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In questo romanzo del 1951 Woolrich ci presenta Champ Prescott, un giovane poliziotto in vacanza forzata, mentre arriva alla stazione dell’isola di Joseph’s Vineyard. Una stazione desolata, vuota, avvolta in un silenzio di morte. E, al centro del vuoto, lui, “un’isolata figura umana” che si guarda intorno. E intorno continuerà a guardarsi per tutto il romanzo, con la decisione del poliziotto di città (proviene infatti da New York, e soggiorna di malavoglia sull’isola in seguito ad un ferimento da parte di un criminale), ma anche con la timidezza e l’impaccio di un uomo innamorato. Si, perché la seconda persona che incontra sull’isola, Susan Marlow, anche lei newyorchese e pittrice dilettante, lo stregherà fin dal primo istante.
Champ ha prenotato una stanza a casa Hopkins, ma non sa dove si trovi l’abitazione. Chiede indicazioni alla prima persona che incontra, Lon Bardsley, una persona che non tarderà a manifestarsi per quello che è, l’idiota del villaggio, ma un idiota che sa tante cose, e che fornirà al protagonista la pista per la propria indagine. Perché Champ non farà in tempo a raggiungere casa Hopkins che si imbatterà nel primo di una serie di omicidi. Anzi, di un omicidio mascherato da suicidio. E gli ci vorrà del bello e del buono a convincere lo sceriffo dell’isola ad aprire un’indagine, anche perché questa si rivelerà presto molto scomoda.
Gli omicidi si susseguono, e sono tutti apparentemente scollegati se non per il modus operandi dell’assassino, che strangola le sue vittime. Ma Prescott non tarderà a trovare il bandolo della matassa, anche se la mancanza di alcune informazioni gli renderà difficile portare a termine la propria investigazione. Anche perché “la collera si può facilmente controllare in un individuo. Ma in una folla la collera è una forza inarrestabile. Deve esplodere prima che possa dissiparsi: non ha altra valvola di sicurezza che questa. (…) Le folle sono bizzarre. Saltano alle conclusioni in un baleno, ma non sono disposte a cambiarle altrettanto in fretta”. E la folla sarà uno dei maggiori ostacoli che Champ dovrà superare.
Il romanzo di Woolrich scorre e appassiona come tutte le opere dello scrittore statunitense (uno degli autori, tra l’altro, più saccheggiati dal cinema), e si dipana attraverso la varia umanità che compone la comunità di Joseph’s Vineyard. La soluzione dell’enigma è forse un po’ prevedibile, e ancora di più per il lettore italiano, poiché il titolo dell’edizione nostrana già contiene un elemento della soluzione, purtroppo. Ma il ritmo e l’acuto dosaggio delle scene, equamente divise tra indagine e rapporti umani, conducono fino alla fine senza respiro, e la relativa prevedibilità del finale viene resa intensa e coinvolgente dalle conseguenze relative all’identità dell’assassino. La storia d’amore, poi, finisce in maniera non banale, in perfetta armonia con il suo svolgimento difficoltoso.
Impagabile, poi, la maliziosa ambiguità di alcune scene, tipiche di Woolrich. Quando Susan Marlow si trova ad impugnare per la prima volta una pistola, per esempio, l’autore ci descrive le sensazioni della protagonista in questo modo: “Una pistola era una cosa meravigliosa. Non c’era da stupirsi che gli uomini ci tenessero tanto a possederla. Prima di allora non aveva mai capito perché: adesso lo sapeva. Anche troppo bene”.
Ma non si deve pensare che la forza del romanzo stia soltanto in queste simpatiche facezie: le notazioni sociologiche e umane, inserite con leggerezza ed efficacia, senza mai risultare invadenti, ci danno l’efficace spaccato di una piccola comunità isolata, e i personaggi sono tanto bizzarri quanto verosimili.
Non certo il miglior romanzo di Woolrich, ma una lettura piacevole e non necessariamente fine a se stessa.
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