La letteratura leggera odierna si è specializzata, in Italia, specie negli ultimi anni, nel racconto di storie d’amore in linea col ‘tempo delle mele’, vale a dire nel racconto improntato sull’adolescenza dei protagonisti, un’epoca esistenziale in cui i sentimenti appaiono il più delle volte definitivi – quando poi tutto sono fuorché quello, ed è il tempo, in genere, a dare prova e testimonianza di quanto in realtà i cicli della vita siano molto più complessi di così. Anche in passato la scelta dei protagonisti è caduta quasi sempre su rappresentanti di epoche verdi, in quanto la gioventù è da sempre il vessillo del cambiamento e del rinnovamento, ovvero del ‘tutto può ancora essere’.
Scriboni, invece, scrittore romano cinquantenne, si cimenta, a differenza della scuola per così dire d’impostazione ‘mocciana’, in non prima di te, un racconto breve; in sostanza il racconto dell’amore maturo, del ‘cosa c’è dopo, quando è tempo di tirare le somme’. Un racconto dedicato a un’età generalmente – per così dire – poco apprezzata anche nelle lettere.
È interessante innanzitutto chiedersi cosa, di preciso, abbia spinto lo scrittore a scegliere di parlare di questo tipo di amore; l’amore visto provato e riscoperto da un protagonista in là con gli anni, dunque in vena soprattutto di analisi del passato, piuttosto che approcciare, magari con le stesse finalità e probabilmente un riscontro più immediato, una storia basata su avvenimenti che maturano nel corso della narrazione. Sì perché quando a parlare è qualcuno che ha un vissuto nato e sviluppatosi prima dell’avvento della narrazione, il Lettore sa che sta ‘ascoltando’ gli antecedenti del personaggio; sa che si sta aprendo, ad opera del Narratore, uno squarcio nel tessuto temporale della vita del protagonista, e da lì è in grado di capire cos’è avvenuto prima dell’istante in cui egli è stato colto dalla penna dello scrittore (come in una istantanea). Di contro, quando i personaggi sono giovani, tutto è in divenire, la storia si forma una pagina alla volta, e la spinta alla vita – per quanto romanzata – è molto più palese. Il racconto così tende ad essere lineare. La formazione avviene, non è subìta né tantomeno ricordata.
Scriboni, invece, più che essere lineare è essenziale, e se da un lato fa guardare Marcello al passato, dall’alto di una vecchiaia tutto sommato serena, è anche in grado di proporre una chiave di lettura o meglio una visione, del presente, che sfugge un po’ alle tradizionali ottiche ed interpretazioni rintracciabili nei libri attuali. Marcello, infatti, butta un occhio al passato guardando all’amore per la defunta moglie Annika, alla nascita dei figli, all’amico Maurizio, ai rimpianti, ai cambiamenti grandi e piccoli della sua esistenza, e al tempo stesso racconta il presente senza nascondere niente; la vecchiaia è descritta senza timori, e c’è profonda consapevolezza anche di quegli aspetti per così dire ‘imbarazzanti’ e limitanti, che posti di fronte al resto del mondo (e il resto del mondo sono i medici, i volontari, le infermiere, i parenti eccetera), diventano i grandi e piccoli segnali dell’incalzare del tempo e dell’oblìo cui si sta andando rapidamente incontro.
Il tutto avviene sicuramente attraverso una scrittura elegante, minima, che racchiude, in un tracciato molto semplice, non iperbolico, pensieri di natura schietta e condivisibile.
Marcello, ormai in pensione, si è ritirato in una casa di cura, pur non avendo alcun male in particolare, ed essendo ancora autosufficiente, seppure spesso una sorta di nebbia prenda a nascondergli i pensieri, i ricordi. Egli è ben cosciente del fatto che un anziano quando si ritira è solo per avviarsi, con più dignità possibile (se ne ha la possibilità fisica e non), verso il tramonto della vita, e dunque tirare le somme diventa un momento importante della giornata, un istante che si protrae deliberatamente fino a che si può.
L’età non cancella il carattere – questo è certo – e dunque la personalità non si annulla, anche se gli spigoli spesso si smussano o al contrario si acuiscono. Tuttavia lui non è del tutto passivo, in questi frangenti. Per quanto la sua lucidità gli lasci inquadrare con disincanto e disagio tutte quelle situazioni, anche all’interno della struttura in cui si trova, che proprio non gli vanno a genio, e i comportamenti che giudica non coerenti, egli non è immune al sentimento e alla tenerezza. Dall’alto di una maturità comprovata soprattutto dal fatto che il tempo è stato in grado di mettere un segno netto tra il suo primo e il suo durante, pur vicino al finale, Marcello ritrova l’amore e ne gode fino a che può. Un amore discreto, l’amore che colma il cuore di quella felicità indispensabile alla vita, di cui però era ormai privo da tempo.
Scriboni, come in tutto il libro, affronta anche questa parte della storia con un tatto straordinario, rivelando, attraverso Marcello, tratti sicuramente non secondari del proprio carattere. Impossibile mentire quando si ha a che fare con un racconto privo di finzione letteraria. L’animo non lo puoi barattare con nessuna più o meno supposta capacità di rielaborazione finzionale della realtà, e così è per questo autore – da qui il sospetto che il tema scelto per il suo ultimo libro abbia a che fare con qualcosa a lui molto caro, con un trascorso che gli è proprio. Egli non si sforza minimamente di imbastire una trama classicamente intesa e per non apparire laconico o banale, o sfidare le proprie capacità, lascia che il racconto sia esattamente quello che è; il libro è fatto di una serie di cornici, e anche se Marcello non sopravvivrà molto a lungo alla perdita della sua adorata Isa, e il Lettore proverà un naturale sentimento di identificazione per la solitudine del protagonista e l’intera condizione di fragilità umana cui tutti, nei libri e non, siamo sottomessi, è nelle parole dello stesso Marcello per il giovane personal trainer della clinica (con cui si conclude il libro), che sono racchiusi tutto il senso di una vita e gli insegnamenti tipici di chi – età anagrafica o no – è in possesso di un cuore capace di sopravvivere a tutti i tipi di morte.