E’ una di quelle sere in cui lasci la finestra aperta sulle primizie d’estate, sul cielo invecchiato da poco, ed io, raccolgo dai miei ricordi la storia di un uomo, del suo viso e della sua chitarra, delle sensazioni, che, inconsapevole tanto quanto un bambino lo è del domani, mi trasmise.
Mi è tornato in mente oggi, dopo non so quanti anni, dopo non so quanta miseria ancora sia passata dalla sua vita.
Lo vidi una sera di Luglio, in un vicolo, in uno di quei posti di mare che in estate si riempiono di mondo, un mondo illusorio, sporco.
Uno di quei posti in cui il mare, passati i giorni del sole, rimane da solo.
Non ci sono più orme, non ci sono più uomini, la sabbia è sfiorata soltanto dai racconti del vento.
I giorni muti fuggono verso l’orizzonte, lì dove lui diventa nero.
Non c’è un gabbiano ad acciuffar la vita ma solo alghe secche e stanche di un inverno bruto e fiori senza padre.
Quella sera lì, però, era ancora tutto diverso.
Io ricordo il vocio amorfo, le parole non erano distinguibili le une dalle altre, le persone non erano tali.
Era il trionfo di ciò che siamo oggi. Ricordo i gioielli delle signore per bene, è così che amiamo chiamarle, loro, quelle donne svuotate dai loro tristi desideri.
Ricordo i profumi di quelle notte che si consumava a ogni piccolo passo del tempo, i bambini con i palloncini, le frasi di circostanza, i bermuda a quadri, soltanto perché è così che si usa ed è così che io faccio.
Ricordo di avere immaginato i pensieri degli altri, brevi tanto quanto i miei, pensieri che hanno una scadenza, che domani non ricorderemo nemmeno di aver fatto, domani cambieremo ristorante, qui si tarda a mangiare e c’è troppo prezzemolo.
Lo pensiamo oggi, oggi che siamo vestiti di lino e abbiamo i sandali ai piedi. Domani, domani sarà un’altra storia. Siamo tutti ammassati, abbronzati, profumati e felici.
Siamo schiavi delle convenzioni e delle convinzioni, siamo piccoli quando abbiamo paura della solitudine, del più debole, lo temiamo perché non vorremmo essere come lui.
Corriamo perché nessuno ci lasci indietro, perché non tutti sanno che una stella che alle sei del mattino sta ancora brillando su quel cielo bambino, è bella e lo è a modo suo, perché è stanca di essere parte della notte, perché vuole che gli uomini non siano più ignari.
Quella sera tutti eravamo parte della notte, eravamo parte della vita, di quel modo in cui noi pensiamo debba essere vissuta.
Ma io lo vidi. La sua miseria puzzava di capelli quasi incrostati, capelli rasta, barba incolta, piedi scalzi.
Aveva gli occhi azzurri, aveva gli occhi vivi.
Mi rimase impresso, lui, il suo sguardo, la sua chitarra. Quel vicolo in cui se ne stava da solo, facendo compagnia al silenzio.
Era niente in confronto a tutto, era nessuno, era il debole che ci fa paura.
Non lo rividi mai più.
Non so dove sarà adesso, non so se fosse straniero, se avesse mai amato una donna o un figlio.
E’ strano scrivere di qualcuno che non hai mai conosciuto, è strano il rumore di questo mio ricordo.
Eppure lui è qui, con la sua chitarra e la sua vita. Qui fra le parole che si accalcano disordinate, fra le onde di quel mare e fra le scie della sua ira, è fra persone sconosciute nella Terra degli agrumi, fra la curiosità di tutta quella gente che non era mai stata lì.
E’ qui come in quel lontano giorno d’estate.
Fra tutte quelle persone, mi sembrò l’unico uomo libero e, questa storia senza trama, io, la dedico a lui.