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Il simbolismo emotivo nei personaggi degli Indifferenti di Moravia
di Pamela Serafino
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Nel romanzo di Moravia l’indifferenza sembra permeare tutto il complesso dei suoi personaggi segnandone al contempo la staticità, quella sorta di superficiale esteriorità delle azioni che rinnega l’esistenza di un mondo interiore; in realtà la causa scatenante di questo appiattimento iniziale è anche l’elemento che dinamizza sia la psicologia dei personaggi sia le loro azioni e determina lo svolgimento della vicenda. Se si considera la manifestazione di quest’ indifferenza in fieri e non al suo stadio terminale, almeno per quanto riguarda i due personaggi principali Carla e Michele, e si seguono i suoi andamenti come i flussi e i riflussi di una marea che toccano ora una sponda ora l’altra della costa, si scoprirà, proprio a partire da ciò che a questa indifferenza si sottrae, da ciò che essa per un momento lascia scoperto dal suo riflusso, pulsare la vita delle emozioni che non sono né frutto di un calcolo logico, né il risultato di un meccanicismo sensitivo. Carla e Michele sono i due personaggi principali quelli più ricchi di sfumature psicologiche, quelli che lasciano spiragli di profondità e di spessore emotivo che intaccano il mondo uniforme e immobile degli altri personaggi. Entrambi si possono considerare come due facce della stessa medaglia l’una maschile, l’altra femminile. La loro vicenda esistenziale ha un punto di partenza in comune l’insofferenza nei riguardi della madre e della vita a cui la sua “cecità”, la sua “grettezza”, la sua “gelosia” il suo egoismo li costringe. In Carla questa insofferenza è feroce, pungente, viva, quindi la sottrae dalla spirale dell’indifferenza che nel bene o nel male segna il totale disinteressamento verso l’altro, la sua non incidenza nella nostra vita. Nel momento stesso in cui Carla colpevolizza la madre della sua infelicità non le può essere indifferente. E questa colpa appare sin dalla prima scena del romanzo, che si apre nel salotto della villa, quando Carla e Leo intrattengono un dialogo durante il quale l’uomo, intento a fare delle avances alla ragazza, la invita a non prestare attenzione alle crisi di gelosia di Mariagrazia. A queste parole i segue l’improvviso sfogo di Carla che si accanisce impetuosamente contro la madre. “per, te finito” ella disse a voce bassa e fu come se quelle parole dell’uomo avessero ridestato in lei una rabbia antica e cieca; “per te..ma per noi.. per me” proruppe con labbra tremanti e occhi dilatati dall’ira puntandosi un dito sul petto; “per me che vivo insieme non è finito nulla…” Un istante di silenzio. “se tu sapessi”, ella continuò con quella voce bassa a cui il risentimento marcava le parole e prestava un particolare accento come straniero, “ quanto tutto questo sia opprimente e miserabile e gretto, e quale vita sia assistere tutti i giorni, tutti i giorni…” (pag 4) Quella di Carla si dimostra però una rabbia impotente, rassegnata, incapace di cambiare la relazione con la madre, come dimostra con evidenza l’unico episodio d’ira, avvenuto durante la cena per festeggiare il suo compleanno, in cui la figlia manifesta apertamente il proprio rancore. “ma dovresti vederti in uno specchio mentre parli, mentre discuti, allora ti vergogneresti di te stessa e capiresti fino a che punto si possa arrivare con la noia e con la stanchezza e quanto si possa desiderare una nuova vita completamente differente da questa” pag 65 In un crescendo di insofferenza nei riguardi della figura materna e della vita a cui il suo comportamento li costringe, la collera di Carla aumenta divenendo proporzionale al desiderio di cambiamento che una relazione con Leo le può offrire. Così la sua storia personale è determinata da una causa scatenante, la madre ed un effetto risolutivo, Leo. In un intreccio assai complesso che la risospinge in un imprecisata zona d’ombra, quella di un destino inevitabile, anteriore a lei ed ineliminabile, dal momento che la sua liberazione Leo, è a sua volta la causa della cecità e della gelosia della madre. Un determinismo il cui emblema si esplicita al termine del romanzo quando madre e figlia vestite in maschera “il pierrot bianco” e “la spagnola nera” si avviano l’una accanto all’altra ad una festa in maschera. Carla, quindi, data l’impossibilità di una soluzione pacifica, non dialoga mai realmente con Mariagrazia si limita ad ascoltarla o ad assentire debolmente alle sue affermazioni “Carla la guardò, ora si pentiva di aver parlato; tanto a che cosa poteva servire? Non si asciuga il mare con un bicchiere, la madre sarebbe stata così com’era, incomprensiva, ridicola, perduta nell’oscurità, non si sarebbe cambiata neppure per un miracolo” pag 65-66 Il suo rancore privo di parole troverà allora una risoluzione nei fatti: sottrarre l’amante alla madre. Questi infatti sono i pensieri di Carla la stessa sera “finire presto con tutto questo- pensava- fare in modo che domani non possa più parlare così” pag 67 Se Carla mantiene con Mariagrazia quel rapporto tensivo che non gliela rende indifferente, anche se non nei termini di un normale rapporto affettivo madre –figlia, ben altrimenti si può dire di Michele. Nel suo romanzo Moravia consegna al lettore l’immagine di un figlio totalmente estraneo alla madre, i suoi rapporti con lei sono freddi e statici al punto che i suoi vari tentativi di infervorarsi alle vicende e alle persone escludono completamente Mariagrazia; prova ad amare Lisa, ad odiare Leo, a proteggere sua sorella, ma la madre lo rende completamente incapace di agire. Quindi, se da un lato Carla non ha ancora superato lo stadio conflittuale nel rapporto con la madre, Michele si trova un passo in avanti: la madre gli è totalmente indifferente. La sua linea d’azione segue però, come è accaduto per la sorella, Leo l’amante di Mariagrazia, l’uomo che ha compromesso il suo onore e quello della sorella. Anche Michele perciò è risospinto nella spirale di un destino segnato che non gli permette di uscire da una situazione di insoddisfazione esistenziale. Non sapendosi liberare dall’ambiente in cui vive ne resta contaminato. Significativo in tal senso il dialogo tra Mariagrazia e il figlio seguito all’episodio del lancio del portacenere con il quale Michele avrebbe voluto colpire Leo “Lui?” fece la madre con un sorriso giovane, commovente d’ingenuità e d’illusione; “lui ti ama come un padre”. “Ah! Ma davvero!” domandò il ragazzo stupefatto; tanta buona fede, tanta incomprensione lo scoraggiarono; “niente da fare …” pensò, “finché restiamo così, la vita non appartiene a me ma a lei”. E apparteneva anche alla madre questo mondo deforme, falso da allegare i denti, amaramente grottesco; per lui, per la sua chiaroveggenza non c’era posto pag 193 L’indifferenza di Carla e Michele nei riguardi della madre si esprime come indifferenza verso quei sentimenti filiali che pure la società di cui entrambi fanno parte considerava valore fondamentale. Perciò a Carla non importa di divenire l’amante di Leo e Michele può tranquillamente avvicinarsi a guardare la madre dopo averla colpita involontariamente con il portacenere Insieme con gli altri due Michele si chinò; nonostante questa vista che avrebbe dovuto essere dolorosa, non provava alcun rimorso, anzi non gli riusciva di soffocare la sensazione che quella scena fosse ridicola. Invano pensava: “E’ mia madre… l’ ho colpita… l’ ho ferita… avrebbe potuto morire”; invano cercava un po’ di pietà affettuosa per quella figura immobile, perduta nell’errore: la sua anima restava inerte pag 140 D’altronde se Michele e Carla non incarnano la figura dei figli ideali, l’egoismo di Mariagrazia e la sua disattenzione verso di loro la rendono estranea alla compassione del lettore. Ipocrita, gretta, patetica, teatrale, egocentrica, snob, sembra essere la proiezione ideale dell’individuo della società borghese (così come emerge dalla narrazione di Moravia) in cui si muove e si trova perfettamente a suo agio. Tra le feste da ballo, la frequentazione dei locali eleganti e del teatro come vetrina per mettersi in mostra, la sua vita scorre in maniera monocorde, scossa solo dalla paura di perdere l’amante e dalle consequenziali scenate di gelosia. Chiusa nel suo universo superficiale, in cui gli oggetti e non le persone acquistano valore, Mariagrazia non può accorgersi del malessere esistenziale di Carla e Michele, infatti, lungi dall’assumere nei loro confronti un atteggiamento materno, se non come puro atteggiamento esteriore che stuzzica la sua vanità, si mostra indifferente verso i figli. L’indifferenza che si manifesta nel modo d’essere di Mariagrazia la rende simile ad una cinepresa ad obiettivo fisso, la sua attenzione è focalizzata su unico obiettivo: Leo, tutto ciò che resta fuori da questo campo visivo è automaticamente escluso. L’indifferenza di Mariagrazia, quindi, si caratterizza come esclusivo interesse nei riguardi di Leo, che a ben guardare, diviene oggetto del suo piacere, mezzo funzionale alla sua apparizione in società, al suo desiderio di sentirsi ancora giovane e desiderabile. Affatto insensibile alla ricchezza di Leo e all’idea di vivere in miseria, Mariagrazia è indifferente a qualunque cosa non sia visibile, manipolabile, gustabile, in altri termini ai pensieri, ai sentimenti, immateriali che danno spessore alla vita interiore. Così Moravia descrive questo personaggio mentre si reca ad una festa in macchina dell’amante Anche la madre guardava attraverso il finestrino, ma piuttosto che per vedere, per farsi vedere: quella grande e lussuosa macchina le dava un senso di felicità e di ricchezza, e ogni volta che qualche testa povera o comune emergeva dal tenebroso tramestio della strada e trasportata dalla corrente della folla passava sotto i suoi occhi, ella avrebbe voluto gettare in faccia allo sconosciuto una smorfia di disprezzo come per dirgli “Tu brutto cretino vai a piedi, ti sta bene, non meriti altro... io, invece, è giusto che fenda la moltitudine adagiata su questi cuscini” pag 103 Non a caso anche i pensieri che Mariagrazia rivolge all’amante sono dominati dai sentimenti di avidità, come quando la donna spera di essere ricevuta in casa di Leo per discutere l’affare della vendita della villa e trovare il modo di convincerlo a rinunciare all’ipoteca attraverso la seduzione. La madre assentì con una specie di avido e doloroso entusiasmo: “Dopodomani…dopodomani nel pomeriggio?”pag 62 Di questo carattere della madre entrambi i figli sono consapevoli, così Carla in uno dei suoi momenti di collera inesplosa di fronte alla falsità della preoccupazione che la madre dimostrava nei suoi confronti “Chi vuoi che mi sposi”, avrebbe voluto gridare alla madre” con questo uomo per casa e te in quelle condizioni?”. L’offendeva, l’umiliava la disinvoltura con la quale la madre, che abitualmente non si curava affatto di lei, la tirava in ballo come un argomento favorevole ai suoi scopi; bisognava finirla, ella si sarebbe data a Leo, e così nessuno più l’avrebbe desiderata per moglie” pag 22 Michele, invece, non reagisce come la sorella restando, dinanzi al comportamento di sua madre completamente indifferente. Così avviene quando Mariagrazia lo invita ad obbedire a Leo che, sentendosi oltraggiato, aveva chiesto al giovane di andare via dalla festa a cui partecipava tutta la famiglia “Si Michele, vattene” supplicò la madre; egli la guardò. “Dunque” gli scappò di bocca, “tu preferisci mandar via tuo figlio piuttosto che un estraneo come Leo” pag 107 Carla, Michele e Mariagrazia sono indifferenti gli uni agli altri e lo sono ancora di più se si considera il loro rapporto di parentela. Non occorre un esame molto approfondito per rendersi conto che la narrazione di Moravia disgrega il concetto di famiglia, mettendone in evidenza i lati convenzionali, dando risalto a quell’individualismo esasperato che caratterizza i personaggi e impedisce la condivisione della loro vita sentimentale. Se un valore sociale così fondamentale viene messo in discussione ci si aspetterebbe, all’interno del romanzo, lo sviluppo di una controtendenza che apra strade nuove, indichi altri valori. Invece così non è. Animati da una logica distruttiva e non costruttiva, Carla e Michele, i due personaggi, che attraverso le loro crisi esistenziali sembrano esprimere maggiore ricchezza emotiva, non segnano nessuna svolta nella vita piatta delle relazioni interpersonali; anzi entrambi giungono fino al termine di un cammino che annulla ogni speranza di redenzione, provando un gusto di vendetta nel ristabilire un ordine di cui, pur nel suo rispetto formale, la convenzionalità delle normali relazioni sociali è palesemente negata. Carla sposa l’amante di sua madre, opponendo al matrimonio riparatore un rapporto quasi incestuoso, Michele diverrà l’amante di Lisa che accetterà di non amare. Nessuna illusione, quindi, svelata ogni ipocrisia dei rapporti umani non sembra possibile ricostruire nulla a partire da questa verità. E sicuramente, non cercheremo in questo romanzo un messaggio positivo di affermazione di valori ideali, ma ci soffermeremo ancora su quegli aspetti della vita interiore che l’indifferenza di Carla e Michele lascia scoperti, per individuare, nella logica della negazione da loro adottata nei riguardi delle persone che dovrebbero amare, che la loro non è una indifferenza totalizzante, onnicomprensiva, paralizzante, ma è rivolta verso quegli aspetti e quelle persone della vita nelle quali non si riconoscono, non è allora indifferenza del sentire, ma indifferenza verso qualcosa che non fa parte del proprio mondo emotivo, dell’aurora della loro vita. D’altronde se Michele fosse totalmente indifferente a tutto come potrebbe soffrire della sua condizione se nell’indifferenza sono venuti meno ogni sentimento, ogni ragione di vita, ogni desiderio, ogni speranza? Questa condizione di sofferenza si esprime in maniera evidente durante il primo incontro amoroso tra Lisa e Michele avvenuto nell’appartamento di lei, quando la donna, nel tentativo di animare la serata svela a Michele quello che crede un segreto: la relazione di Mariagrazia con Leo Egli non si muoveva né parlava; rivedeva sua madre, Leo, se stesso in atto di farsi perdonare, figure stupide e piccole, perdute senza speranza nella vita più vasta…ma queste visioni non l’offendevano né destavano in lui alcun sentimento; avrebbe voluto essere tutt’altro, sdegnato, pieno di rancore, pieno di inestinguibile odio; e soffriva, invece, di essere a tal punto indifferente” pag 46 Il primo approccio amoroso tra Lisa e Michele si risolve in una sorta di recita teatrale in cui ogni azione compiuta da lui risultava indifferente verso la donna: Michele la tocca, la bacia pervaso da un’eccitazione animalesca, istintiva, non partecipata, mentre lei assume pose lascive e volgari. Ma questo stato di ebrezza abbandona ben presto l’animo del giovane in cui si fa strada un desiderio ardente di sincerità. “Penso, ripose in tono profondo chiudendo gli occhi quale debole sforzo basterebbe per essere sinceri, e come invece si faccia di tutto per andare nella direzione opposta. Sospirò gli parve di essere definit: Perché sto qui? Pensò perché mentisco? Sarebbe così facile dire la verità e andarsene” pag 48 Questo pensiero paralizza la sua azione, il suo dire, di fronte all’apparire della verità che smaschera ogni comportamento convenzionale e nega ogni falsa illusione. Perciò a Michele non resta altro che nascondersi nell’oscurità ricercata nel grembo di Lisa dove affonda il suo viso. Sensibile alla fisicità del suo corpo, il giovane è indifferente all’amore o sarebbe più esatto dire che è indifferente a Lisa? Perché non riesce ad amarla? Se Michele cerca di intrattenere una relazione con lei, reagendo solo sulla base di un’attrazione fisica e secondo un codice sociale sottinteso secondo il quale un uomo approfitta sempre di una facile conquista, Lisa vede in Michele solo un oggetto per soddisfare la sua lussuria. Benché i suoi pensieri nei riguardi dell’amante sembrino elevarsi al di sopra di una materiale relazione carnale, infondendo quasi un’aura di purezza alla sua vita, tutto il suo atteggiamento lascia intuire il contrario: mente, assume pose audaci e volgari, cerca di rendere funzionale ai suoi scopi i sentimenti del giovane. Donna persa nell’oscurità, troppo dedita alla ricerca del suo piacere, non può comprendere le confidenze di Michele; come se una lunga abitudine alle menzogne e ad una vita falsa e smodata le impedissero di cogliere il senso della verità che invece, si è rivelata a lui. Perciò le sue parole suonano a Michele come una nota stonata e lui non ha speranza che le cose tra di loro possano cambiare. “non servirebbe a nulla, egli scosse la testa a nulla tu sei così..nulla da fare… siete tutti così […] meschini, gretti, … l’amore per andare a letto… pag”51 Se il desiderio sessuale di Michele trova un momento di esitazione nella speranza momentanea di intrattenere un rapporto realmente affettivo con la donna, Lisa il cui sentire è limitato alla fisicità del corpo, non esiterebbe a ritornare l’amante di Leo, dopo l’indifferenza che il giovane le ha dimostrato lasciando il suo desiderio inappagato. Del resto alla figura di questa donna si adatta perfettamente il ragionamento freddo e calcolatore di Leo che consiglia a Michele di fare di Lisa la sua amante per un puro scopo pratico “Lisa non è davvero da buttar via; oggi appunto la guardavo è grassa ma soda…: ha un petto” egli soggiunse con una strizzatine dell’occhio all’indirizzo di Michele disgustato “ edei fianchi… e poi caro mio quella è una donna che può dare molte maggiori soddisfazioni che non una delle solite signorine all’acqua di rose.. è piena di temperamento…una vera femmina… e in secondo luogo dove la trovi oggi un amante che ti riceve in casa?” pag 96 Mariagrazia, Leo e Lisa non hanno bisogno di fingere per trovare rispondenza con il mondo esterno, perché le loro sensazioni, i loro desideri i loro bisogni scoprono un preciso riscontro con la realtà, che cosalizzano attraverso i loro gesti istintivi i loro ragionamenti, coerenti, quanto prevedibili e noiosi. Mariagrazia e Lisa nel tentativo di sedurre Leo e Michele, si atteggiano a pose false, si abbandonano a movenze lascive e ostentate, per mettersi in mostra amano scoprirsi: il seno, le cosce sono sempre pronte a fare buona mostra di sé. Nella mente di questi due personaggi non sembra esserci posto per altro se non l’arte amatoria e attraverso di essa il soddisfacimento della propria vanità. Lo stesso atteggiamento sessuale accomuna Mariagrazia e Lisa a Leo, personaggio quest’ultimo che incarna la figura del seduttore, seppur completamente privo della finezza e dell’astuzia dei don Giovanni del 700. Il suo tentativo, portato a buon fine, di sedurre Carla, non è accompagnato da alcuna tenerezza nei riguardi della ragazza, privo della delicatezza sia pure ipocrita di Lisa e Mariagrazia nei confronti dei loro amanti, Carla è considerata da Leo alla stessa stregua di un oggetto. Non a caso tutte le volte che il narratore adotta il punto di vista del personaggio Leo, il corpo di Carla diventa il vero protagonista della scena narrativa, bello, giovane, così appare nella descrizione, quel corpo è importante nella misura in cui riesce a provocare nell’uomo piacevoli sensazioni erotiche, quando l’attrattiva sessuale viene meno il corpo può essere o rifiutato (come avviene quando Carla vomita nella casa del giardiniere) o sostituito (come accade la sera in cui, essendo fallito il tentativo di sedurre Carla, cerca di consolarsi con Lisa). “Ah! Che bella bambina” pensava intanto Leo; quella nudità l’accecava, non sapeva da dove cominciare, se dalle spalle delicate, magre e bianche o dal giovane petto di una tenerezza, di un candore di latte di cui i suoi occhi avidi e sorpresi non sapevano saziarsi” pag 85 Anche le parole di Leo, così come il suo sguardo e i suoi gesti tendono a cosalizzzare Carla. Il discorso diretto di questo personaggio privilegia l’uso del modo imperativo anche nei momenti di maggiore intimità come quando i due amanti passeggiano di notte nel giardino della villa “male, male” ripetè Leo con una sorridente impazienza; “intanto alzati e cammina…e poi non stai male…hai soltanto bevuto un po’ troppo” pag 81 “Su…su” incoraggiò Leo: “che cosa non bisogna? Non bisogna bere?…Eh, lo so…ma ora” soggiunse spingendola avanti, “cammina, cammina ancora un poco”. 83 L’indifferenza di Leo nei riguardi di Carla si manifesta verso la sua personalità, svuotando in tal modo la giovane del suo spessore umano; d’altronde Leo, come Lisa e Mariagrazia, si dimostra incapace di considerare una persona nella sua qualità di essere soggetto e non essere oggetto. Indifferenti questi tre personaggi lo sono nei riguardi di qualunque aspetto della vita esorbiti dal loro ristretto orizzonte visuale i cui confini sono segnati dal solo bisogno materiale, sia quello del benessere economico sia quello del desiderio sessuale. E a questa indifferenza l’autore sembra averli inchiodati senza che per loro si apra alcuno spiraglio di salvezza, così intorno a Leo, Lisa e Mariagrazia la narrazione scorre come una pellicola che riproduce sempre la stessa immagine. Una simile indifferenza conserva il vantaggio se non altro di rendere estremamente concreti e corposi questi personaggi che sanno cosa vogliono, perché lo vogliono e come agire per ottenerlo. Infatti, Lisa, Leo e Mariagrazia si uniformano alle convenzioni sociali e vi aderiscono pienamente divenendone l’incarnazione. Le azioni di Carla e Michele, invece, sono, disorganiche, incoerenti, dal momento che, a ben guardare, la finalità del loro agire non è mossa da un oggetto del desiderio ma dal desiderio inteso nella sua essenza di verbo: desiderare. Il desiderio in questi due personaggi si esprime nella forma del verbo all’infinito, quindi non coniugabile e sprovvisto di soggetto, perché manca loro verso chi dirigere l’azione, verso chi realmente rendere transitivi i propri sentimenti che restano inespressi e separati dalle azioni compiute. L’assenza di questo chi significativo determina in entrambi un sentimento di indifferenza verso le persone che li circondano proiettando questa stessa indifferenza sulla loro vita interiore che perde profondità e financo quel senso di aderenza alle cose che, invece, troviamo negli altri personaggi.
Così pensa Michele: Ma aveva veduto, aveva provato quel che sarebbe diventato, se non avesse saputo vincere la propria indifferenza: senza fede, senza amore, solo per salvarsi bisognava o vivere con sincerità e secondo degli schemi tradizionali questa sua intollerabile situazione, o uscirne per sempre; bisognava odiar Leo, amar Lisa, provar del disgusto e della compassione per la madre, e dell’affetto per Carla: tutti sentimenti che non conosceva; oppure andarsene altrove a cercare la sua gente, i suoi luoghi, quel paradiso dove tutto, i gesti, le parole avrebbero avuto una subita aderenza alla realtà che li avrebbe originati Michele privo di sentimenti autentici nei riguardi delle persone che fanno parte della sua vita, privo dei riferimenti etici e valoriali che gli appartengono profondamente vivificando il suo mondo interiore, agisce seguendo un codice sociale esterno e stereotipato, che gli apre una strada quasi obbligata. Le azioni di Michele non si uniformano ad un mondo interiore ed non essendo coerenti ad esso risultano vuote, meccaniche come quelle di un manichino che per riuscire a muoversi ha bisogno dei fili e questi fili sono le norme convenzionali che gli altri hanno creato ed adottato in determinati contesti; perciò con la stessa facilità e indifferenza Michele potrebbe uccidere o amare a seconda di quello che le circostanze sociali gli impongono. Il suo rapporto con Leo è un alternarsi continuo di questa possibilità in un momento è capace di ingiuriarlo e subito dopo di porgergli le scuse più umilianti, in un momento lo ucciderebbe per vendicare l’onore della sorella e poco dopo è in grado di pensare ai vantaggi che essere suo cognato gli arrecherebbe. Così pensa Michele mentre una sera era cominciata una discussione con Leo a proposito della vendita della loro villa. Un orribile senso di futilità e di noia l’oppresse; girò gli occhi intorno, per l’ombra ostile del salotto; poi su quelle facce; Leo lo guardava, gli parve, ironicamente, un sorriso appena percettibile fioriva sulle labbra carnose; quel sorriso era ingiurioso; un uomo forte, un uomo normale se ne sarebbe offeso e avrebbe protestato; lui invece no… lui con un certo avvilente senso di superiorità e di compassionevole disprezzo restava indifferente… ma volle ancora una volta andare contro la propria sincerità: “Protestare” pensò “ingiuriarlo daccapo”. Pag 26 Quanto fosse vuota e falsa la sua protesta lo dimostra l’arrendevolezza che segue alle richieste di Leo e della madre affinché egli facesse pubblicamente le sue scuse all’uomo “Gliele faccio, non dubitare…dunque Leo,” disse rivolgendosi verso l’uomo “ti faccio tutte le mie scuse per averti ingiurato” egli si fermò un istante; come facilmente gli erano uscite di bocca le parole umilianti! “E ti prometto che non lo farò più” concluse con la voce tranquilla e l’indifferenza di un bimbo di sei anni pag 28 Ma ancora più significativa della vuotezza del suo agire da marionetta è l’episodio in cui Michele cerca di uccidere Leo fallendo nell’impresa perché la pistola è scarica. Sembra, infatti, che persino le cose si ribellino ad una fatalità che lo condanna all’inazione. Questa verità gli appare in tutta evidenza quando insieme a Carla si dirige in macchina verso casa e prova a parlare con sincerità alla sorella che gli risponde “non mi hai fatto nulla… nulla di male cosa avrei da perdonarti?” pag 279 “è vero… non fatto nulla… nient’altro che pensare…”. Un fremito di paura lo scosse : “ non ho amato Lisa…non ho ucciso Leo…non ho che pensato…ecco il mio errore” pag 279-80 Al contrario di Michele che agisce obbedendo ad una logica stereotipata ed esterna Carla è mossa da una fatalità immodificabile quanto inconoscibile ed anzi il suo agire in un primo momento non si uniforma al vivere sociale ma vuole romperlo. Anche le sue azioni però risultano essere vuote ed indifferenti perché prive di un mondo interiore di riferimento, di un approfondita autoanalisi e conoscenza di sé. Perciò entrambi appaiono in tutta la loro similitudine esistenziale nell’episodio finale in cui l’autore li ritrae seduti l’uno affianco all’altro nella macchina in corsa che li riporta verso casa sommersi dall’oscurità “due fantocci senza vita, dalle membra di legno dagli occhi spalancati ed estatici”. Ma l’indifferenza di questi due personaggi è simile oltre che per le stesse persone a cui si rivolge anche per ciò che ad essa sfugge.
Così dice Michele alla sorella: “I nostri errori sono stati ispirati dalla noia e dall’impazienza di vivere…tu non ami quest’uomo e io non lo odio…eppure ne abbiamo fatto il centro delle nostre azioni opposte…” pag 266 Che cosa resta al di fuori di queste azioni indifferenti? La possibilità di desiderare qualcosa di diverso dalla realtà gretta e meschina che si presenta loro. Sin dal suo primo apparire sulla scena del romanzo Carla si contraddistingue per due aspetti in lei compresenti: quello della donna oggetto verso cui sono dirette le attenzioni di Leo, quello di una fanciulla inesperta e fragile. Carla assume nei riguardi di queste due immagini di sé due atteggiamenti nettamente distinti, verso l’una ostenta un’indifferenza radicale, verso l’altra più intima e inaccessibile un’alternanza di pietà e crudeltà. Di modo che l’indifferenza verso se stessa e le sue azioni, parte della sua vita e delle persone che la circondano diventa indifferenza verso un sistema di vita, verso un’immagine di sé che la rende un oggetto da usare (Leo, Pippo) da vendere (suo fratello) o un ruolo da svolgere (la madre), come moglie o confidente o figlia, o ancora il prototipo della donna per bene che deve conservare la sua castità. Fin dal primo tentativo di sedurre Carla di cui il narratore ci rende partecipi, la ragazza sembra incurante sia degli aspetti fisici di sé che attraggono l’uomo “Entrò Carla aveva indossato un vestitino di lanetta ecc.. ma ella non se ne accorse”, sia di Leo stesso verso cui non rivolge lo sguardo attardandosi a giocare con un oggetto “ella provava col dito la testa mobile ecc. Carla sembrava tutta assorta in questa occupazione”. Questa sua attenzione verso gli oggetti diventa rivelazione del suo disinteresse per Leo in altre due circostanze assai importanti, quando dopo il tentativo fallito da parte di Leo di sedurla mentre era ubriaca, lei camminando al fianco dell’uomo nel giardino della sua casa, indugia lo sguardo su un sasso, o ancora quando poco prima di abbandonarsi all’abbraccio dell’amante seduta sul divano del salone di Leo, fissa gli oggetti intorno senza curiosità. Ma anche in tali circostanze appaiono alcuni atteggiamenti che sembrano smentire questa indifferenza e quasi contrapporsi ad essa, infatti, durante il dialogo di apertura nelle prime pagine del romanzo, alla ragazza indifferente e quasi assente si sostituisce quella invasa da una rabbia improvvisa e violenta contro la “miseria” e la “grettezza” della vita che conduce, anche, subito dopo, questa esplosione di sincerità, nonostante la presenza di Leo, sembra non avere interlocutori, si ripiega su stessa, e svanisce ammutolendola. Qualcosa però continua a parlare in Carla: il desiderio di cambiare, di essere diversa; con un’analisi spietata della situazione in cui si trova, insidiata dall’amante di sua madre, Carla pensa “Così era quello l’uomo a cui questo pendio di esasperazione l’andava insensibilmente portando? Lo guardò: né meglio né peggio degli altri, anzi meglio senza alcun dubbio, ma con in più una sua certa fatalità che aveva aspettato dieci anni che ella si sviluppasse e maturasse per insidiarla ora, in quella sera, in quel salotto oscuro” (pag 5). Quindi alla Carla indifferente all’uomo e alla sofferenza della madre che sarebbe derivata dalla scoperta di questa relazione, si oppone la Carla che soffre, ed entrambi questi atteggiamenti emergono da due modalità diverse del proprio sé, quello dell’indifferenza verso la donna oggetto e quello dell’impotenza ad essere della donna autentica per via di una certa fatalità “questa chiaroveggenza le dava un senso di paura; non c’era rimedio, tutto era inamovibile e dominato da una meschina fatalità” (pag 8). La contrapposizione tra questi due modi di essere, che dinamizzano l’indifferenza del personaggio, si ripete durante l’episodio nel giardino quando dopo avere ricevuto con indifferenza le carezze di Leo: “ Carla chiuse gli occhi, reclinò la testa sulla spalla; quel contatto molle e umido della bocca dell’uomo le era indifferente, avrebbe voluto dormire” (pag 8), avverte, durante la passeggiata in giardino, un improvviso bisogno di tenerezza: “poterlo amare pensava Carla osservando il volto rosso ed inespressivo dell’uomo;…provava un gran desiderio di abbandono e di affetto” (pag 87) o ancora più tragicamente la prima notte che Carla trascorre a casa di Leo, dove, accanto alla ragazza intrepida e senza pudore che l’aveva spinta verso quell’avventura, si affianca la ragazza inesperta e bisognosa d’amore. Emblematico in proposito è l’episodio del biglietto nascosto tra i suoi seni che l’immaginazione la spinge per un momento a credere le fosse stato scritto da un uomo che l’amava davvero, un uomo dai sentimenti autentici come quelli che provava lei e che, seppure non trovavano al chi rivolgersi, esistevano. Questi stessi sentimenti, subito dopo lo svanire del suo sogno, mentre si trova sola nel letto in attesa che Leo la raggiunga, si ripiegano nuovamente in se stessi. Spenta la tensione immaginativa ecco che il suo sentire si tramuta in una tenerezza per se stessa: a poco a poco il suo corpo ardente riscaldava le lenzuola. Ad un tratto ebbe l’impressione che questo tepore avesse sciolto quel nodo di paura e di stupore che fino allora le aveva ingombrato l’anima; si sentì sola, provò una gran tenerezza, una pietà indulgente per sé stessa, si sforzò di raccogliersi di raggomitolarsi più che poteva, fino a toccare con le labbra le sue ginocchia rotonde. L’odore sano e sensuale che emanavano la commosse; le baciò più volte appassionatamente povera poverina… si ripeteva ccarezzandosi. Gli occhi le si empirono di lacrime avrebbe voluto piegare la testa su quel petto florido e piangervi come su quello di una madre (pag 162) e ancora oltre pensa: non voleva confessarselo ma si sentiva terribilmente sola …ecco…stava distesa supina, in quel letto abbandonata ai suoi pensieri solitari, alle sue paure alla sua debolezza; la notte riempiva i suoi occhi sbarrati, l’amante non l’accarezzava sulla fronte, non ravviva i suoi capelli scomposti […] ecc. le venne d’improvviso un desiderio isterico di compagnia e di carezze; perché dorme? Si domandava, perché non si cura di me? Quel respiro letargico là, al suo fianco, aveva finito insensibilmente per spaventarla, non le pareva dell’amante, ma di un altro uomo a lei sconosciuto e magari anche ostile; c’era insomma in quel respiro un ritmo così indifferente una regolarità tanto mostruosamente in contrasto con le sue angosce e con i suoi fantasmi ch’ella non sapeva davvero se impaurirsene o indignarsene” (pag 168). Questo desiderio di sentimenti autentici è il medesimo che anima la psicologia di Michele, al di là delle loro differenti azioni ecco che i due personaggi sono accomunati da una medesima tensione desiderativa che sottrae il loro sentire dalla zona d’ombra dell’indifferenza. All’uomo immaginario di Carla, il chi da amare e da cui essere amata, che lei non ha speranza di incontrare nella sua vita reale, trova corrispondenza la coppia che Michele per un istante vede abbracciarsi in un automobile mentre di notte cammina senza una meta per le strade della sua città Gli restò da questa visione una tristezza nervosa e intollerabile; egli non conosceva quell’uomo e quella donna, doveva essere gente di tutt’altro ambiente che il suo, forse stranieri; eppure gli pareva che quella scena gli fosse uscita dall’animo e fosse una delle sue ansiose immaginazioni, incorporata e offerta ai suoi occhi da qualche superiore volontà; quello era il suo mondo dove si soffriva sinceramente, e si abbracciava delle spalle senza pietà, e si supplicava invano, non questo limbo pieno di fracassi assurdi, di sentimenti falsi, nel quale figure storte e senza verità, si agitavano sua madre , Lisa, Carla, Leo tutta la sua gente; egli avrebbe potuto odiar veramente quell’uomo, veramente amare quella donna; ma lo sapeva, era inutile sperare, quella terra promessa gli era proibita né l’avrebbe mai raggiunta. pag 110-111 Da queste considerazioni emerge che l’ indifferenza di Carla e Michele, è rivolta a ciò che non accettano ma non a ciò che non riescono a trovare e che ad intermittenza e incosciamente sentono esistere, qualcosa per cui vale la pena di lottare perché può rendere diversa la loro vita. Quindi la loro indifferenza è rivolta verso quello che esiste, che li circonda e che conoscono, ma paradossalmente non è rivolta verso ciò che non conoscono e che avvertono esista e che può esistere: l’uomo immaginario per Carla e quella coppia abbracciata nella macchina per Michele sono la dimostrazione, contro l’appiattimento totalizzante a cui si abbandonano gli altri personaggi, che ci sono : barlumi di vita, esistenze autentiche, forze emotive che fanno soffrire e amare sinceramente. L’indifferenza che i due fratelli provano verso il loro mondo si esprime in più modi: fisiologicamente attraverso il malessere fisico, il vomito, la ricerca del buio; psichicamente verso le regole esterne che infrangono consapevolmente o meno, seppur senza essere costanti, e senza proporre alternative. Invece, l’ indifferenza che esprimono Leo, Mariagrazia e Lisa completamente aderenti al loro mondo, nel quale vivono con piacere, e abituati ad una vita meschina e indifferente a qualsiasi forma di esistenza che non sia materiale, è diversa da quella di Carlo e Michele, anzi è inversamente proporzionale ad essa in quanto rivolta a ciò che non conoscono e non a ciò che conoscono. Se vogliamo attenerci ad una interpretazione moralistica, sicuramente nessuno dei personaggi rappresentati negli indifferenti può riscuotere una grande simpatia: il lasciarsi andare di Carla ad un destino che appare segnato sin dall’inizio, la sua vana ribellione ed un superficiale tormento interiore cui non fa seguito un approfondimento sincero ed analitico della sua personalità, le azioni fallite di Michele, il suo tentativo di commuoversi e di provare qualcosa, la sua non accettazione di una vita comoda che non si traduce però in un altro sistema di vita, li rendono due persone incomplete, in quanto da un parte propositive ma dall’altra prive di quel coraggio, di quella forza e ricchezza interiore che li faccia non solo intuire ma anche cercare l’esistenza autentica. Ma a noi non interessa giudicare la loro moralità, si è vero, Carla e Michele alla fine si piegano alla logica di una vita facile e comoda, forse esiste in loro una falsa problematizzazione, ma è importante cogliere che cosa ci ha lasciato intravedere l’autore: l’esistenza di una vita autentica e di cui si ha bisogno e che può esistere. Perciò anche nel loro fallimento umano Carla e Michele, hanno comunque il merito di aver intuito che esiste qualcosa di diverso dal loro mondo, per questo sono più umani, più incoerenti, più dinamici degli altri personaggi. Quello che Moravia distrugge denudando in questo romanzo sono le convenzioni sociali, la mistificazione della famiglia, dell’onore, della posizione, della virtù, del successo, con una rivoluzione scandalosa ci invita a trovare la purezza nel pianto di una prostituta che interrompe le sue prestazioni sessuali al ricordo della madre morta oppure tra le braccia di Carla che tradisce il marito perdendo quella sua durezza di statua, queste donne rigide sono sempre le più ardenti, ridiventa fanciulla, piange, ride, balbetta è come una prigioniera liberata che rivede alfine la luce… la sua gioia è bianca, tutta la stanza è bianca, ella è senza macchia tra le braccia dell’amante…la purezza è ritrovata. Dalla de-simbolizzazione e de-istituzionalizzazione dei simboli verticali, della famiglia, del matrimonio, dell’amore filiale, della virtù della donna, Moravia approda, in tal modo, ad una risimbolizzazione del sentire al di fuori di qualunque schematismo imposto dall’esterno.
A cura di Pamela Serafino
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