Reggio Emilia, 1501. I giovani fratelli Bebbi, stanchi di assistere in silenzio allo spadroneggiare di Zoboli e Scaioli, non capiscono perché il padre non si opponga, come dovrebbe la longa manu del Duca d'Este. Sentono il dovere di fare ciò che il genitore sdegna: prendere in mano la fazione. La disputa tra Zoboli e Benedettini, tra la zia Badessa a una suora degli Scajoli, offre ai Bebbi l'occasione di farsi valere. La discordia del convento si spande per Reggio e i Bebbi imparano presto che pure le buone azioni si pagano. Tra le cospirazioni sussurrate, una minaccia il Duca Alfonso e i Bebbi dovranno salvarlo, mentre gli Scajoli ambiscono a scalzare gli Zoboli. Con «Il convento della discordia» si consolidano le fazioni che nella saga «Alfieri del Duca» combatteranno per gli Este o il Papa.
Ho cominciato a leggere “Il convento della discordia” di Michela Rivetti con l’idea di conoscere un po’ meglio la mia città, Reggio Emilia. L’ho scelto pensando a un prodotto di nicchia che potesse interessare sì e no gli appassionati di storia locale e, invece, più lo leggevo più mi trovava immersa non solo per le strade della città di 500 anni fa ma anche in una vicenda intrigata e capace di smuovere le emozioni.
Saranno i personaggi ben definiti e vari, saranno i complotti politici che mi affascinano sempre tanto, ma ho chiuso il libro con la sensazione di aver letto una bella storia, ben strutturata che avesse i suoi punti di forza nella trama e nei protagonisti e non semplicemente nei luoghi.
Di solito, quando trovo un libro legato a Reggio, lo apprezzo proprio per il suo legame con il territorio, legame che è fortissimo anche in questo romanzo storico, dove ho ritrovato luoghi a me famigliari, cognomi noti.
Per questo ho deciso di scrivere una recensione, per raccontare quel che ritengo bello in questo romanzo e che potrebbe piacere agli appassionati del genere storico o a quegli amanti del low fantasy politici.
La vicenda vede contrapporsi tre famiglie nobili reggiane: i Conti Bebbi, gli Scajoli e gli Zoboli. In realtà quest’ultimi due si presentano come alleati ma sono anche in competizione tra di loro.
I Bebbi sono devoti sudditi del Duca Alfonso d’Este e cercano di arginare lo strapotere che le altre due famiglie si sono guadagnate nei precedenti vent’anni. La colpa di chi è? Proprio del Conte Antonio Bebbi (il padre dei protagonisti) che si è fatto da parte, anziché occuparsi di politica.
Una lite sulla sorte delle suore del convento di San Raffaele (in cui sono monache sia la zia dei Bebbi che una cugina degli Scajoli) è il pretesto attorno a cui si dipana la storia, tra aggressioni, inganni, sfide verbali e anche col pallone.
Uno dei capitoli cruciali è ambientato per metà sul campo da gioco di “Palla-bracciale” e io non avrei mai immaginato che una partita a palla potesse tenermi in tensione quanto una battaglia.
I problemi, poi, non riguardano solo Reggio ma anche Ferrara. Il 1506 è l’anno in cui è ordita una congiura contro il Duca, vi sono coinvolti dei Reggiani e i Bebbi faranno la loro parte per proteggere il loro Signore. Ecco dunque l’occasione per il lettore di conoscere Alfonso e, soprattutto, Ippolito d’Este e sorridere davanti a uno stressantissimo Ludovico Ariosto (per me è il personaggio più comico del libro).
Il punto di maggior forza, per il mio gusto, sono proprio i personaggi, che si conoscono molto bene tramite i dialoghi. Spesso mi sembrava di trovarmi nella stanza assieme a loro e ascoltare i battibecchi della famiglia Bebbi: da Girolamo e Giorgio sulle buone maniere o l’eleganza, ai timori e le angosce per il futuro di Lucrezia e Paolo, le ansie di Giambattista tormentato dalla propria ambizione e i discorsi imbevuti d’onore e responsabilità di Gian Jacopo, le parole pacate e tenere di Giulio, le osservazioni pungenti di Cassandra che tiene testa ai fratelli, nonostante sia la più piccola.
Ecco i protagonisti: sei fratelli e due sorelle estremamente uniti tra di loro, pronti a prendersi cura gli uni degli altri e a collaborare per il bene della famiglia e della fazione.
A spronarli all’azione, a volte anche a impugnar le armi, sono soprattutto la grintosa madre Giglia e il sanguigno cugino Bernardino, paranoico o lungimirante, a seconda che il lettore gli creda oppure no.
Sono tanti, sì, per fortuna il primo capitolo è dedicato solo al farceli conoscere e già mi sembrava di essere la nona sorella a passeggio nel bosco con gli altri.
Attorno ai Bebbi ci sono numerosi amici, membri della fazione leale agli Este. Nonostante siano parecchi, ognuno ha una propria connotazione che lo distingue dagli altri: l’avvinazzato, il raffinato, il folle, il seduttore, l’alchimista e così via, ma tutti simpatici (almeno per me).
Gli antagonisti, pure, hanno il loro nutrito seguito.
In effetti, non vi ho ancora presentato i fratelli Scajoli, loro per fortuna sono solo due: Baldassarre e Vincenzo, la mente e il braccio. Il primo è abilissimo nell’oratoria, un manipolatore, parecchio istruito e l’unico che riesce a resistergli ed essergli rivale è Giambattista. Il secondo è più pragmatico e diretto.
Nella famiglia non mancano zii e cugini ma quelli più degni di nota sono Scajolino ed Emelina, la cui madre è una Bebbi il che basta a farli guardare con sospetto dalla maggior parte dei parenti. Emelina se la cava grazie al suo amore devoto verso Baldassarre, mentre Scajolino si ritrova spesso a dover scegliere se compiacere i cugini o fare ciò che ritiene giusto.
Sempre in questo schieramento si trovano gli Zoboli, anche loro numerosissimi, ma tra tutti spicca Ilario, il classico “bel tenebroso”, prestante nell’intelletto e nel fisico, gli manca giusto la simpatia, almeno nei confronti di Lucrezia che tratta con sdegnosa arroganza, pur essendone attratto.
Ho apprezzato molto il linguaggio usato dai personaggi nei dialoghi: l’uso di parole ricercate o semplici, di avverbi latini o termini dialettali definisce molto bene lo status sociale e il livello di istruzione dai personaggi.
Leggendo il romanzo, mi è parso di seguire la prima stagione di una serie tv, senza i ritmi frenetici della televisione. La sensazione è data anche dal fatto che questo sia il primo volume di una saga: qui abbiamo visto la nascita di una faida, nei successivi dovrebbe scatenarsi (così ha detto l’autrice alla presentazione).
Ho sempre apprezzato le storie con molti personaggi, quindi con questo libro mi sono trovata in ottima compagnia. Per chi non è abituato a tenere a mente tanti nomi, però, c’è alla fine un’appendice con alberi genealogici e la divisione delle famiglie nelle due fazioni, con tanto di stemmi.
In alcuni romanzi storici, ho trovato che il vero protagonista fosse l’evento raccontato e che i personaggi fossero subordinati, in secondo piano. Leggendo questo libro, invece, ho avuto la sensazione non di leggere a storia di un fatto, bensì la storia, la vita dei Conti Bebbi, che proprio loro fossero al centro della narrazione e non la vicenda del convento o della congiura.
Per chi ama le descrizioni dettagliate dei luoghi o degli abiti d’epoca, forse questo romanzo può risultare sottotono. Il tono descrittivo delle prime due pagine, che aiuta a calarsi nella città, non si ritrova successivamente. Le stanze, i palazzi, le vesti sono tratteggiati ma senza entrare troppo nei dettagli.
I dialoghi che danno un tocco molto teatrale per me sono uno dei punti di forza, ma chi preferisce uno stile più discorsivo, potrebbe trovarli troppo abbondanti.
In conclusione, ho apprezzato molto anche lo stretto legame tra la storia locale e la storia italiana. Si percepisce il clima delle guerre d’Italia e i capitoli ambientati a Ferrara e a Bologna trasmettono l’idea di come la vita dei protagonisti e le sorti di Reggio siano fortemente influenzati dagli eventi esterni.
Consiglio vivamente la lettura a chi abbia voglia di immergersi in un mondo ricco e articolato, con un ritmo narrativo sostenuto ma non frenetico che lascia il tempo di gustare l’ambiente e coltivare simpatie, senza correre a ogni pagina da un pericolo all’altro.