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All’Est del Mediterraneo
di Abd ar-Rahman Munif
Pubblicato su SITO
Anno
1993-
Editore Jouvence
Prezzo €
15-
216pp.
ISBN
9788878012134
Una recensione di
Stefania Lo Sardo
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Votanti:
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Media
79.08%
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Traduzione dall’arabo di Monica Ruocco
All’est del Mediterraneo è un romanzo che parla di prigionia. È una narrazione a due voci: la voce di chi la prigionia l’ha vissuta personalmente e la voce di chi l’ha invece immaginata, in silenzio, sulla pelle di una delle persone più care. Ragiàb e Anisa: fratello e sorella cresciuti insieme sotto l’ala protettrice di una madre coraggiosa, in un imprecisato paese che si trova sulle coste orientali del Mediterraneo. Ragiàb, dopo cinque anni di torture raccontate minuziosamente in tutta la loro reale crudeltà, esce di prigione firmando un foglio col quale, in cambio della libertà e della collaborazione col governo al quale si era tenacemente opposto fino a quel momento, denuncia i suoi compagni. Cos’è stato a spingerlo a tradire i suoi ideali? Il cancro al sangue che lo porterà alla morte se non tempestivamente curato? Il suo corpo, ormai debole a soli trent’anni, che non sopporta più le violenze giornaliere? Esce dal carcere e trova un mondo diverso da quello che aveva lasciato. La madre è morta mentre lui era dentro. La donna che ama non ha resistito alla lunga attesa, piena di dubbi per il futuro, e ha accettato di sposarsi con un altro uomo. Ma non ha tempo per abituarsi alle nuove circostanze. Deve curarsi e per questo, dopo pochi giorni, si imbarca diretto in Francia. La delicata figura di Anisa racconta la stessa storia con gli occhi di chi si trova a casa ad aspettare, mentre la vita la sfiora passando, proiettata in un mondo futuro nel quale avrebbe accolto il fratello una volta scarcerato e avrebbe colmato tutti i vuoti della vita di lui. All’Est del Mediterraneo è una testimonianza, l’urlo coraggioso di un uomo e una donna che raccontano una storia uguale a tante altre storie che continuano a consumarsi in quei luoghi dove un potere onnipotente si scaglia feroce contro chi gli si oppone. Ragiàb narra la sua vita dopo la prigione, i primi giorni a casa, il viaggio in nave (splendidi i soliloqui nei quali il protagonista parla all’Achilleus, la nave che lo sta trasportando, elevandola a depositaria silenziosa dei frammenti della sua tristezza), la permanenza in Francia. La narrazione del presente è contaminata dai ricordi delle brutalità subite durante il periodo di detenzione. È un presente che non può essere vissuto perché schiacciato da un passato che lo sovrasta. Non c’è rivolta nelle parole di Ragiàb, così come non c’è in quelle di Anisa. C’è solo lo sfinimento di chi sopravvive a un incubo, c’è il senso di colpa di chi si sente indegno di raccontare una storia nella quale ha il ruolo del traditore. L’impotenza è il filo che unisce le due voci, l’incapacità di agire che però, alla fine del romanzo, si trasforma in pura azione, in atto sovversivo. La decisione di Anisa di pubblicare all’estero gli scritti suoi e del fratello per farne un romanzo che faccia conoscere al mondo quello che, pur accadendo a tanti, a troppi, viene giornalmente taciuto.
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