabbiava tantissimo perché, invece, ai pensili, non ci arrivava. Quando avevano arredato la cucina lei aveva insistito molto sull’altezza o bassezza degli armadietti; così si erano accordati in base alle reciproche esigenze ed ora i mobili avevano una disposizione tale da rendere la stanza davvero dinamica.
Poteva sembrare il frutto di un architetto estroso, in realtà ciascuno si era fatto gli affari propri ed aveva deciso, senza repliche, dove far appendere i pensili.
Per il Don era stata la salvezza, perché salame e Bonarda potevano tranquillamente stare in alto.
Quell’estate era successo un fatto che era rimasto nella storia del paese e che le abituali frequentatrici de la petnera raccontavano e tramandavano ai posteri, fiere della tradizione che da sempre sosteneva il loro narrato.
Da poco Don Tarcisio era diventato orgoglioso proprietario di un telefono con annessa segreteria telefonica. Ma non di quelle moderne che ci sono adesso, sul cellulare, con i messaggi preregistrati o quelle che puoi scaricare da Internet, con le voci di attori famosi.
No, no. Era una scatola di plastica e metallo, con addirittura una doppia audiocassetta per la registrazione. C’erano anche dei pulsanti ma solo di due conosceva bene l’utilizzo; gli altri erano riservati a funzioni che non si sognava neppure di utilizzare.
E quell’attrezzo lo aveva stregato!
La sera dopo il vespro, una delle maggiori ore canoniche di molte Chiese cristiane, non lasciava in pace l’Erminia fino a quando non aveva provato a registrare il messaggio audio della Parrocchia.
Lei, naturalmente, non voleva sapere nulla di queste diavolerie anni ’80 ma per toglierselo di torno alla fine aveva deciso che sì, ci avrebbe perlomeno provato.
“Dobbiamo cercare una frase” perché quando non ci siamo è giusto che i fedeli possano lasciare il messaggio. Cosa dice, Erminia?” chiede il Don
“Ma a mi am pias no, sta roba chi. Il fedele se vuole può chiamare quando ci siamo o può venire direttamente qui. Ma che diavoleria è mai questa? E’ solo un’altra cosa da spolverare, ecco cos’è”! – risponde, scocciata, l’Erminia.
Il Don aveva però pensato di condividere la novità coi parrocchiani e durante la Santa Messa aveva anticipato che, presto, la sua Parrocchia avrebbe avuto niente meno che la segreteria telefonica.
Il grugnito dell’Erminia era giunto dalle retrovie: ormai la registrazione del messaggio non poteva più essere rimandata!
“Il testo, il testo” – insisteva il Don - Cosa possiamo dire?”
“Risponde la Segreteria telefonica della Parrocchia di Sant’Antonio Abate .. ora et semper mi trovate!” suggerisce l’Erminia.
Il Don, colpito dalla creatività e dalla fantasia della sua perpetua, decide così di premiarla. Quello sarebbe stato il messaggio. Non voleva prendersi il merito, questo no (o forse sì) però pensò che la voce avrebbe dovuto essere la sua, sua del Don ovviamente.
Così dopo dodici tentativi, in cui spensero ed accesero tutti i pulsanti – anche quello della vicina abat-jour che non c’entrava nulla ma nella confusione era stato pigiato – finalmente la Parrocchia di Sant’Antonio Abate ebbe il proprio messaggio.
Adesso sì, che l’Erminia ed il Don potevano andare a fare la spesa senza pensieri, litigare per il caffè e per il vino ed intanto i fedeli, con le loro richieste, sarebbero stati in una botte di ferro!
“Quella volta lì stavano tornando dal LIDL – sostiene Anna, mentre Gabriella malvolentieri la acconcia per la festa a tema. Lo so perché io li ho visti scendere dalla Ritmo, con le borse della spesa. E gli ho detto che cosa erano andati a fare al discount..i duvivan risparmià”?
“Ma no, non dal LIDL. Erano andati da Leroy Merlin che l’Erminia voleva prendere degli specchi” – replica Gabriella
“Ma sì, ma sì. Cosa c’entra poi? –chiude in fretta Gabriella – l’importante è il dopo”!
All’ingresso in casa i due non si erano affrettati ad accendere la luce, così avevano subito notato – nella penombra - la lucina rossa intermittente che proveniva dalla segreteria telefonica.
“Mi a voi savè nient - dice l’Erminia - vado a mettere via la spesa e faccio il caffè. Chiamarlo caffè poi, insomma, questa sottomarca che mi ha fatto comprare”!
Il momento era solenne, il primo messaggio era arrivato. Voleva sentirlo da solo perché tanto all’Erminia sicuramente non importava. Era solo qualcosa da spolverare, no?
Bene. Allora, con in mano un bicchierino di Bonarda, Don Tarcisio si allontana e si chiude nello studio.
“Plei”
E’ Giuseppone. “Buongiorno, buongiorno eh.. ma è il Don Tarcisio? L’è propi lu? Dooon, Don Tarcisiooo. Ben, guardi, parlo io! Volevo venire a fare la confessione ma avevo tanto da fare nei campi, dovevo “dacquare” l’orto e allora, allora la mia Pina mi ha detto -Chiama il Don, chiama e gli dici che vai domani - Ma non posso aspettare. L’ho fatta grossa. Don, l’ho fatta grossa. Avevo bisogno due belle galline per la cena, che viene l’Armando, il mio figliolo. E le ho prese dallo stabi del Giovanni, che ne ha tante. Mica se ne accorge. Va ben, vengo domani, Don. Però sto meglio, sì, sto meglio”.
Don Tarcisio è sprofondato in poltrona! Non sa che fare. La Confessione. Il sacramento istituito da Gesù Cristo per rimettere i peccati compiuti dopo il Battesimo, nella segreteria telefonica.
Non si aspettava di iniziare col botto.
E così richiama Giuseppone. Subito. Prima che arrivi l’Erminia.
“Risponde la segreteria del Giuseppe. Sono in campagna. Lasciate un messaggio”
Qualche secondo di incertezza, il dubbio se riattaccare o farsi inebriare dalla novità (un regalo del figliolo Armando, chissà?)
E poi, l’automatismo di anni di onorata confessione.
“Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. Tre Ave Maria e un Padre Nostro”.
Biiiip.
“Perdono, perdono” sussurra dentro di sé il Don, pur compiacendosi per il suo primo risultato.
Intanto l’Erminia piomba nello studio “Chi era”?
“Nessuno, nessuno. Hanno riappeso subito”.
“Ah che diavoleria! Lo dicevo io. Andiamo, Don, andiamo. La cena è in tavola”.
(Contenuto in Racconti seri_severi di Marinella Giuni - Edizioni Pedrazzi, Placebook Publishing)