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La morte viene dal cielo
di Emiliano Grisostolo
Pubblicato su SITO


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I

Mohamed uscì di casa verso le otto del mattino e si diresse verso la macchina parcheggiata in strada. La strada deserta e l' atmosfera tiepida di quella mattina gli misero in corpo una sensazione di disagio. Non vi era nessuno per la strada in quel momento, ma era sempre così quando in città si susseguivano scontri senza fine.
L' esercito israeliano era entrato in uno dei campi profughi e aveva ucciso tre persone due giorni prima, ed un ragazzo era stato mandato a morire per salvare la libertà di tutti. Una prova d'orgoglio che non aveva rivali. Ma così non si poteva andare avanti ancora per tanto tempo. Nessuna delle due parti sembrava voler cedere le armi, e nessuno lo voleva fare senza esserne costretto.
Aspettò che i suoi due figli uscissero velocemente dalla casa dispersa lungo una delle strade sporche di periferia, e mise in moto l' auto. La Mercedes era una gran bella macchina, e lui se la poteva permettere, ma a costo della vita di altre persone. Per lui l' onore e la libertà del suo popolo era una cosa al di sopra di tutte le altre. Non poteva rimpiangere il suo destino, l' aveva scelto lui stesso, e l' avrebbero fatto anche i suoi figli se ne sarebbero stati costretti negli anni a venire. Nulla poteva porsi ad ostacolo tra quello che stavano vivendo in quegli anni e la libertà del popolo palestinese. I soldati dovevano morire, era un pensiero contorto, ma era
l' unico modo per trovare una soluzione a quella guerra intestina che non pareva trovare una via d' uscita al momento.
Uscì dal vialetto, ingranò la prima e partì velocemente verso la scuola, le lezioni sarebbero cominciate di lì a poco. Aveva in mente per i suoi figli un' istruzione sopra la media, se lo poteva permettere. Ancora pochi anni e poi li avrebbe mandati all' estero a studiare, magari in Inghilterra, sperando di rivederli un giorno, se non fosse prima toccato a lui emularsi in qualcosa di più grande di tutti loro. La loro vita per la patria, per lo stato palestinese era tutto, solo così avrebbero potuto trovare la libertà, quella che ancora dopo anni non potevano avere. Col tempo anche i suoi figli avrebbero capito, come i genitori del ragazzo morto pochi giorni prima. Non capiva perchè i soldati mandati dai grandi capi non provavano nulla per loro, si sarebbero potuti rivoltare contro gli ordini di morte che gli giungevano, e che dovevano eseguire, ma nulla sembrava fermare quella spirale violenta. Ogni giorno si sentiva alla radio, perchè le tv non esistevano più per loro, esseri riconosciuti come inutili e relegati in ghetti, di ragazzi morti e soldati e civili esplosi per strada. Era tremendo, lo sapeva, ne era pienamente e sconsolatamente consapevole, ma non c' era nulla di diverso che vedere i soldati di Isdraele sparare con i carro armati contro dei ragazzi che tiravano pietre. Gerusalemme era divenuta un campo di battaglia, dove solo il più forte sarebbe riuscito a piantare la bandiera della vittoria. Solo che in quel momento era tutto in stallo, anche se loro stavano perdendo. Avevano sempre perso per la verità, e la loro unica soluzione era morire per la pace.
Quel progetto era qualcosa di grande, di vittorioso, di immenso per tutti loro, reietti della società. Ma quale società?
Non vi era assolutamente niente che poteva dimostrare quello che volevano essere. Non gli permettevano di vivere in democrazia, e venivano declassati ad assassini, terroristi. Ma con le pietre cosa potevano fare?
Fatti scappare e relegati dalle loro terre per volere dei potenti. Popolo povero e lasciato solo da tutti. Cosa potevano fare se non cercare con tutte le loro forze di riprendersi la libertà che gli era stata rubata? Il riscatto per tale scopo era tremendo, troppo grande e violento, ma quel tributo di sangue non avrebbe potuto avere fine. Una spirale senza tregua e fine, un susseguirsi di morte e distruzione finché la pace non sarebbe tornata in qualche modo, prima o poi.
Era stanco nel cuore, e nell' anima, mentre guardava i figli dallo specchiato retrovisore, che parlavano e scherzavano spensierati, si chiese se un giorno avrebbero potuto andare a scuola da soli, come gli ebrei, senza il rischio di essere fermati dai soldati di pattuglia, magari anche uccisi perchè trovatisi in mezzo ad una battaglia. Dovevano provare la stessa cosa anche i figli degli israeliani, quando vedevano gli autobus saltare per aria, e lui aveva sempre conosciuto i ragazzi che si erano lanciati contro quei mezzi con grande coraggio e con nel cuore odio e amore per la patria.
Svoltò a destra e percorse una strada più stretta tra le rovine di pochi palazzi per metà caduti, mentre l' aria alzava le polveri e la sabbia tendeva a ricoprire tutto come un manto caldo. La solitudine quella mattina era forte dentro e fuori di lui, il silenzio albergava tutto attorno ed il caldo accompagnava il loro viaggio verso scuola. I ragazzi cantavano spensierati, mentre ai colli pendevano i ciondoli consegnati ai futuri terroristi, come li definivano gli altri. Sapeva che così era in effetti, ma il fine poteva in quel caso giustificare i mezzi. La consapevolezza era dentro di lui, di tutti loro, ed anche i figli avrebbero capito ben presto il prezzo che avrebbero dovuto pagare, se al ritorno dagli studi avessero deciso di emularsi, ed era una consapevolezza pesante da sopportare e portare avanti negli anni.
Il canto spensierato dei ragazzini continuò anche quando a pochi chilometri da scuola, un elicottero spuntò
all' orizzonte puntando in direzione dell' auto, squarciando il silenzio che aleggiava in quella zona deserta dimenticata da tutti. Si diresse veloce contro la Mercedes mentre i ragazzini si chiedevano cosa stesse accadendo, mentre le loro voci di gioia e felicità si tramutavano in grida stupefatte all' ordine del padre che gli diceva a gran voce di scendere. Che si tramutavano in orrore e paura quando l' elicottero israeliano si fermò dinanzi a loro a poche decine di metri e l' auto ferma era un bersaglio troppo facile per poter scappare altrove.

II

La giornata afosa era nata anche quella mattina, mentre la gente già affannata si muoveva silenziosa e veloce per le vie deserte della città.
Il sole all' orizzonte era una palla di fuoco che saliva verso l' alto come un missile lanciato dagli elicotteri isdraeliani, e nessuno osava guardarlo, perchè nei cuori di tutti loro c' era solo la solitudine e la paura per nuovi e feroci attacchi. Nessuno voleva sapere dove quel missile sarebbe potuto cadere, quante persone avrebbe potuto uccidere. Uomini, ma anche donne e bambini innocenti che correvano lungo le strade deserte e polverose delle cittadelle palestinesi, in cerca di cibo e libertà.
Anche la giovane Anna stava camminando lungo una delle strade che portavano alla fermata dell' autobus, diciassette anni trascorsi correndo qua e la, e negli ultimi tempi correndo sempre più velocemente ad ogni agguato. Era scampata ormai per caso a due attentati, sempre vissuti da lontano, ma sapeva che in qualche modo, prima o poi, anche lei avrebbe dovuto pagare un tributo di sangue. Ogni volta che l'autobus si avvicinava alla sua fermata, pregava Dio che non fosse la sua ultima corsa.
Fece scivolare lo sguardo lungo il bordo del marciapiede, a terra, ma non notò nulla di sospetto. Attorno a lei c' erano solo persone che conosceva di vista da molto tempo, nessuno di altri luoghi che non aveva mai visto. Meglio così si disse, e salì velocemente ma con il cuore in gola sulla macchina che li aspettava.
Andava a scuola e voleva diventare insegnante, ma non riusciva ad immaginare come sarebbe stato il suo futuro in quella terra martoriata dall' odio che tutti tenevano stretto nel cuore. Gerusalemme era grande, ma era una città divisa che nessuno voleva unire. Patria internazionale che non ne voleva sapere di condividere religioni e sfaccettature di civiltà diverse, per risentimenti di grandi senza cervello.
Immaginava un futuro senza via di scampo, perso nei meandri di una guerra senza campo né territori da conquistare, perchè nulla di quello che avevano preso poteva ritenersi conquistato con la pace. La guerra contro i ragazzini palestinesi era una cosa sporca, e quello l' aveva capito molto tempo prima, quando ancora i suoi genitori volevano fargli credere il contrario. Nessuno voleva quella guerra, i territori non erano arabi, ma loro, ma tutti la combattevano, e di lì a poco sarebbe toccato anche a lei andare al fronte.
L' invito all' arruolamento obbligatorio gli era giunto pochi giorni prima, ed ora la scuola era solo un passatempo mentre attendeva con un groppo al cuore il giorno della partenza.
Non era la paura a bloccarla, ma la voglia di non uccidere altre vite umane. Lei era ebrea e gli altri arabi, e tutto poteva andare avanti allo stesso modo se qualcuno avesse deciso che così doveva essere, ma quelle persone non erano ancora arrivate, e nel frattempo l' orrore e la morte coltivavano ogni giorno la morte lungo le interminabili vie deserte delle città palestinesi, e quelle più belle isdraeliane. Il suo ideale era qualcosa di così lontano e irraggiungibile che non poteva neppure sognare un giorno di pace, di convivenza tra due popoli così lontani mentalmente, ma così vicini senza saperlo. Ogni una delle due religioni, l' aveva studiato a scuola, coltivava la convinzione dell' odio, dell' odio giusto anche a distanza di secoli, e seguendo quel ragionamento di confine, nessuno apparentemente in modo logico era in torto. L' uccisione di un ragazzino palestinese, portava la morte in città in pochi giorni, da parte di un ragazzo che si faceva esplodere, e nulla poteva bloccare quella spirale di morte e morte e morte senza senso. Senza fine.
Ricordava come era scampata agli attentati che aveva visto da lontano, rammentava con orrore e disgusto tutto ciò che aveva visto. Ma non poteva, non gli riusciva di fargliene una colpa. Loro avevano ucciso alcuni ragazzi che avevano, per loro unica colpa, tenuto delle pietre in mano, e la vendetta era stata inesorabile, mentre si continuava a cadere sempre più giù in quella spirale dipinta nei suoi sogni di un rosso intenso. Il colore del sangue. Quello della morte annunciata che poteva giungere in ogni dove, in ogni momento, quando meno te lo aspettavi e passeggiavi tranquilla per le vie della città. Quella che poteva giungere dai soldati a bordo dei carri armati che sparavano contro ragazzi che avevano come unica difesa le pietre delle proprie case, dagli elicotteri che abbattevano le auto in corsa con i razzi come metodo preventivo, proprio come alcuni giorni prima.
Aveva sentito alla radio cos' era accaduto a due ragazzini che erano in auto con il padre, ritenuto dall' esercito un terrorista, e pertanto condannato a morire il prima possibile, senza un processo e senza giustizia. Un elicottero si era alzato in volo e aveva colpito l' auto dell' uomo che non si era aspettato una cosa del genere, ed era uscito di casa con i propri figli, entrambi con meno di dieci anni.
L' auto era stata disintegrata e i corpi dei tre a bordo erano stati trovati in condizioni pietose; non si poteva più capire chi fosse uno e chi l' altro, mancavano pezzi e le facce erano dilaniate, quando vennero rittrovate in mezzo alle lamiere contorte. Cantavano gioia, anche se con un volto apparentemente triste, i grandi padroni, fieri del lavoro dei loro soldati, pronti a combattere e morire per la causa ebraica, anche se Anna non riusciva veramente a capire tutto quell' odio. Ma quale causa poteva portare a tutte quelle morti? Avevano paura forse del terrorista palestinese? Certo! E l' unica soluzione certa era quella di raggiungere un accordo sui territori da loro stessi occupati, territori abitati oramai dagli arabi. Era come rimettere i romani al comando di tutta
l' Europa, soltanto perchè in secoli lontanissimi avevano conquistato quei territori! Assurdo, ma terribilmente vero li da loro. E lei ne era a sua volta vittima senza colpa, e di lì a poco avrebbe accettato contro voglia il comando che gli veniva imposto. Sarebbe partita come militare al fronte, e lì, forse, sarebbe potuta morire.
L' autobus fece salire delle altre persone alla fermata successiva, poi riprese lentamente la sua corsa verso la scuola. Non vedeva l' ora di raggiungerla per sentirsi al sicuro, mentre il sole infuocato scaldava l' asfalto e
l' afa scompariva portando con sé il secco di un altro giorno. Una bellissima giornata d' autunno che non sarebbe più stata quella di un tempo, distrutta dal tempo così corrosivo da non poter trovare difese naturali ad una fine annunciata.
L' autobus si fermò di nuovo e di nuovo salì altra gente, e mentre la scrutava cercava con attenzione ogni più piccolo movimento furtivo, scandagliando i volti tirati per la paura o la tensione di nuovi attentati. Vivevano così da sempre, ogni santo giorno, persi nel terrore di quello che loro stessi avevano scatenato e che non riuscivano a fermare. Ma era giusto così in fondo. Era stata colpa loro, ne era convinta, anche se non poteva ammetterlo, e più i loro elicotteri avrebbero lanciato missili sulle case degli arabi, più quei ragazzi votati al martirio avevano il diritto di vendicare i loro cari nel modo più assurdo e più feroce, ma anche l' unico che poteva farli rispettare, aiutandoli a sopravvivere se non materialmente, per lo meno nel tempo.
Scese di fronte alla scuola ripensando ancora una volta a cosa si provava ad essere distrutti da una deflagrazione che l' avrebbe presa con sé spazzandola via per sempre. Forse si meritavano proprio quella fine tutti loro, forse ne aveva paura, anche se non poteva che dargli atto di una tremenda forza interiore ed un coraggio senza eguali. Emularsi in quel modo per la patria era un segno di civiltà in qualche modo, e anche se il gesto era terribilmente estremo, non provava compassione per loro, ma li ammirava, perchè la compassione era qualcosa che stava a terra, troppo giù, e quei ragazzi meritavano di essere ricordati nel tempo.
Lei non avrebbe avuto il loro stesso coraggio, non sarebbe mai giunta a tanto per la sua patria, e non perchè non l' amasse, ma perchè aveva paura di morire nonostante fosse per il bene del suo popolo. Ma il suo popolo preferiva contrastare quei ragazzi con le armi e gli elicotteri, dandogli ancor più corda, ed incitandoli in un certo senso a continuare quella battaglia senza sosta, era quello l' unico obiettivo del governo, finché un giorno, da un fronte o dall' altro qualcuno non avesse deciso di farla finita. Il ché stava a significare molte cose, e molte diverse pieghe che avrebbe potuto prendere il futuro di tutti loro.
Entrando nella classe che gli era stata assegnata, guardò i ragazzini a cui doveva fare lezione, erano tutti attorno ai dieci anni, ma con già stampato in volto la rabbia e l' angoscia. Non conoscevano bene cosa stesse accadendo, ma molti di loro sapevano cosa poteva succedere in ogni dove, e non era una bella esperienza spiegare cosa era accaduto ad un loro amico, quando questo ritardava ad arrivare dopo un' esplosione giù in centro.
Gli occhi vivaci dei bambini erano tristi se li guardava bene, e sentiva nel cuore un peso, un macigno così enorme che molte volte al mattino faticava ad alzarsi. Troppo stanca, troppo affranta per riuscire a combattere ancora una battaglia che non era la sua, che lei in prima fila non voleva, ma che sarebbe stata costretta a combattere. L' aspettava una tuta mimetica ed un fucile mitragliatore, una jeep e un compagno al quale affidare la propria vita e quella degli altri, e gli altri l' avrebbero affidata a lei in un una sorta di guardia spalle che combattevano contro dei ragazzini armati solo di pietre. Solo ogni tanto di esplosivo.
Tra loro c' era un ragazzino nuovo, con un volto diverso da quelli che era abituata a vedere ogni giorno. Gli si avvicinò lentamente fissandolo, e passando lo sguardo vigile su tutta la classe.
" Salve," gli disse. " Tu chi sei?"
" Alì!" Rispose il ragazzino alzandosi in piedi di fronte alla maestra.
" Siediti pure. Ma che bello questo ciondolo..." Anna lo prese in mano, mentre in ragazzino restava in piedi ad osservarla incuriosito. Quel ciondolo gliel' aveva dato suo padre e l' avevano uguale al suo tutti i suoi amici.
" Me lo hanno regalato gli amici di mio padre, hanno detto che un giorno capirò. Lo hanno anche i miei amici."
" Sei palestinese non è vero?" Domandò Anna, vedendosi riflessa nei suoi occhi marroni. I capelli ricci e corti sulla testa e quella carnagione più scura accompagnavano il suo nome senza ombra di dubbio. Quel ragazzino era un loro avversario, ma lì con loro era soltanto un suo amico.
Alì mosse la testa in segno di assenso. " Mi hanno detto di venire qui a studiare, e i miei genitori mi ci hanno mandato."
" Chi te lo ha detto?"
" Amici di mio padre, quelli che mi hanno regalato il ciondolo."
Allora Anna comprese tutto, ed ebbe improvvisamente paura, ma volle continuare quel discorso con il bambino che gli stava dinanzi immobile, pronto a risponderle in ogni momento.
" Posso farti una domanda?"
" Sì."
" Lo sai che qui siamo tutti ebrei? Sai che purtroppo combattiamo una guerra e un giorno saremmo nemici, quando sarai più grande?"
" Sì, mio padre me lo ha detto, ma io non voglio fare la guerra. Non voglio fare del male."
" Ma quel ciondolo lo portano tutti i tuoi amici, sai cos'è?"
" Sì, lo portano i martiri mi hanno detto."
" Giusto Alì. E sai cosa fanno i martiri?"
" Non lo so, forse... No, non lo so..."
" Meglio così Alì, ora siedi che iniziamo la lezione."
Anna ripercorse i propri passi a ritroso, i pensieri lontani, la mente attraversata da immagini di morte e distruzione, una distruzione che un giorno si sarebbe preso anche le loro vite. Lei un giorno non lontano avrebbe avuto tra le mani non più il libro che teneva stretto in quel momento, ma un fucile mitragliatore, e chissà che ad ucciderla non fosse stato proprio un ragazzino con una cintura esplosiva attorno alla vita, sotto agli abiti, e con un ciondolo che gli pendeva al collo.

© Emiliano Grisostolo





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