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Arriva un momento che soltanto un paio di cose diventano fondamentali, nella vita. A me è successo così. Ora che ho ingranato con la mia attività da free-lance e scrivo come un disperato collaborando con mensili musicali e sportivi ed ho avviato questa convivenza intrigante con Gea, mi sento abbastanza realizzato. Non avrò più lo sprint dei vent'anni ma mi vedo ancora prestante e piacevole, a giudicare dagli sguardi che mi lanciano le ragazzine quando per caso capito nei loro tempi sacri, discoteche e pub per acciuffare qualche santone del discomix.
Ho soltanto due macigni da sollevare. Poi mi sentirò soddisfatto. Il primo é vincere quella selezione avviata da Radiotrance che sta cercando un bravo dj che abbia anche la parlantina facile e sappia far divertire ed anche riflettere gli ascoltatori, infilando in trasmissione i migliori dischi del genere. Ormai sono cinque anni che mi sono fatto una buona cultura anche coi miei viaggi ad Ibiza, ai rave tedeschi e in Olanda e penso che i demo e i provini video che ho inviato potrebbero rappresentare un buon biglietto da visita. L'altro traguardo proibitivo che mi sono prefisso é quello di far schiattare di rabbia la Dea. Sì, quella specie di Musa ispiratrice che ho riscoperto guardando vecchi programmi TV ed ascoltando dischi hard'n'blues anni 70 e 80 ed ora ha mollato il giro dello spettacolo per ritirarsi nel suo eremo incantato. Quella per cui ho scritto poemi e a cui ho dedicato anche un abbozzo di musical per convincerla di riprendere contatti col microfono e il palco a cui ho colto un'occhiata compiaciuta nei grandi occhi quell'unica volta che ci siamo visti e che ha il brutto vizio di rimandare sempre, come a volermi tener sospeso e non dirmi mai né "no" né "sì". Pensando di avere almeno tre vite davanti per fare quel che sta rinviando e battendo sul tasto che io sono quasi un ragazzino in confronto a lei.
Devo ammettere che tutto questo tira-e-molla mi ha già estenuato. Con lei non volevo impostare il rapporto sul "mordi-e-fuggi" Cercavo un confronto mentale e magari anche un'intervista lunga un paio di chilometri per scriverci su un libro fra lo spaccato socio-musicale e le confidenze d'una diva del pop che ha chiuso prima del tempo, nauseata dai tarli dello show-business. Con Gea va più che ok. Non volevo invischiarmi. Ma era dura non ammainare bandiera davanti a quei suoi fanali lucenti e alla trama quasi impalpabile della sua pelle trasparente. Mi faceva sentire bambino e piccolo-fan quando col mio cervello avrei potuto stanarla dall'abisso di silenzio e finta meditazione in cui s'era cacciata.
Il piano, me l'ero costruito bene. Le avevo inviato come ultimatum una lettera concitata e diretta dove le contestavo tutti i suoi comportamenti, accusandola di aver paura di un confronto vis-a-vis con me. Prima o poi m'avrebbe cercato. M'avevano raccontato di certe sue impuntature caratteriali. Voleva sentirsi primadonna e prima o poi avrebbe ceduto. Quella mia devozione da fanciullino ipnotizzato in fondo la faceva sentire ancora diva. Te le raccomando le sue dichiarazioni di aver chiuso con la vanità. Aveva il mio numero di cellulare, di solito m'aveva chiamato lì. Avrei risposto cambiando un po' voce, tanto quando chiama lei m'appare sempre "Numero privato", poi avrei impostato il tono sul professionale e le avrei detto che aveva sbagliato, anzi Ronnie era partito, per quanto ne sapevo ed io avevo ereditato il suo numero.
Si sarebbe strappata i capelli ad un certo punto, non riuscendo a recuperarmi in nessun modo. In fondo, gli sarebbe mancata la mia adorazione. E l'avrebbe scontata. Era passato un bel po' di tempo dalla mia lettera.
Mi concedevo qualche attimo di relax con grandi nuotate in piscina ed ogni tanto con Gea e gli altri si faceva qualche giro sulle spiagge in zona e intanto continuavo ad accumulare materiale per un saggio che stavo scrivendo su turbe psichiche e caratteristiche essenziali delle rockstar. Gea era risalita in casa per farsi una doccia e preparare la cena. Io mi godevo l'ultimo scorcio di sole, sdraiato con i Chicane che cadenzavano soft-trance nelle mie orecchie. Stavo da Dio un po' abbronzato ed i capelli avevano preso una sfumatura più chiara.
Avrebbe dovuto vedermi, la Dea. Non so come, nell'intervallo fra un pezzo e l'altro, riesco a sentire la suoneria del cellulare.
Mi guardo attorno. Sono rimasto solo, in piscina. Fra poco si chiude. Afferro il telefonino e vedo che lampeggia la scritta "Numero Privato". Ci siamo. E' il momento. M'accendo al volo una sigaretta per fare la voce più roca. Spingo il tasto. Sento una voce femminile, un po' velata. E' lei, Cristo. E' divinamente lei. Ora la stango. "Siii" ho detto, un po' snoiato. "Parlo con Ronnie?" Non ha cambiato il modo stereotipato d'approcciare.
Cerco d'arrochire la voce e ci piazzo dentro anche qualche sfumatura settentrionale. E' il mio vezzo. "No, mi sa che ha sbagliato numero." Sento silenzio dall'altra parte. "Ma non é il.." e mi ripete il numero. Sta sbroccando. Mi ritufferei in piscina con tutto il telefonino per la soddisfazione di stenderla così. "Sì, il numero è giusto. Ma Ronnie so che è partito, se è quello che cerca lei. Mi ha lasciato il suo numero. Penso sia all'estero, non so se s'è trasferito per sempre". Sentivo un gran tramestio dall'altra parte. Un sospiro. Poi un "Grazie, mi scusi". Ce l'avevo fatta.
Scattavo in piedi e recuperavo tutta la mia roba per tornare su e raccontarlo a Gea. Mentre risalivo a grandi falcate, canticchiando, mi tornava in mente quel sottofondo musicale un po' elektro che avevo sentito dietro la voce al telefonino. Strano che lei ascoltasse roba simile. Mi veniva un dubbio atroce. E se non fosse stata lei? Un'ipotesi terrificante mi sconvolgeva, facendomi sbiancare malgrado l'abbronzatura accesa. E se fossero stati quelli della radio che mi cercavano per offrirmi il posto di dj? Ed io avevo detto che Ronnie era partito. Maledizione, dovevo rintracciarli in qualche modo. Guardare sull'agenda il numero. Richiamarli. In quel momento sentivo suonare ancora il telefonino. Mi sa che ci stavano riprovando. Un sospiro di sollievo mischiato al fiatone della gran corsa. Rispondevo al volo "Siiiii" Ora avrei spiegato tutto. Avrei detto che era stato solo uno scherzo per un'amica. Io c'ero e come ed ero pronto a prendere il mio posto in consolle. "Posso parlare con Ronnie?" Neanche le davo il tempo di finire. "Certo che ci sono...Non sono partito, aspettavo proprio questa telefonata... " Sento una risatina sommessa, dall'altro capo. "Non sei proprio cambiato…aspettavi proprio me, eh….Che me le scrivi a fare quelle lettere di rabbia e contestazione allora?"
Oddio, maledizione. Questa é lei davvero. Cerco di ribattere qualcosa, dico che mi sono appena svegliato, aspettavo una telefonata di lavoro, sono un po' sfasato. Ma lei continua a ridacchiare e mi smonta. Dice che ci risentiamo nei prossimi giorni. Avremo tempo per discutere. Ha sfoderato il solito atteggiamento da primadonna. Ed io ho perso una maledettissima occasione per stroncarla.
Risalgo su e prima ancora di raccontare tutto a Gea, rovisto fra i libri per trovare il numero della radio. Ma lei sta facendo la doccia ed è sintonizzata proprio su quella lunghezza d'onda. Sento nettissime, al di là della porta, le parole di Max, il conduttore della top-charts. "Abbiamo appena parlato col futuro dee-jay scelto dopo una lunga selezione...Si chiama Brian e ve lo presenteremo prossimamente. Inizialmente c'eravamo orientati su un altro bravissimo dj. Ma ha tradito l'Italia per qualche spiaggia trendy. Ti auguriamo un estate focosa ad Ibiza o dovunque tu sia, Ronnie". Ed io, trascinandomi a fatica con le ciabattine da mare fino al terrazzo guardo da su la piscina e stramaledico la mia idea balorda. Mi sono bruciato nel giro di cinque minuti due grosse possibilità. Conquistarmi il posto in radio e mandare in crisi la Diva. Afferro il telefonino e, dopo aver preso la mira, lo lancio in piscina. Almeno per un po' sarò davvero introvabile.
Giro le spalle e vado a cercarmi un materasso su cui sdraiarmi con il condizionatore a palla per dimenticare tutto in un sonno beato.
©
Patricia Wolf
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Prefazione / Indice / Scheda
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Io amo l’immediatezza, la velocità e lo scatto rabbioso. (…) Forse è perché mi sento più Berruti o Mennea piuttosto che Abebe Bikila, che ho scelto il racconto come forma espressiva e nel racconto concentro tutta la foga, la rabbia e la poesia di cui mi sento capace. (...)
Nel racconto c’è uno slancio corto e improvviso che ti catapulta a testa in giù, nel culmine dell’abisso e può farti scorgere splendidi fondali marini da cui riemergere, con un altro balzo verso l’alto, pugni protesi verso il cielo, quasi rigenerato da quel viaggio rapidissimo nel tuo inconscio.
(P.W.)
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Prefazione / Indice / Scheda
Verrà l'alba e avrà il suono di una radiosveglia di Patricia Wolf
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