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Di fronte alla difficoltà espressiva, che sembra far parte integrante del nostro essere moderni, sono possibili varie scelte, anche opposte. Per esempio, c'è la scelta volutamente rétro, di scrivere non il nuovo, ma l'inevitabile, come in certe opere neo-romantiche; o quella, solo in apparenza opposta alla prima, di decidere che non c'è più nulla di nuovo da creare, e non riuscendo a definire cosa sia "arte" o "poesia", si sceglie da un cappello a cilindro delle parole a caso, e le si getta in aria, e si fa attenzione, o disattenzione, a come cadono sulla pagina. O ancora meglio oggi, le si fa scegliere da un potente computer.
Da buon tecnico, essendo io un po' scettico sul caso, ed ancora un po' di più sul computer, sospetto sempre che l'autore un pochino del suo ce lo metta, poetica dadaista e André Breton a parte. E che tutta questa storia non serva ad altro che a mettere in burletta le "idee plastificate", di cui è pieno il mondo, e di cui si nutre, fino all'indigestione comica (e cosmica), questo simpatico libretto di Ottorino Garau, non potendo nutrirsi degli uomini, per nostra e sua fortuna, essendogli, come dichiarato esplicitamente, indigesta la carne umana.
L'autore tuttavia, un uomo lo divora, e cioé se stesso, innanzitutto maltrattandosi: claudicante, forse invisibile, timoroso anche della propria anima, forse misantropo ("passeggio tra la gente/per non incontrarla"), scettico, coi tappi alle orecchie. Tanto furore si riflette nella metrica nervosa, frammentaria, piena di indentazioni e ritorni di carrello, cose che, devo dargliene atto, il computer permette eccome, anzi sono la specialità di queste macchine infernali.
E poi…provinciale, come si descrive già nella premessa, cioé in verità sardo…E ripartendo dalla sua terra, dal suo mondo, questo se stesso costruisce qualcosa, quando sembra che le stesse parole automatiche siano scappate al controllo, di per sé improponibile, vittime della "scimmia dattilografa", ricostruisce il mondo intorno alla sua solitudine incuriosita, convinto che dell'io si possa fare a meno. Il dato fisico, persino atmosferico ("rari suoni della strada/mi tengono legato alle nuvole") è quello che in realtà conta, è quello che permette alle parole uscite dal cappello di riprendere un ordine, un ordine pazzesco d'accordo, o dadaista se vogliamo, ma profondamente legato al mondo concreto in cui si vive, e l'autore deve ammettere la difficoltà della sua fuga di parole: "Non riesco a pensare/una bufera liberatoria". Già, perché i frammenti di parole che il mago getta in aria ricadono sempre sulla terraferma del nostro pensiero.
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