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Roma, ore 06.50. Il freddo penetra nei vestiti. Nascondo il viso nel bavero del cappotto per evitare che il vento mi graffi. Irene mi stringe la mano. Cammina stanca, piccola nel suo piumino rosso. Iniziamo a correre, perché rischiamo di perdere il treno. Irene mi chiede di rallentare, vuole che la prenda in braccio: ha sonno. Le chiedo di resistere, rassicurandola che potrà dormire durante il viaggio. Avanziamo il passo e riusciamo a prendere il treno che ci porterà a Torino. Ora che siamo riuscite ad accomodarci, mia nipote è più sveglia che mai, e se ne sta seduta come una bambola di porcellana. Riccioluta e immobile mi fissa, quasi volesse dirmi qualcosa, ma non parla. -Scusi, è libero questo posto? mi chiede un ragazzo sbucato dal nulla -Si prego,è libero. Si accomoda di fronte a noi. Tira fuori dei libri dal suo zaino, poi lo sistema nell’apposito scomparto. Mentre Irene legge i suoi fumetti preferiti, ho voglia di ascoltare un po’di musica. Lei sembra non badare a quest’estraneo che ci siede accanto, che legge indisturbato senza distogliere lo sguardo. Tutt’ a un tratto la piccola si accorge di lui e gli chiede il nome. «Mi chiamo Andrea, piccolina, e tu?». Irene gli risponde, gli dice che ha otto anni e che è diretta a Torino. Gli racconta della levataccia, delle valigie da preparare e dei giocattoli che le ho impedito di portare. «Ho lasciato Castagna a casa per colpa della zia». Andrea sorride per l’ingenuità di quella bambina che in pochi minuti lo ha reso partecipe del suo mondo di fiabe e di animaletti di pezza. -Certo che tua figlia ha una bella parlantina, mi dice Andrea, voltandosi improvvisamente verso di me -Non è mia figlia, è mia nipote. Comunque si, quando ci si mette farebbe venire mal di testa ad un sordo. Irene è la figlia di mio fratello. Da quando è morta sua moglie si è buttato a capofitto nel lavoro ed è spesso in viaggio. Irene resta spesso con me, anche per mesi. Le faccio praticamente da madre e devo dire che non mi dispiace. Stiamo bene insieme, io e questa bambina. Irene guarda fuori dal finestrino ed io continuo a chiacchierare con Andrea, ride e mi racconta che sta andando a Torino per lavoro. Una società di programmazione di computer gli ha offerto un posto e così ha accettato senza esitare. Io, invece, che vado a fare a Torino? Forse sarebbe stato meglio restare a Roma, anziché salire su questo treno e trascinare nei miei colpi di testa una bambina. -Zia, guarda ci sono le pecore! Strilla Irene, e indica un campo, mentre costeggiamo la Pianura Padana. Andrea scarta un pacco di biscotti e inizia a mangiarlo con mia nipote, allegramente. Ha rotto da poco con la ragazza. «Passerà» ha concluso. Parla, parla, mentre io annuisco e quasi non lo ascolto più. Chi me lo ha fatto fare di chiedergli se era fidanzato… Chissà cosa avrà pensato,poi. -E tu, che ci vai a fare a Torino? -Io ci sto andando per cambiare aria. È un po’che sto pensando di andare a vivere in un’altra città e l’idea Torino mi solletica. -Perché proprio Torino? Sorrido. Torino mi piace, gli dico. A Torino ho vissuto per alcuni anni da piccola, poi i miei hanno deciso di trasferirsi a Roma. Io e mio fratello siamo cresciuti nella capitale, ma spesso andavamo a trovare mia nonna. Ho continuato ad andarci anche dopo che lei è morta, fino a quando non ho deciso di trasferirmi. Racconto ad Andrea anche di Gianni e del mio quasi matrimonio. Gli dico del senso di vuoto, della mancanza che mi assale la notte, quando allungo la mano dall’altra parte del letto e tocco solo le lenzuola. Gli racconto dell’amore tradito, della delusione, dell’orgoglio e delle ferite che stentano a guarire. Ho l’impressione che mi stia ascoltando sul serio, mentre il treno sfreccia verso nord e il capotreno farfuglia che tra qualche ora giungeremo a destinazione. -Certo che devi aver sofferto un bel po’ , osserva Andrea, e mi guarda come se stesse provando a leggermi dentro. Gli spiego che la sofferenza non è mai fine a se stessa, che tutte le esperienze insegnano, e che sono ben lieta di gettarmi in una nuova avventura. Devo sembrargli pazza, ma non mi importa granché. Mi sorride e non parla più. Mi fissa per alcuni interminabili secondi, ma distolgo lo sguardo, non lo reggo, e poi mi imbarazza. Allora si volta, e offre una caramella ad Irene. Io invece guardo fuori, e lascio scivolare i pensieri. Le rotaie corrono alla velocità del mio cuore, ed ho la sensazione di tagliare il tempo, di attraversarlo, e per una volta di batterlo. Irene ha tirato fuori “Piccole Donne” e lo legge rapita. Già, le piccole donne di Louise May Alcott. Quanto mi piaceva quella Jo March! È il personaggio letterario a cui da piccola mi sono affezionata di più. Mi prende un’insolita stanchezza. I contorni delle cose a poco a poco spariscano, pare si stiano sfocando. La bambina sembra non aver fatto caso ai discorsi tra me e Andrea. È così lontana dalle nostre paranoie, dalle nostre aporie esistenziali, lei che scorrazza libera in un mondo a noi inaccessibile. -Eccola, Torino! Stazione centrale, sobbalza, Andrea dal suo cantuccio. Eccoci. Andrea mi aiuta a prendere le valigie, poi avvolge Irene nel suo piumino. «Copriti piccolina, fa freddo» le sussurra, sistemandole anche il berretto. Le chiede un bacio e Irene accondiscende. Deve piacerle questo Andrea. -È stato un piacere… Ma come ti chiami? -Mi chiamo Francesca. -Non vuoi che vi accompagni per un tratto di strada? Sai, due donnine sole può essere pericoloso. -Ma no, vai. Cosa vuoi che accada! Mi augura buona fortuna, chiude la cerniera del suo giubbino e si sistema la borsa sulla spalla. Mi sorride e se ne va, sparendo tra i viaggiatori. -Zia andiamo? -Si, tesoro, andiamo. Ci incamminiamo anche io e Irene alla scoperta di questa città che non conosco. Le immagini confuse dei giorni trascorsi a Roma si sono dissolte, lungo il viaggio, come brina sui finestrini. Il treno si svuota lentamente, la gente si avvia all’uscita. Qualcuno corre, qualcun altro si abbraccia. Amanti, parenti, amici: storie sospese lungo i binari della ferrovia. Se mi vedesse mia madre! Pensare che non era per niente contenta del fatto che portassi con me la bambina. «Lascia fuori tua nipote» non ha fatto che ripetere, ma Irene è come una figlia per me e poi è istruttivo viaggiare, o no? Irene mi guarda. Lo fa sempre quando mi incanto e mi perdo nei miei pensieri senza senso. Poi mi balena un’idea. -Corri tesoro, corri, dammi la mano e corri! -Zia aspetta, ma dove andiamo? -Dai che forse ce la facciamo a raggiungere Andrea e ad invitarlo a cena con noi!
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Marina Bisogno
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