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Il livello tematico simbolico ne La lupa di Giovanni Verga
di Luigia Forgione
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Il livello tematico simbolico ne La lupa di Giovanni Verga

La Lupa  una donna rude e sensuale, è presa dalla passione per Nanni, più giovane di lei, e pur di stargli vicino gli dà in sposa la figlia Maricchia.  Nanni, dopo reiterati rifiuti, cede alle sue lusinghe diaboliche. Da qui si origina un abietto rapporto di cui il giovane vorrebbe liberarsi, perché consumato dai sensi di colpa nei confronti della moglie.                             

 Purtroppo, tutti i tentativi di Nanni sono destinati a fallire poiché la lupa esercita su di lui una perversa e soggiogante  seduzione   che gli obnubila la mente. In questo stato d’impotenza e frustrazione egli d’impulso si libera della donna uccidendola.       
Dal momento che “anche se non tutto il linguaggio è simbolico..lo è certamente il linguaggio letterario  ” e “ il tipo di operazione caratteristico dell’analisi va designato come un comprendere (Verstehen non ErKlaren)  ” noi abbiamo voluto approcciare la comprensione della novella verghiana attraverso la decifrazione del significato. simbolico veicolato dalla parola . Non può sfuggire, inoltre, la reiterazione nell’uso di certi simboli in apertura e chiusura del testo, in una sorta di virtuale continuità, afferente alla tematica trattata
La prima cosa che si nota nella lettura della novella "La Lupa" di Verga è sicuramente la presentazione della protagonista, abbozzata con poche pennellate di colori, contrastanti tra loro: il pallore del viso, il nero delle chiome e il rosso delle labbra. Questi aspetti  fisiognomici rimandano allo stato di malattia, inteso come alterazione dello stato psicologico del soggetto, dal momento che esso evoca emozioni quali l’ansia, la paura e, al limite, lo stupore catastrofico; al buio, alla voragine, all’oscurità – peccato, intesa nella tradizione cattolico – cristiana anche come assenza di luce- salvezza ; al fuoco, che col suo calore può bruciare, distruggere e portare sofferenza. Da qui l’aspettativa, da parte del lettore, di una donna dai comportamenti destabilizzanti per sé e per gli altri. 
In questa chiave di lettura s’inscrive anche l’aggettivazione (alta, magra, pallida, fresche, rosse), tesa a rendere tanto l’aspetto fisico della protagonista, sicuramente conturbante, quanto quello psicologico di una donna passionale ( dal latino patior = soffrire, provare o patire) che, provando interesse fisico per gli uomini, è nel contempo soggetto attivo e passivo delle sue violente pulsioni, le stesse che successivamente si connotano come bestiali ( cagnaccia, lupa, famelica, spolpava, vorace, insaziabile).                   
 La carica sensuale della donna- femmina è percepita dalla collettività come stregonesca, anzi, satanica  (Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l'anima per lei) e, quindi, come attività distruttrice che coinvolge non solo degli innocenti (la buona e brava Maricchia), ma la stessa protagonista. Di fronte a tale pericolo, la collettività non sa esperire altre soluzioni se non il ricorrere alle pratiche religiose per esorcizzare il Maleficio. In tal modo, si palesa il contesto socio – culturale di una Sicilia arcaica e primitiva, cui fa da complemento una natura antropomorfa: scarna, solitaria e arsa come la protagonista.
L’esordio della novella sta in quel: “ Una volta la Lupa s’innamorò di un bel giovane”, nasce una passione erotica la cui peculiarità devastante è resa dall’utilizzo del verbo “ ardere”, bruciare come il fuoco,che è rosso come la passione, rosso come le labbra di una bocca tentatrice, la cui arsura non può trovare refrigerio nell’acqua, ma solo nella corresponsione dell’oggetto del desiderio, cioè Nanni. Il perdurare di tale stato di arsura-concupiscenza è suggerito al lettore mediante l’utilizzo del termine “ sole”, nonché di altri termini che rientrano nello stesso campo semantico ( grilli, covoni, manipoli, mieteva) a cui sembrerebbe opporsi la freschezza primigenia e dolce di quel - Te voglio! Te che sei bello come il sole, e dolce come il miele. Voglio te!”. Ma anche questo alito di refrigerante semplicità è corrotto sin dalle radici dalla insana passione (i cani uggiolavano per la vasta campagna nera ): e Nanni le rispose: “  Ed io invece voglio vostra figlia, che è zitella “.
A questo punto emerge il disorientamento (si cacciò le mani nei capelli ) della Lupa che si ritrova la figlia come antagonista; lo stato di conflitto e confusione si protrae per ben quattro mesi, gli indicatori di tempo infatti danno come punti di riferimento i mesi di giugno e ottobre. L’ellissi ci può solo fare intuire che in quel lasso di tempo la donna abbia di volta in volta combattuto tra il volere e il disvolere, sino ad arrendersi ai suoi demoni, allorquando alla figlia recalcitrante all’idea di sposare Nanni: “ le disse co' denti stretti: - Se non lo pigli, ti ammazzo! “.
La Lupa che sacrifica la figlia costituisce il punto di non ritorno. Si spazza via l’archetipo della madre buona Per trovare un personaggio che le somigli occorre ritornare, per quello che riguarda la passionalità violenta, al  tragico infanticidio di Medea e al temperamento rancoroso di Clitennestra nei confronti di Agamennone, suo marito; oppure, per quel che riguarda la condanna morale, alle matrigne cattive di certe fiabe popolari ( Hans e Gretel). Va detto, comunque, che, talvolta,  il significato della madre – matrigna (figura negativa ), soprattutto in talune situazioni simbiotiche, avrebbe il compito di incoraggiare e  accelerare il processo di distacco dei figli dalle madri.  Tale situazione di affrancamento si delinea anche per Maricchia, che troverà la forza di emanciparsi dalla sudditanza psicologica della madre andandola a denunciare dal brigadiere.
Dopo il matrimonio di Maricchia con Nanni, la Lupa ” … era quasi malata…. Non andava più di qua e di là;” in tali comportamenti di rifiuto dell’esterno si potrebbero cogliere i sintomi di un profondo abbattimento psicologico, che però sono controbilanciati dall’energia che la stessa manifestava quando si trattava di andare a lavorare nei campi con gli uomini. In quella situazione la Lupa recupera le forze perché sostenuta da forti motivazioni intrinseche, quali quella d’essere fisicamente vicina all’oggetto del suo desiderio: Nanni. In questa fisicità pressante, presente e tentatrice si consuma la capitolazione di Nanni e il conseguente incesto, consumato in un ambiente naturale arido e sofferente (stoppie riarse, sassi infuocati), ove non c’è alcuna speranza di redenzione ( … il cielo si aggravava sull'orizzonte.)  . Il breve dialogo tra i due protagonisti si presta ad una interpretazione simbolica; la Lupa a Nanni che dormiva dice -Svegliati! ché ti ho portato il vino per rinfrescarti la gola -,  come a dire esci dal torpore del sentimento amoroso e lasciati andare. Ancora una volta risalta la determinazione di questa donna dominata dalla irrefrenabile passionalità e capace di esercitare una soggiogante e straordinaria attrazione sessuale nei confronti del giovane, il cui  senso di colpa si palesa nel tentativo poco convincente di ricacciarla, visto  che poi puntualmente l’aspetta sull’aia.  Dopo lunga macerazione interiore, Nanni prende coscienza di essere totalmente subordinato ai voleri della donna e incapace di resistere ai suoi richiami di seduzione, pertanto, quando la vede venire, in un lampo di drammatica e folle lucidità,  pallido in viso, prende la scure per tagliare ogni legame con la sua Disperazione.  La Lupa, coerente con la sua natura, va incontro al suo carnefice. Ella incede con fierezza e determinazione (non si arrestò di un sol passo,… non chinò gli occhi ), accetta la morte portando tra le mani papaveri rossi ( simbolo di passione, ma anche dell’imminente effusione di sangue )  . Conferma così, fino alla fine, la sua insaziabile voracità (mangiandoselo ) nonché l’intensità ipnotica e demoniaca del suo sguardo (con gli occhi neri ). Il dramma si compie ed il cerchio si chiude.  
La relazione amore e morte, già presente nella letteratura romantica, si rafforza con la Scapigliatura che, riprendendo il tema delle passioni estreme, ridefinisce il rapporto amore e morte come rapporto di erotismo e morte, sulla scia del modello di Edgard Allan Poe come relazione tra la carne e il suo disfacimento.  Lo stesso amore non è più come per i Romantici fusione tra due individui che vicendevolmente ricercano nell’altro il proprio completamento, bensì la duplice espressione della contraddittorietà dell’animo umano e del vizio, come nell’ opera Fosca di Tarchetti e Senso di Boito che ha per protagonista Livia.
Fosca , Livia  e la Lupa sono, dunque, stereotipi di donne, in un certo senso, vittime delle grandi passioni, che finiscono con l’annientarle.
In aperta opposizione si pone D’Annunzio con la sua caratterizzazione di donne fatali, che per egoismo e amoralità non hanno nulla da invidiare al maschio superuomo.
In mezzo a queste due antitetiche posizioni si situa la rappresentazione della donna pascoliana, la cui sensualità non è mai avulsa dalla sua funzione riproduttiva. Dunque una donna assimilabile e assimilata alla terra fecondatrice. 

A cura di Luigia Forgione



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