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Fulvio se ne stava in piedi davanti al loculo di Arturo Russo già da un paio di minuti quando un uomo lo avvicinò.
«Buongiorno» salutò l’uomo.
«Buongiorno a lei.» Fulvio rispose senza distogliere lo sguardo dalla targhetta dorata su cui era inciso il nome del defunto.
«Il signor Grimaldi, suppongo.»
Fulvio si voltò verso l’uomo. Non lo riconobbe, ma non ne fu sorpreso: essere riconosciuto da perfetti sconosciuti era il prezzo che si doveva pagare per la celebrità.
Lo sconosciuto indossava un elegante completo grigio sopra una sgargiante cravatta rossa e teneva in mano una cartelletta sul dorso della quale era possibile leggere una specie di slogan: ‘Soddisfatti o Redenti’. L’uomo, che aveva tutto l’aspetto di un venditore di automobili, sorrideva affabilmente.
«Lei è il signor Fulvio Grimaldi, giusto?»
«In persona! Prego, mi dica.»
«Sono venuto per il nostro appuntamento. Spero di non essere in ritardo.»
«Credo che lei si stia sbagliando» disse Fulvio.
«Nessuno sbaglio» ribatté lo sconosciuto. Estrasse un foglio dalla cartelletta e lo mostrò a Fulvio. «Ecco, vede? Qui dice: ‘Appuntamento con Fulvio Grimaldi: ore 9:30 AM di mercoledì 14 giugno 2006, davanti alle spoglie mortali di Arturo Russo. Cimitero di Catania’.»
«Guardi» insisté Fulvio, «deve esserci un errore. Io non avevo alcun appuntamento: mi trovo qui per puro caso. E poi, mi scusi, si può sapere lei chi è?»
L’uomo in cravatta assunse un’espressione mortificata. «Oh! È vero, non mi sono ancora presentato. Che maleducato!» Tese la mano verso Fulvio. «Mi presento: sono il Diavolo.»
Sbigottito, Fulvio guardò lo sconosciuto senza dire niente.
«Vede» aggiunse l’uomo dalla cravatta rossa, «a parziale discolpa della mia maleducazione c’è il fatto che, giù all’inferno, ho iniziato a frequentare il master in ‘Immagine e Comunicazione’ solo da poco e ancora non sono arrivato alle buone maniere. Finora ho lavorato sul look e, come può notare, i risultati si vedono.» Lo sconosciuto ammiccò e sorrise maliziosamente. «Se mi fossi presentato col vecchio look, a quest’ora lei starebbe urlando o fuggendo o tutte e due le cose insieme.»
«Il diavolo?!» disse Fulvio.
Senza smettere di sorridere, l’uomo abbassò la mano che aveva inutilmente teso verso Fulvio. «In persona!»
Fulvio ebbe una intuizione. «Ho capito: lei mi ha riconosciuto!» disse. «Deve aver visto la mia foto da qualche parte, magari in uno dei miei libri, mi ha riconosciuto e ha pensato di farmi uno scherzo.»
«Oh, no! No, no! Le assicuro che...»
«Molto bravo, complimenti» lo interruppe Fulvio. «Sono sinceramente ammirato. Mi è piaciuta soprattutto la cartelletta col mio nome e l’orario dell’appuntamento: un vero colpo da maestro. Però adesso mi deve dire come ha fatto a trovare una stampante al cimitero. Lavora nei paraggi, vero?»
«Signor Grimaldi» disse serio lo sconosciuto. «Le assicuro che questo non è uno scherzo.»
«Suvvia, adesso può anche smettere di recitare. Ormai l’ho smascherata.»
«Reazione da manuale!»
«Prego?»
«Dicevo che la sua è una reazione da manuale.»
«In che senso?»
«Vede» spiegò lo sconosciuto, «uno degli inconvenienti del nuovo look è quello dell’incredulità...»
«Ancora con questa storia?» lo interruppe spazientito.
«La prego signor Grimaldi, mi lasci spiegare.»
Fulvio decise di stare allo scherzo. Incrociò le braccia al petto e disse: «E va bene, sentiamo un po’.»
«L’incredulità» riprese lo sconosciuto, «è l’inconveniente principale del nuovo look. Tuttavia è un ben misero prezzo da pagare se si considerano i vantaggi.»
«E sarebbero?»
«Be’... lei è ancora qui ad ascoltarmi, no? Non sta scappando, intendo.»
«Ah già, che stupido!» si schernì Fulvio. «Se avessi visto il suo vero aspetto a quest’ora sarei fuggito, vero?»
«Esatto!» lo sconosciuto non colse il sarcasmo. «Non può immaginare quanto sia seccante dover continuamente riapparire davanti al fuggiasco mentre questo scappa da una parte all’altra come un coniglio impazzito.» L’uomo scosse la testa. «Ormai ho una certa età, sa?»
«Chiaro, chiaro!» rispose Fulvio, annuendo e trattenendo a malapena una risata. «Dunque, stava dicendo...»
«Stavo dicendo che l’incredulità è un inconveniente che si presenta quasi sempre. Tuttavia, la strategia per vincere lo scetticismo dei clienti è quella di rivelare loro una serie di fatti che nessun’altro, a parte loro stessi, può conoscere.»
«E se non dovesse bastare neanche questo?» chiese Fulvio. «Informazioni riservate si possano reperire con delle banali tecniche di investigazione, non le pare?»
«Mi creda» disse lo sconosciuto, ostentando sicurezza e tornando a sorridere, «il genere di dettagli a cui mi sto riferendo non si possono ottenere neanche ingaggiando il tenente Colombo. Sto parlando dei segreti più intimi dell’animo umano. Dei segreti più inconfessabili che ogni uomo serba nei recessi del proprio cuore. E poi...»
«E poi?»
«Be’, se poi il cliente non volesse proprio convincersi, posso sempre mostrarmi con le corna, la coda, le zampe caprine e le ali di pipistrello, non le pare?»
Fulvio rise di gusto. «Quindi» riprese, «immagino che adesso mi rivelerà qualcosa che nessun’altro, a parte me, può sapere, giusto?»
«Esattamente» rispose lo sconosciuto. «Per convincerla che questo non è uno scherzo e che io sono davvero il Diavolo, le dirò per quale motivo lei oggi si trova qui al cimitero davanti i resti mortali del povero Arturo Russo.»
Fulvio si fece serio.
Lo sconosciuto continuò: «Un paio di giorni fa, scorrendo i fogli del quotidiano locale, lei ha letto il nome di Arturo Russo nella pagina dei necrologi ed è stato sopraffatto da un senso di colpa che da vent’anni cova dentro come brace sotto la cenere.»
«Non so di cosa stia parlando» si difese Fulvio.
«Ah no?» ribatté lo sconosciuto in tono di sfida. «Vogliamo allora parlare del sogno ricorrente che l’ha tormentata negli ultimi vent’anni?»
Fulvio irrigidì i muscoli del volto.
«La prego di correggermi se sbaglio.» L’uomo dalla cravatta rossa stava adesso sorridendo malignamente. «Da vent’anni a questa parte, di tanto in tanto, lei fa lo stesso sogno: è ritornato all’ultimo anno di liceo, quando ha rischiato di non essere ammesso agli esami di stato. È l’ultimo giorno di scuola e la sua situazione è parecchio... ‘delicata’. Per non perdere l’anno, deve assolutamente consegnare degli elaborati di storia dell’arte.
«Nel sogno, così come nella realtà, lei non ha svolto quegli elaborati, ma non ricorda il perché. Sa solo che avrebbe dovuto svolgerli e che non l’ha fatto. Rivive la stessa angoscia che ha provato quell’ultimo giorno di scuola mentre cercava di inventare qualche scusa per convincere la docente a non presentarla con ‘due’.
«Poi, improvvisamente, si rende conto che sta sognando. ‘Ehi’ dice a se stesso, ‘ma questo è un sogno! Non devo più preoccuparmi della professoressa Finocchiaro, ormai mi sono diplomato.’ Oppure: ‘... ormai mi sono laureato.’ Od ancora: ‘... ormai sono un ricercatore universitario, ... ormai sono io stesso un docente, ... ormai sono uno scrittore affermato, ... ormai, ormai, ormai.’ Il finale è sempre differente perché il sogno la perseguita da vent’anni.»
«Questo non prova nulla» si difese Fulvio. «Vado raccontando questo aneddoto ogni volta che mi ritrovo con gli amici. La butto sempre sullo scherzo. Lei può aver sentito questa storia da chiunque.»
«Vogliamo allora parlare di ciò che non ha mai raccontato agli amici?» lo sfidò lo sconosciuto. «Vogliamo parlare del suo amico Arturo Russo e di come è riuscito a farsi ammettere agli esami pur non avendo mai preparato quei ‘maledetti elaborati di storia dell’arte?’»
Fulvio non rispose al ché lo sconosciuto cominciò a rievocare fatti risalenti a parecchi anni prima.
Arturo Russo e Fulvio erano amici. Lo erano diventati nel corso dell’ultimo anno di liceo: l’anno scolastico 1985/86. I due ragazzi frequentavano sezioni differenti della scuola e fino all’anno precedente si conoscevano solo di vista. Quell’anno erano diventati amici poiché, avendo compiuto diciotto anni lo stesso mese, avevano entrambi cominciato ad abusare del ‘superpotere’ di giustificare le proprie assenze senza dover prima passare dai genitori.
Dopo i primi maldestri tentativi di ‘abuso di maggiore età’, i due giovani avevano cominciato a sincronizzare le assenze strategiche in modo tale da avere sempre l’uno la compagnia dell’altro. In genere, le assenze servivano per evitare qualche prova scritta o qualche interrogazione, tuttavia era sufficiente anche una bella giornata perché i due amici si trovassero d’accordo sul fatto che non ci si poteva privare di un cielo così azzurro stando dietro ad un triste banco ad ascoltare noiosissime lezioni di matematica, fisica o... storia dell’arte.
Gli effetti del comportamento dei due giovani, tuttavia, non tardarono ad avere ripercussioni sul loro rendimento scolastico: le pagelle del primo quadrimestre ebbero ben poche sufficienze.
Sia i genitori di Fulvio che quelli di Arturo ripresero severamente i propri figli minacciando di togliere loro le macchine (il bene più prezioso per un diciottenne) e i due giovani, cedendo all’infame ricatto, cominciarono a darsi una regolata. Le assenze si ridussero drasticamente, senza tuttavia annullarsi del tutto (un’assenza ogni due settimane, si sa, è per un diciottenne una dose fisiologica al di sotto della quale non è salutare scendere), e i rendimenti cominciarono a migliorare.
Per Fulvio, tuttavia, c’era un ostacolo insormontabile: la professoressa Finocchiaro. Ovvero, l’odiata docente di storia dell’arte.
A scuola, la condotta di Fulvio non era mai stata ineccepibile. Per i compagni era un leader ma per gli insegnanti era un ‘elemento perturbatore’. In pratica, era lui a fare il bello o il cattivo tempo in classe. Se decideva che una lezione non ‘s’aveva da fare’ allora non si faceva: si metteva a tormentare i docenti con raffiche di battute insulse e, aiutato dalle risa dei compagni, rendeva impossibile il regolare svolgimento delle lezioni. I richiami non servivano a nulla: lui continuava imperterrito, sprezzante dei provvedimenti disciplinari che venivano presi nei suoi confronti.
Durante le lezioni di storia dell’arte, però, Fulvio doveva scontrarsi con la lingua biforcuta della professoressa Finocchiaro. A differenza degli altri docenti, l’insegnante di storia dell’arte non si sottraeva ‘mai’ allo scontro. Anzi, iniziava a duellare con lo studente a suon di battute e provocazioni e ne usciva sempre vincitrice. La stoccata finale era quasi sempre bruciante e decretava l’inappellabile sconfitta di Fulvio che, mal celando il proprio rancore, non poteva fare altro che rimanere in silenzio e permettere il regolare proseguimento della lezione.
Le uniche meschine ritorsioni che Fulvio riusciva ad opporre alla Finocchiaro consistevano nel non studiare storia dell’arte e nell’adoperarsi affinché anche Arturo, che aveva la stessa docente, facesse altrettanto.
Arturo, che non era mai stato un’aquila, non sospettò mai che Fulvio avesse indegni secondi fini e si fece convincere a non ‘perdere tempo’ con la storia dell’arte quando l’amico gli fece notare che la disciplina non figurava tra le possibili materie d’esame per il liceo classico.
L’amara sorpresa per i due alunni venne ad un mese dallo scrutinio per l’ammissione agli esami. Un bidello entrò in classe con una circolare che portava cattive notizie: gli alunni di terza liceo che avessero concluso l’anno scolastico ‘anche’ con una sola grave insufficienza – vale a dire ‘due’ oppure ‘tre’ - non sarebbero stati ammessi agli esami di stato.
Fu un duro colpo per Fulvio e Arturo.
La professoressa Finocchiaro, tuttavia, si dimostrò più accomodante di quanto Fulvio avesse mai osato sperare: propose agli alunni ribelli di preparare tre elaborati scritti, uno per ognuna delle tre parti del programma svolte durante l’anno, e chiese loro di consegnarli entro l’ultimo giorno di scuola. Se i due ragazzi avessero ottemperato a quest’obbligo, avrebbe dato loro ‘sei’ e tutto si sarebbe sistemato.
In pratica, la professoressa li aveva graziati.
Quel mese scivolò via in fretta per Fulvio. Nelle prime due settimane, la pigrizia ebbe la meglio su tutto. Ogni scusa era buona per rimandare il lavoro: ‘Un mese è lungo, c’è ancora tempo’, ‘Ho materie più importanti da studiare’, ‘Domani, cascasse il mondo, inizio a lavorare’ e ‘Che giornatona! Ma come si fa a stare a casa con un tempo così?’.
Col passare del tempo, però, Fulvio cominciò a percepire l’offerta della professoressa come una sorta di rivincita nei suoi confronti. Più si avvicinava la data ultima, utile per consegnare gli elaborati, più Fulvio si convinceva che la docente voleva sottoporlo all’umiliazione suprema. Se lui avesse consegnato l’elaborato, allora sarebbe stata la disfatta. La professoressa avrebbe vinto su tutti i fronti e lui, questo, non poteva tollerarlo. Così, decise che non avrebbe consegnato alcun elaborato. Alla fine, ne era sicuro, la professoressa non avrebbe avuto il coraggio di precludergli gli esami e tutte le umiliazioni subite, tutte le battaglie perse in quegli anni, sarebbero state cancellate da un’unica, semplice frase, scritta accanto al suo nome nella bacheca della scuola: ‘ammesso a sostenere gli esami di stato’. Quella frase avrebbe decretato la sua vittoria finale.
La sicurezza che la Finocchiaro avrebbe alla fine ceduto si dissolse la mattina di sabato 14 giugno 1986: l’ultimo giorno di scuola. Fulvio, in preda all’angoscia, decise di andare a scuola a piedi per schiarirsi le idee. Durante il tragitto arrivò a maledire il proprio orgoglio: per una stupida diatriba con la docente stava seriamente rischiando di non essere ammesso agli esami.
Una miriade di scuse, una più inverosimile e patetica dell’altra, gli turbinarono nella mente. L’obiettivo che voleva perseguire era convincere la professoressa a non presentarlo con ‘due’ agli scrutini che si sarebbero tenuti quel pomeriggio. Doveva assolutamente convincere la docente ad ammetterlo sulla fiducia; in cambio, si sarebbe impegnato a fargli avere gli elaborati entro un paio di giorni.
La disperazione era arrivata al punto che avrebbe anche accettato di strisciare come un verme ai piedi dell’odiata professoressa, pur di ottenere l’ammissione.
A complicare le cose, poi, ci si era messo anche il rimorso per aver convinto Arturo a fare come lui. Per colpa sua, anche l’amico stava rischiando di non essere ammesso agli esami.
Dopo averlo ascoltato per una ventina di minuti, Fulvio si era ormai persuaso di avere davanti il diavolo in persona. In un paio di occasioni, mentre lo sconosciuto rievocava fatti avvenuti vent’anni prima, Fulvio vide brillargli negli occhi una luce malvagia: sembrava che dietro le pupille di quell’essere ardessero dei tizzoni di brace incandescenti. Senza accorgersene, aveva anche mosso alcuni passi all’indietro e aveva finito per poggiare le spalle sulla targa del loculo dove, solo il giorno prima, erano state inumate le spoglie mortali del vecchio amico.
«Cosa vuole da me?» chiese spaventato.
Il diavolo tornò una volta ancora a sembrare un venditore d’automobili. «La ringrazio per la domanda» rispose. L’aura di malvagità che solo poco prima l’aveva avvolto come un sudario, era scomparsa. «Sono venuto a trovarla per chiudere la pratica che ho aperto su di lei esattamente venti anni fa.»
«Non so di cosa stia parlando» si difese Fulvio. «Io non ho mai chiesto nulla. Se sta insinuando che io abbia venduto l’anima al diavolo in cambio di qualcosa, allora sta facendo un colossale errore. Glielo ripeto: non ho mai chiesto nulla.»
«Assolutamente!» concordò il diavolo. «Ha perfettamente ragione: lei non è mai venuto a patti col diavolo, cioè con me. Non mi ha mai venduto l’anima.»
«E allora cosa vuole? Non capisco.»
Il diavolo sorrise affabilmente. «Come vedrà è tutto molto semplice: sono venuto all’appuntamento per sottoporle la nostra speciale polizza ‘Soddisfatti o Redenti’.»
«Cos’è, una specie di patto col diavolo?»
«Sì, una specie.»
«E cosa le fa pensare che io voglia dannare la mia anima? Forse lei non è ben informato, ma io sono un famoso scrittore. Nella vita ho raggiunto tutti i traguardi che mi sono prefisso. Inoltre ho una bellissima moglie e due bambini meravigliosi. Sto bene così, non ho bisogno di nulla. Non sono il vostro uomo.»
«Ed è qui che si sbaglia» rispose il diavolo. «Lei è il nostro uomo e lo è già da vent’anni.»
«Non capisco.»
«Vede» spiegò il diavolo, «Il fatto è che la sua anima ‘è già dannata’.»
«Ma che sta dicendo?!»
«Sto dicendo che, allo stato attuale, la sua anima è destinata a bruciare all’inferno per l’eternità.»
«Che vuol dire: allo stato attuale?»
«Vuol dire che lei è ancora in tempo per salvare la sua anima: sono venuto a trovarla per offrirle la redenzione.»
«La redenzione?!» Fulvio era sbigottito. «Lei, ‘il diavolo’, mi sta offrendo la redenzione?»
«Più precisamente» puntualizzò il diavolo, «le sto offrendo di sottoscrivere la nostra speciale polizza ‘Soddisfatti o Redenti’.»
«Oh mio Dio! E di che si tratta?»
«La prego, signor Grimaldi!» esclamo indignato il diavolo. «Moderi i termini. Si ricordi chi ha davanti.»
«Oh, chiedo scusa... è che mi pare tutto così pazzesco.» Era esasperato. «Quello che non capisco è come io possa essere già dannato ‘in vita’ non avendo mai stretto un patto col diavolo. Senza contare il fatto che non ho mai commesso alcun peccato capitale.»
«Be’...» si accinse a spiegare il diavolo, «è vero, sì, che lei non mi ha mai venduto l’anima. Ma, come le spiegherò a breve, è proprio questa la novità della speciale polizza che sono venuto a proporle.
«Invece, per quanto riguarda il fatto che lei crede di non aver ‘mai’ commesso alcun peccato capitale... qui, purtroppo, sono costretto a smentirla.»
«Perché, cosa avrei fatto?»
«Lei ha fatto tante cose e ognuna di queste ha avuto – e continua ad avere – delle ripercussioni»
«Non potrebbe essere meno criptico?»
«Vede» iniziò a spiegare il diavolo, «ogni sua azione, per quanto all’apparenza insignificante come, ad esempio, un semplice gesto della mano, incide sempre sul destino dell’intera umanità.»
«Sta per caso riferendosi a quella fesseria che ogni mio starnuto potrebbe col tempo provocare un uragano ai tropici?»
«In un certo senso, sì» rispose il diavolo. «Solo che non è una fesseria. Si chiama ‘effetto butterfly’ ed è tutto vero nonostante lei l’abbia menzionato sostituendo il poetico ‘battito d’ali di una farfalla’ con un più prosaico starnuto. È proprio così che funziona l’universo. Non l’ho deciso io ma il mio ex principale.» Sorridendo in maniera beffarda, il diavolo rivolse sottecchi uno sguardo al cielo. «Lei sa a chi mi sto riferendo, vero?»
«Voglio sperare» protestò Fulvio, «che lei non stia insinuando che io debba considerarmi colpevole per i disastri naturali che potrebbero essere stati provocati dai miei starnuti.»
«No, questo no!» lo rassicurò il diavolo. «Sebbene non possiamo escludere che quello che lei ha appena detto possa corrispondere a verità, in tal caso lei non ne avrebbe alcuna colpa. Per come la vedo io, la colpa sarebbe di chi ha progettato una natura così capricciosa.» E rivolse una volta ancora lo sguardo in cielo. «Tuttavia lei sta trascurando un aspetto importante della faccenda.»
«Quale?»
«Quello dei presupposti.»
«Cioè?»
«Se il gesto che, in maniera del tutto imponderabile, ha cagionato la morte di uno o più individui – così, tanto per fare un esempio –, dovesse scaturire da un intento peccaminoso, allora non si potrebbe più negare la responsabilità di chi ha compiuto il gesto.»
«Quindi» polemizzò Fulvio, «se non ho capito male, lei sta dicendo che, se io starnutissi con l’intento ‘peccaminoso’ di provocare un non meglio precisato disastro, e questo, in maniera del tutto imperscrutabile, venisse effettivamente a causarsi, allora ne sarei responsabile. È così?»
«Be’... l’esempio dello ‘starnuto peccaminoso’ non è proprio dei più calzanti» rispose il diavolo, «tuttavia la faccenda, per quanto controversa, sta proprio in questi termini.»
«E quale sarebbe un esempio calzante?»
Il diavolo sorrise malignamente. «Un esempio calzante, caro il mio signor Grimaldi, sarebbe il ‘furto’ del compito svolto dall’amico.»
Fulvio ammutolì.
Vent’anni prima, la mattina dell’ultimo giorno di scuola, Fulvio era arrivato in leggero ritardo. Camminando lentamente, come se stesse cercando di ritardare la propria esecuzione, si era accorto che una decina di metri dinnanzi a sé la Panda di Arturo era parcheggiata al lato del marciapiede che costeggiava la scuola.
L’amico era arrivato puntuale.
Procedendo sul marciapiede, Fulvio oltrepassò l’automobile dell’amico scorgendo qualcosa con la coda dell’occhio.
Si voltò. All’altezza dello sportello del conducente, parzialmente nascosti dal bordo del marciapiede, vide dei fogli di carta.
Si avvicinò ai fogli, si chinò e li raccolse. Erano dei fogli scritti fittamente a penna. Leggendone il contenuto si accorse che erano gli elaborati di storia dell’arte di Arturo. L’amico doveva averli persi scendendo dall’automobile.
Fulvio ricordò che l’amico era solito andare a scuola portando con sé solo uno o due libri per volta. Qualsiasi altra cosa fosse stata necessaria – quaderni, elaborati e quant’altro – la infilava senza troppi riguardi tra le pagine dei libri che portava a mano. Anche quella mattina doveva aver fatto lo stesso. Probabilmente aveva inserito gli elaborati di storia dell’arte tra le pagine di qualche libro e, scendendo dalla macchina, i fogli erano scivolati per terra senza che se ne accorgesse.
Scoprire che l’amico aveva svolto il compito assegnato dalla professoressa Finocchiaro fu un duro colpo per Fulvio. Non tanto perché il vigliacco, senza dirgli nulla, aveva ceduto al ricatto della schifosa, piuttosto perché la sua situazione si sarebbe ulteriormente aggravata. Infatti, se prima poteva ancora sperare che il preside avrebbe sconsigliato la professoressa di sbarrare la strada a due suoi studenti, adesso, che era rimasto solo lui, la sua sorte era inappellabilmente segnata.
In quel momento avrebbe tanto voluto piangere.
Poi, all’improvviso, un’idea riaccese le sue speranze. Scorse velocemente i fogli di quello che appariva essere un buon lavoro, per vedere in quale pagina Arturo avesse scritto il proprio nome.
Incredibile! Il fesso – e traditore - non aveva scritto il proprio nome da nessuna parte.
Fulvio pensò in fretta. Storia dell’arte era una materia orale: non erano previsti, né erano mai stati svolti, compiti scritti. Di conseguenza, la professoressa Finocchiaro non era in grado di distinguere le calligrafie di nessuno dei suoi studenti.
Lui avrebbe potuto consegnare alla prof gli elaborati di Arturo spacciandoli per suoi. A meno di una qualche sfortunata circostanza, la professoressa non avrebbe avuto alcuna ragione di sospettare che l’autore degli elaborati non fosse lui.
Ad Arturo avrebbe raccontato di essere stato colto dal panico e di essersi vigliaccamente messo a lavorare agli elaborati. Arturo, avendo egli stesso lavorato segretamente, si sarebbe bevuto l’intera storia e avrebbe protestato solo nei confronti della sorte avversa che gli aveva fatto perdere gli elaborati.
Il cuore di Fulvio cominciò a battere all’impazzata. Il caso gli aveva consegnato nelle mani la salvezza. Il tempo però stringeva: Arturo non avrebbe tardato ad accorgersi di aver perso gli elaborati. Chissà, forse in quello stesso momento li stava già cercando. Magari stava già tornando sui suoi passi fino alla Panda.
Doveva agire in fretta. Da un momento all’altro, l’amico poteva spuntare da dietro l’angolo alla ricerca del lavoro perduto. Se lo avesse visto col suo compito in mano, ne avrebbe preteso la restituzione.
Ormai Fulvio considerava quegli elaborati come fossero suoi. Era una questione di sopravvivenza. Si sentiva come un leone che sottrae la preda ad un predatore più debole.
Sopravvivenza.
Cominciò a correre sul marciapiede per raggiungere l’angolo opposto a quello da cui Arturo sarebbe apparso da un momento all’altro. Doveva allontanarsi il più possibile dal luogo del delitto. Sarebbe entrato a scuola facendo il giro largo dell’isolato.
Poco prima di svoltare l’angolo, volle guardare un istante dietro di se per essere sicuro di averla scampata. Dall’altro lato dell’isolato, ad una sessantina di metri di distanza, Arturo aveva appena svoltato l’angolo. Non sembrava averlo visto: probabilmente stava già vagando con lo sguardo sul marciapiede alla vana ricerca del proprio compito.
Fulvio era salvo.
Ancora una volta il diavolo era tornato a sembrare un venditore d’automobili. «Veniamo adesso alla polizza ‘Soddisfatti o Redenti’.
«Come le dicevo, che lei decida di sottoscrivere o meno la polizza, oggi dovrò chiudere la pratica che ho aperto vent’anni fa.
«La caratteristica principale della polizza ‘Soddisfatti o Redenti’ è che non richiede alcuna autorizzazione da parte del cliente. Per aprire una pratica è sufficiente trovare la persona adatta. Dopodiché iniziano vent’anni di benefici.»
«Di che benefici sta parlando?» chiese Fulvio.
«Be’... questo dipende dalla persona» rispose il diavolo. «Nel suo caso, ad esempio, i benefici sono stati quelli di farla sempre essere al posto giusto nel momento giusto.»
«Tutto quello che ho avuto» scattò Fulvio, «l’ho sempre ottenuto contando solo sulle mie forze. »
«Sì, è vero» riprese il diavolo. «Ma anche, e soprattutto, perché si è sempre trovato al posto giusto nel momento giusto.
«Le basterà fare mente locale, ripensare agli episodi più importanti della sua vita, quelli che le hanno dato il successo, i soldi e l’amore, per rendersi conto che le sto dicendo la verità. Lei, signor Grimaldi, ha avuto quello che ha avuto perché ‘è stato fortunato’.»
Fulvio riconobbe che era vero. Era un uomo di successo, tuttavia sapeva di aver avuto la fortuna di conoscere le persone giuste nel momento più opportuno; di essere stato al posto giusto nell’esatto momento in cui c’era bisogno di lui. Era consapevole del ruolo fondamentale che la fortuna aveva avuto nella sua vita.
«Adesso, però» continuò il diavolo, «i venti anni di benefici sono scaduti ed è arrivato per lei il momento di decidere se sottoscrivere o meno la polizza che le offro.»
«Di che si tratta?» chiese rassegnato Fulvio.
«Come le dicevo, allo stato attuale la sua anima è dannata. Tuttavia, poiché i benefici che le sono stati concessi negli ultimi vent’anni non sono derivati da un suo manifesto atto di libero arbitrio, ecco che, per quanto possa sembrarle grottesco, io, il diavolo, sono venuto ad offrirle la redenzione.»
«Be’, mi sembra il minimo» commentò Fulvio. «Solo che mi piacerebbe sapere dov’è la fregatura.»
«Nessuna fregatura, signor Grimaldi. Ciò che le propongo è la genuina e totale redenzione della sua anima.»
«E lei cosa ci guadagnerebbe?»
«Be’, se lei accettasse la redenzione, nulla. È ovvio, no?»
«E allora perché mai si sarebbe dato così tanto da fare con me in questi venti anni?»
«Perché lei potrebbe sempre decidere di dichiararsi soddisfatto del mio operato e rifiutare la redenzione. Non a caso la polizza che le sto offrendo si chiama ‘Soddisfatti o Redenti’.»
«C’è qualcosa che continua a sfuggirmi.»
«Chieda pure. Sono a sua completa disposizione.»
«Non capisco cosa le fa pensare che io possa rifiutare la redenzione.»
«Me lo fa pensare la statistica, signor Grimaldi. Nessuno di coloro a cui è stata offerta la polizza ‘Soddisfatti o Redenti’ prima di lei, ha accettato di redimersi. Tutti, nessuno escluso, si sono dichiarati soddisfatti dei miei servigi, confermando la dannazione eterna della loro anima.»
«Ma è pazzesco!»
«Mi creda... non lo è!»
«Ah si?» sbottò Fulvio. «E allora sa cosa le dico? Io voglio la redenzione.»
«D’accordo» rispose il diavolo senza fare una piega. Aprì la carpetta che teneva in mano, estrasse la polizza e riprese. «Come vede, la polizza ‘Soddisfatti o Redenti’ è composta da due moduli a ricalco: uno rosso ed uno azzurro. Quello rosso va firmato dai clienti che si dichiarano soddisfatti del mio operato, mentre quello azzurro va firmato dai clienti che vogliono la redenzione. In tutto ciò, mi creda, ogni riferimento alla politica è puramente casuale.»
Il diavolo porse a Fulvio il modulo azzurro. «Gli dia un’occhiata» disse, «e poi apponga la sua rispettabile firma in calce al modulo.»
Fulvio si sentì confuso. Se c’era una cosa per la quale era negato, era il linguaggio burocratico. Il modulo che aveva preso dalle mani del diavolo era fittamente riempito di clausole e articoletti; non era per nulla rassicurante. «Cosa sono tutte queste clausole?»
«Posso farle un veloce riassunto... se si fida.»
«Mi fido.»
«In soldoni, tutte quelle clausole dicono che, nel momento in cui lei accetterà la redenzione, tutti i benefici che le sono stati concessi in questi ultimi venti anni verranno revocati con effetto retroattivo immediato.»
«Cioè?»
«Cioè, mio caro signor Grimaldi, la sua vita, così come si è abituato a conoscerla da vent’anni a questa parte, verrà immediatamente cancellata. Successo, soldi, fama, amore... tutto svanirà in un batter di ciglia. La sua vita sarà immediatamente riconvertita in quella che, si presume, lei avrebbe avuto se, il giorno in cui trovò per terra il compito dell’amico, lo avesse restituito al legittimo proprietario.»
Fulvio venne improvvisamente abbandonato dalle forze. Le gambe gli si fecero molli e non stramazzò al suolo solo grazie al sostegno precario che la parete dei loculi gli aveva provvidenzialmente fornito. Il modulo azzurro scivolò via dalle sue dita e, volteggiando mollemente, si adagiò per terra a metà strada tra sé e il suo diabolico interlocutore.
Il diavolo continuò implacabile: «La riconversione della sua esistenza sarà istantanea e, cosa più importante, dopo che avrà firmato il modulo lei sarà morto.»
«Morto?!»
«Purtroppo sì, signor Grimaldi. Vede, ad essere condizionata dalla scelta che lei ha liberamente fatto vent’anni fa, non è stata la sua sola esistenza.»
«Arturo...» balbettò Fulvio.
«Esatto!» disse il diavolo. «Vedo che sta cominciando a capire. Il furto che lei ha perpetrato al suo amico, ha innescato una reazione a catena di eventi che hanno trascinato il pover’uomo in un inarrestabile vortice di dolore e sofferenza culminato nella morte.
«Redimersi, caro il mio signor Grimaldi, nel suo caso non significa solo pentirsi delle proprie azioni riprovevoli, ma anche accettarne sulla propria persona tutte le conseguenze nefaste. Se lei deciderà di redimersi, si caricherà sulle spalle tutte le sofferenze che, a causa del suo gesto, hanno oppresso l’esistenza del suo povero e defunto amico.»
Fulvio era atterrito.
«A meno che...» aggiunse il diavolo.
«Cosa?» riuscì a balbettare Fulvio.
«Be’, se lei si dichiarasse soddisfatto del mio operato, allora tutto rimarrebbe così com’è. Fama, ricchezza, amore... tutto come prima. Lei continuerebbe ad essere il Fulvio Grimaldi di sempre: il trentottenne scrittore di successo, marito felice e padre adorato.»
«Ma la mia anima?»
«Dannata... come d’altronde lo è stata negli ultimi vent’anni. Gliel’ho detto: tutto rimarrà ‘esattamente’ come prima.»
«E se io mi rifiutassi di sottoscrivere la polizza?»
«In tal caso varrà il principio del ‘silenzio assenso’ e
lei sarà automaticamente redento.»
Fulvio era in trappola. «Ho bisogno di pensarci su» temporeggiò.
«Purtroppo» disse il diavolo, «temo che non ce ne sia più il tempo, signor Grimaldi. Che lei decida o meno di sottoscrivere la polizza, la sua pratica si chiuderà automaticamente a vent’anni esatti dal momento in cui è stata aperta. Vale a dire nell’istante in cui lei ha consegnato il compito del suo amico spacciandolo per il proprio: cosa che è avvenuta esattamente il 14 giugno del 1986 alle ore dieci e quindici.»
Il diavolo consultò l’esclusivo ‘Swatch Necronomicon’ che aveva al polso. «Adesso sono le dieci e dieci» disse. «Le rimangono solo cinque minuti, dopo di ché la pratica sarà considerata chiusa. Se per allora non avrà ancora preso alcuna decisione, varrà il ‘silenzio assenso’ e lei sarà redento.»
«Maledizione!» sbottò Fulvio sentendo l’ira montargli dentro. «Tutto questo non è giusto. Non è leale. Non ho avuto alcuna possibilità di scelta. Non sono un esperto di religione ma, sono sicuro che questa cosa non è regolare. Non può esserlo.»
«Signor Grimaldi!» lo richiamò il diavolo. «Innanzi tutto stia calmo ed eviti di parlare di ‘lealtà’ poiché, come hanno dimostrato le vicende della sua vita, non ne ha alcun titolo. Mi permetto di ricordarle che neanche il suo amico ha mai avuto la possibilità di scegliere: è stato lei a scegliere per lui.
«E poi, suvvia signor Grimaldi, le sarà già capitato di ricevere un servizio non richiesto, no? Pensi a quello che fanno normalmente le compagnie telefoniche. Non vorrà per caso farmi credere che non le è mai successo; sono cose che accadono in continuazione. La colpa non è di chi trova le scappatoie, ma di chi fa leggi troppo vaghe.»
«Non è la stessa cosa» disse Fulvio. «Qui c’è in ballo la mia anima, non una bolletta salata. Non è Giusto.»
«Non è giusto?!» disse il diavolo. «Se proprio vuole sapere cosa veramente non è giusto, glielo dico io, caro il mio signor Grimaldi. Non è giusto che un assassino, ladro e corruttore, uno che ha dedicato l’intera esistenza al male, possa con un ‘sincero pentimento sul letto di morte’ salvare la propria anima. ‘Questo’ non è giusto. Lei non può nemmeno immaginare quante anime potenzialmente dannate mi sono state estorte con questo subdolo sotterfugio.
«La polizza ‘Soddisfatti o Redenti’, invece, è ‘estremamente’ onesta. È stata elaborata direttamente dai nostri esperti di ‘marketing demoniaco’ e, le assicuro, è quanto di più leale io abbia mai offerto ad un comune mortale.»
Con un eloquente cenno della testa il diavolo invitò Fulvio a guardare il modulo azzurro che giaceva ai suoi piedi. «Mi permetto infine di farle notare che la redenzione è ad un solo passo. Firmi il modulo azzurro, oppure non faccia nulla, e la sua anima sarà salva. Ma...» Il diavolo sbirciò nuovamente l’orologio da polso, «tenga presente che le rimangono soltanto cinquanta secondi.»
«Va bene, accetto!» esclamò Fulvio. «Mi dichiaro soddisfatto. Presto, mi faccia firmare il modulo rosso.»
Il diavolo porse a Fulvio il modulo rosso, insieme con la carpetta ed una penna. «Metta la sua firma in calce, e avremo concluso.»
Sul modulo rosso c’era una sola frase: “Io sottoscritto Fulvio Grimaldi mi dichiaro soddisfatto dell’operato del diavolo e accetto di cedergli in compenso la mia anima”.
Fulvio firmò il modulo. «In fondo ho solo trentotto anni e godo di ottima salute» si giustificò. «Ho ancora tempo e le assicuro che, prima o poi, riuscirò a trovare una scappatoia.» Quindi restituì il modulo firmato.
«Bravo, signor Grimaldi! È questo lo spirito giusto» si congratulò il diavolo, prendendo il modulo dalle mani di Fulvio. Quindi riprese soddisfatto: «È stato un vero piacere fare affari con lei.»
Fulvio non aveva avuto lo stesso piacere ma preferì non dire nulla.
«Ora, però, la devo lasciare» continuò il diavolo. «Vede, da quando ho sostituito il vecchio contratto di ‘Patto col Diavolo’ con la polizza ‘Soddisfatti o Redenti’, non riesco più ad avere un attimo di respiro. Si immagini che fra un minuto esatto, ho un appuntamento con un altro cliente dall’altra parte del mondo.»
“Sbruffone” pensò Fulvio.
«Buona giornata e... arrivederci.» Detto questo, il diavolo si allontanò camminando e, senza far uso di effetti speciali, sparì svoltando dietro un angolo.
“Ho solo trentotto anni e godo di ottima salute” pensò Fulvio. “Troverò una scappatoia.”
Diede un ultimo sguardo alla targhetta dorata su cui era inciso il nome del vecchio amico, si mise le mani in tasca e andò via ignorando che quella stessa mattina, alle dieci e ventisei, lo attendeva ancora un ultimo appuntamento: quello con la morte.
Uscì dai cancelli del cimitero alle dieci e venticinque, con la sgradevole sensazione di aver preso una fregatura. “Chiunque abbia avuto successo” stava pensando, “non può non aver avuto un pizzico di fortuna nella vita, no? E poi, quando mai si è sentito il diavolo fare proposte oneste?”
Alle dieci e ventisei in punto, soprappensiero, Fulvio attraversò la strada per raggiungere la propria ‘Mercedes’.
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Marcello Falco
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