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La collezionista ovvero la Sindrome di Babbo Natale
di Chiara de Luca
Pubblicato su PB17


Anno 2005- Fara Editore
140pp.

ISBN n/a

Una recensione di Salvo Ferlazzo
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Memoria, verità, indicibilità si materializzano tra le pagine, i dialoghi dei protagonisti del libro della De Luca.

La vita di Federica, per metà siciliana, viene smontata e ripensata, nel tentativo di mettere a fuoco i suoi rapporti con gli altri.

Bisogna gettare uno sguardo al passato, agli anni settanta, quando in un paese latino e cattolico, le donne scoprono che, tra le altro cose, l’infelicità non è una “defaillance” individuale, ma il prodotto di una società e di una cultura nemica delle donne.

Ad oltre trent’anni di distanza, le cose non sembrano cambiate.

Forse è cambiato i modo con cui le donne affrontano i loro problemi di inserimento sociale, nel mondo del lavoro, nella cultura, nella politica.

Ma un dato è certo: quanto sedimentato storiograficamente, con la collezionista viene nuovamente, anche per un solo attimo, rimesso in circolazione.

Con serenità, stupore, e forse con un pizzico di sana civetteria, la De Luca ci offre uno spaccato di vita che è facile scorgere anche nel posto in cui abitiamo, dove viviamo la vita di tutti i giorni.

Tornano gli echi di un periodo, il sessantotto. Un periodo di incerti equilibri, dove le generazioni più giovani, si ribellano ai rispettivi sistemi politici, culturali e sociali.

Forse Federica rappresenta una delle ultime epigoni di quel movimento femminista che, nato molti anni prima in America con il nome di NOW (National Organization of Women), cerca di affermare una sorta di liberazionismo, e a volte un femminismo radicale?

Federica risponde come può verso una cultura a volte patriarcale, a volte maschilista. Ne avverte tutto il peso storico e sociale, le contraddizioni, l’impossibilità a ricevere e dare, a sua volta, risposte adeguate.

I suoi contatti, i colloqui di lavoro sono un momento di espansione della sua personalità; ma sono anche il ponte ideale verso quello che sarà il leit-motiv di tutto il libro: una serie di collezioni, che ne fanno un personaggio poliedrico, dalle sorprendenti sfaccettature, che riesce a creare a un clima di empatia, che nasce dal racconto, dalla cronaca di tutti i giorni.

La scrittrice, alterna dialoghi a riflessioni, momenti di serenità a spunti di incontrollata vivacità, facendoci apprezzare il linguaggio spontaneo, ammiccante, asciutto di Federica.

Federica entra ed esce dalla nostra mente, in un carosello di immagini e suoni che la riconsegnano, ogni volta, come dotata di due anime.

Un’anima buia, ferita, con cicatrici sanguinanti; un’anima sana, pulita, acqua e sapona, da “ragazzina della porta accanto”.

E’ un paradosso? Lo sarebbe, se ci fosse preponderanza dell’una sull’altra. Ma non è così.

Chiara De Luca, bilancia le due istanze esistenziali, tanto che la storia, come cronaca di tutti i giorni, offre spunti di sapiente originalità e chiari segni di una narrazione non scontata.

In una apparente dicotomia tra il “ mondo” di Federica e quello degli adulti, si trovano a confronto l’inconsapevolezza di una ragazza appena laureata e la durezza, l’ipocrisia dei “grandi”, l’anelito di libertà contro la chi la libertà cerca di piegarla ai propri scopi.

La penna di Chiara De Luca, con consumata abilità, ci costringe a passare dal mondo degli uomini, nel quale predomina l’azione, a quello delle donne, dove invece predominante è la forma.

Federica è perfettamente consapevole del fatto che la soluzione dei suoi problemi quotidiani, non può trovarsi in una semplificazione schematica di opposte alternativa; bensì, in una scelta che tende ad un progetto di equilibrio, in cui il problema si mantenga ancora in soluzione storica.

La narrazione registra, sul piano oggettivo del confronto culturale, l’improcrastinabile voglia di emancipazione che interloquisce con il mondo circostante (le telefonate, gli incontri di lavoro, le passeggiate ai lungarni) senza perdere il gusto, l’interesse verso una riattestazione della propria identità sociale, culturale.

La De Luca specifica, precisa, svolge il tema dell’integrazione della donna, senza suscitare emergenze per attentati al sentimento maschile ( o forse sarebbe meglio dire “maschilista”), senza stravolgerne i contenuti; ma riproponendolo, ne evidenzia i momenti di sviluppo, di contrasto, a volte aspro, ma mai di annullamento.

Cosa rimane allora di questa identità non indifferente alla nostra considerazione, che si manifesta attraverso innumerevoli rifrazioni nella scelta della propria esistenza individuale?

In questa misura di assorbimento e di ripresentazione del reale, esibito in nuclei codificati della trasmissione di immagini e simboli, si apre una dimensione nuova ed insolita nell’universo della protagonista: il riconoscimento di un “io” pluralizzato, che è il livello della comunicazione e/o del linguaggio.

Un suono di cellulare. Numero privato. Poco distante, un Babbo Natale.


Una recensione di Salvo Ferlazzo



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