Siamo spettatori di scene teatrali in cui l’attore-protagonista è il vampiro Laurent, che, attraverso una narrazione lenta, un lento avanzare del tempo e dell’action, un agrodolce crescendo di suspense, seguiamo prima in Terra Santa e dal “cuore del deserto” alla Germania, dove si risveglia dopo 400 anni; poi nel Sud della Francia al tempo dell’ancien regime e, successivamente, della Rivoluzione; infine, a Roma. Ci interessiamo a come prende coscienza di sé, del suo nuovo status e del passaggio da mortale a immortale, al suo apprendistato favorito dall’Algul e dalla Setta degli Assassini, che riporta la mente ad Highlander-L’ultimo immortale (1986) di Russell Mulcahy; siamo coinvolti nelle sue difficili, rischiose, insidiose avventure. Laurent è sempre figlio del suo tempo: nobile gentiluomo, contadino e, persino, “romantico vampiro”, contro natura, per quanto gli è possibile, che lascia vivere nel rimorso, piuttosto che ucciderla succhiandole il sangue, colei che fece tanto soffrire il cavaliere Alfredo, ma spietato e crudele quando, cheto e silenzioso, gioca con la sua preda prendendola tragicomicamente in giro, facendosi credere vittima o quando, con sadico piacere, non dà la vita eterna a chi, invece, la desidera. Laurent diviene sempre più forte, più potente e, come un bambino, ha sempre più fame, Tanta fame, ma “Il sangue senza vita non è… nutriente”, E’, a volte, riflessivo, curioso; altre volte istintivo, aggressivo, feroce. In ogni caso, tenebroso. Ci trasmette sensazioni forti, emozioni sconvolgenti. Ci manifesta l’acuirsi delle sue percezioni sensoriali. La scrittura è chiara, scorrevole. Unitaria la narrazione, tra momenti storici e fantasia; in equilibrio le parti; più o, a seconda del contesto, meno sintetiche e realistiche, ma in ogni caso esaustive, le descrizioni di sfondi storici, ambientazioni, ambienti, abitudini e abiti. Si coglie chiaramente la denuncia del satanismo e delle rivoluzioni. Malinconica e vera la riflessione sulla vita dissipata e sregolata dei giovani “pallidi pessimisti…, menti fragili, sfogliate come margherite, Sono lì, ma non ci sono”, così la nostalgia del tempo che passa e l’irresistibile desiderio di tornare nei luoghi dell’infanzia. Molto belli i momenti narrativi, come l’orripilante risveglio, grazie alla pratica esorcistica di Ulrich, nella cappella, e l’incontro con il giornalista Camille Desmoulins, che riflette sul grande incendio, la Rivoluzione francese, generato da una fiammella, e che, sicuramente, non vedrà spegnersi. Originale e spettacolare Laurent che tenta paradossalmente il suicidio, costringendo se stesso ad attendere l’alba sulla sommità della Cupola di San Pietro a Roma. Può un non-vivente desiderare di morire per sempre? Crisi esistenziale? “Non tutto ciò che si crede fantasia lo è realmente”?