La pubblicazione del libro di Saviano, che tiene saldamente il record di vendite da mesi, ha scatenato una serie di polemiche e di discussione fra i lettori.
Una delle obiezioni è che l'autore rappresenti una realtà parziale, romanzata, che sia l'interprete della retorica del "sublime basso" di cui Massimo Onofri ha scritto a proposito di Salvatore Niffoi, Erri De Luca, Isabella Santacroce in "Sul banco dei cattivi" AAVV, Donzelli editore, Roma, 2006, pag.33/54
Saviano avrebbe ceduto alla retorica dell'horror, sarebbe parziale e strabico come pare lo abbia definito la Iervolino.
L'autore rivendica non solo l'assoluta fedeltà al reale ma sostiene di avere le prove di quanto ha scritto. A pag 239, 240 del romanzo egli riprende il celeberrimo articolo pubblicato sul "Corriere della sera" il 14 novembre 1974 da Pasolini: "Io so" e lo ripete ossessivamente come fosse un mantra: "Io so ed ho le prove"
Pasolini sosteneva di sapere chi fossero gli autori dei tentati golpe, delle stragi, dei misteri italiani ma non essendo un politico di professione bensì un intellettuale, non aveva la possibilità di raccogliere le prove. Roberto Saviano ci racconta un viaggio a Casarsa, sulla tomba dell'intellettuale assassinato, non tanto per trarne ispirazione quanto per cercare in se stesso il potere della parola. A differenza di Pasolini, come ricercatore dell'Osservatorio sulla camorra e l'illegalità, e in conseguenza dell'attività svolta come giornalista, Saviano ha le prove di quanto scrive. Aspira ad un tipo di scrittura profetica, salvifica e rivendica per sé il ruolo dell'intellettuale engagé. Egli cerca la parola che dia forma alla realtà, che la faccia esistere nella coscienza del lettore. Sembra credere che solo ciò che è evocato dalla parola esista.
Quando la Iervolino dice, (forse con intenti non propriamente elogiativi) consegnando a Saviano il premio Repaci, che lui è il degno rappresentante della città che ha descritto, dice che Saviano è "Gomorra" come Flaubert diceva di se stesso di essere "Madame Bovary".
L'incipit fulminante e sconvolgente del romanzo sarebbe fastidiosamente splatter, lo scrittore avrebbe usato il sangue, i morti ammazzati e i crani crepitanti per aumentare l'interesse del lettore. La diatriba è vecchia, risale addirittura al Petrarca. Non è stato Dante a codificare il ruolo dell'intellettuale in Italia, ma il Petrarca che ne ha definito lo status a mezza strada tra il giullare e il profeta inascoltato. L'uomo nuovo petrarchesco può vivere nella reggia del principe, godere della sua vicinanza e del suo potere, ed esplorare la propria anima sofferente. Se proprio vuole descrivere la realtà deve sempre usare il velo del bello. Così in un'epoca affamata di racconti gialli, avida di conoscere le gesta dei serial killer, il rumore dei crani spaccati respinge e disgusta poiché l'autore non ha creato né una bella cornice horror, né una solida struttura poliziesca e neppure un'articolata trattazione saggistica.
Einaudi aveva rifiutato la pubblicazione di "Se questo è un uomo" di Levi perché le storie dell'Olocausto avevano stufato. Si preferivano i racconti degli operai come se un borghese immaginasse i loro discorsi, seduto al tavolino del caffè ...(Calvino a proposito di "Tra donne sole" di Pavese).
La struttura del romanzo di Levi è profondamente diversa. Legato alla temperie piemontese, privo di fiducia nel valore profetico e salvifico della parola, tutto rivolto piuttosto ad elaborare, a tentare di ragionare, di capire, soprattutto per sé e per le vittime, Levi è figlio della tradizione che aveva nel Pellico, ne "Le mie prigioni", uno dei suoi padri fondatori.
Pellico ritorna dalla prigionia allo Spielperg profondamente mutato, intimamente convertito e tutto ripiegato in se stesso. Levi era partito sul carro bestiame senza sentirsi particolarmente diverso, senza sentirsi ebreo, ritorna dalla guerra altrettanto scettico. Gli pare che l'esperienza del campo lo abbia ridotto ad un essere subumano. La ferocia, il sadismo degli aguzzini ha contaminato le vittime che hanno perso se stesse. "Se questo è un uomo" è un'opera tutta illuminista che esplora l'esperienza del campo di concentramento alla luce della ragione.
Diversa è la posizione di Saviano.
Egli si trova ancora all'interno dell'Inferno che descrive, c'è nato e non riesce a respirare perché "Gomorra" è anche e soprattutto un romanzo di formazione:
"Mio padre m'indicava come togliere la sicura, armare la pistola, stendere il braccio, chiudere l'occhio destro se il bersaglio era a sinistra e puntare.
-Robbe',il braccio morbido ma tosto. Insomma tranquillo, ma non flaccido...usa le due mani.- prima di tirare il grilletto con tutta la forza dei due indici che si spingevano a vicenda, chiudevo gli occhi, alzavo le spalle come se volessi tapparmi le orecchie con le scapole. Il rumore degli spari ancora oggi mi dà un fastidio terribile. Devo avere qualche problema ai timpani. Resto stordito per mezz'ora dopo uno sparo."1
L'autore non si propone, né forse potrebbe proporsi di esplorare razionalmente la realtà malavitosa. Non scrive una dissertazione elegante rivolta ad un pubblico qualificato e ristretto. La camorra è chiaramente la sua ossessione e ce la vuole comunicare, ci vuole infettare.
Un altro rilievo che è stato fatto a Saviano è la mancanza di un punto di vista univoco. Il lettore non saprebbe mai dove si collochi l'autore.
Analizziamo l'incipit.
La narrazione comincia con un tono assolutamente impersonale. Davanti agli occhi del lettore succede un fatto, un episodio. L'autore si limita a registrarlo:
"Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave.Come se stesse galleggiando nell'aria, lo spider, il meccanismo che aggancia il container alla gru, non riusciva a domare il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e iniziarono a piovere decine di corpi."2
Le frasi sono lunghe, articolate, perfettamente compiute. Raccontano una scena tranquilla, consueta. Poi avviene un fatto sconvolgente:
"....iniziarono a piovere decine di corpi..."
Compare uno spettatore, uno che ha visto, che riconosce, colloca la scena e dà un giudizio di merito:
"Sembravano manichini."3
La frase successiva porta alla ribalta l'osservatore:
"Ma a terra le teste si spaccavano come fossero crani veri."4
Forse noi lettori non sappiamo come si spacchino le teste vere. Poi c'è un'affermazione che noi presumiamo sia dell'autore:
"Ed erano crani."5
La narrazione prosegue più ariosa, sembra la voce del narratore:
"Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo."6
La scrittura diventa affannosa, le frasi sono brevi, non consentono dubbi. Il periodare si sgrana. La principale perde le subordinate che si allineano dopo un punto fermo.
"Morti. Congelati, tutti raccolti, l'uno sull'altro. In fila, stipati, come aringhe in scatola."7
Come fa l'autore a sapere questo? Lo sa e ce lo comunica. I morti sono tutti raccolti e congelati quindi non sono congelati per i fatti loro, ad esempio per essere stati sorpresi dal gelo in montagna. Sono tutti raccolti in se stessi per essere stati raccolti e sistemati quando ancora erano se non vivi, quasi vivi, morbidi e impilati come aringhe in scatola, come merce che si debba esportare.
"Erano i cinesi che non muoiono mai."8
E' un'informazione per i lettori che si sono chiesti dove finiscano i cinesi morti perché non sentiamo mai parlare di un cinese morto né vediamo in città un solo corteo funebre cinese. L'autore ci chiama a riflettere:
"Gli eterni che si passano i documenti l'uno con l'altro. Ecco dove erano finiti."9
I corpi che le fantasie più spinte immaginano cucinati nei ristoranti, sotterrati negli orti intorno alle fabbriche, gettati nella bocca del Vesuvio. Le fantasie più spinte sono le nostre, le fantasie del lettore. La frase finale è una stoccata di Saviano:
"...gettati nella bocca del Vesuvio."10 Noi lettori, ad esempio io lettrice settentrionale non immaginavo che i cinesi morti potessero essere gettati nella bocca del Vesuvio. Non so se lo pensassero i lettori napoletani o quelli che vivono vicino alle bocche del Vesuvio ma credo che il trasporto dei cinesi morti sulle pendici franose del Vesuvio sia difficile, faticoso.
È avvenuto qui il cortocircuito: il corpo è una merce, in questo caso merce avariata, che ha ancora un valore residuo.
"Erano lì. Ne cadevano a decine dai container, con il nome appuntato su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo."11
L'autore spiega:
"Avevano tutti messo da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano trattenere una percentuale dal salario, in cambio avevano garantito un viaggio di ritorno, una volta morti."12 Affiora il ragionamento dei cinesi, la loro speranza, subito spenta, sminuita, dall'osservazione dell'autore.Ecco cos'è il viaggio:
"Uno spazio in un container e un buco in qualche pezzo di terra cinese." 13Come fa a saperlo l'autore? È provato che non esista una tomba oppure l'autore ride tristemente delle speranze dei cinesi?
Nella frase successiva l'autore si ripresenta a pieno titolo:
"Quando il gruista del porto mi raccontò la cosa, si mise le mani in faccia e continuava a guardarmi attraverso lo spazio tra le dita."14 La frase s'interrompe. La subordinata modale che segue è isolata, senza principale e trasmette la sensazione che all'autore sia mancato il respiro:
"Come se quella maschera di mani gli concedesse più coraggio per raccontare."15
Il romanzo procede par exempla, si articola in piccoli fatterelli, in personaggi che s'imprimono nella memoria, dando l'impressione di una mancanza di struttura, dell'affollarsi di una grande quantità di materiale. Non è proprio così. Benché il romanzo non abbia uno sviluppo verticale, né analizzi o vada alla ricerca delle cause delle vicende narrate, tuttavia l'organizzazione esiste, corrisponde ai grandi temi trattati: cos'è la camorra oggi, come utilizzi il porto di Napoli, quali siano i suoi affari e come li faccia, chi sono e come si muovono i camorristi, che cosa fanno e come si muovono quelli che non sono camorristi, cos'è il potere camorristico nel mondo, quali armi usa.
Alcune parti del romanzo erano apparse su "Nazione indiana" e sarebbe interessante sapere se quegli articoli sono poi stati recuperati per scrivere il libro oppure se Saviano, mentre stava scrivendo "Gomorra", andava pubblicando alcune parti del romanzo sul web, ossia se questa è una scrittura nata per il web o il web è stata la prima vetrina del romanzo.
Il web richiederebbe una scrittura più liquida, che trasmetta la sensazione di nascere al momento. La difficoltà di leggere lunghi tomi sullo schermo obbligherebbe gli scrittori del web all'utilizzo di brevi storie che catturino immediatamente l'attenzione del lettore e si risolvano in poche schermate.
La scrittura deve alzare il tono per colpire e scandalizzare l'internauta che è sommerso dalla massa del materiale del web.
Saviano avrebbe creato un mito al contrario, un mito negativo, senza metterci in condizione, ad esempio con una bibliografia accurata, di verificare e di capire. Anche il cinema ha mitizzato la malavita e il mondo della malavita si è modellato e si esprime nei modi mitizzati dal cinema.16
L'enorme successo di pubblico di "Gomorra" forse si spiega proprio con la creazione di questo mito negativo: è molto consolatorio pensare che tutti i nostri problemi personali, politici, storici e sociali non siano legati ad una nostra precisa responsabilità collettiva ed individuale ma al famigerato "Sistema"camorrista.
Note:
1 Roberto Saviano "Gomorra", Milano 2006, pag. 186
2 Roberto Saviano, op. cit, pag. 11, righe 1,2,3,4,5
3 ibidem, pag.11, riga 5
4 ibidem, pag.11, riga 6
5 ibidem, pag.11,riga 7
6 ibidem, pag.11, riga 7
7 ibidem, pag.11, riga 8 e 9
8 ibidem, pag.11,riga 10
9 ibidem, pag.11, riga 11
10 ibidem, pag. 11,riga 14
11 ibidem, pag. 11, riga 15
12 ibidem, pag. 11, riga 18
13 ibidem, pag. 11, riga 19
14 ibidem, pag.11,riga 21
15 ibidem, pag. 11, riga 23
16 ibidem, pag.277,278,279,280
L'autore (FONTE WIKIPEDIA.IT):
Roberto Saviano (Napoli, 1979), scrittore italiano. Autore del romanzo nofiction Gomorra (Mondadori 2006). Vissuto tra Napoli e Caserta si è laureato in Filosofia all'Università degli Studi di Napoli "Federico II", dove è stato allievo dello storico meridionalista Francesco Barbagallo.
Fa parte del gruppo di ricercatori dell'Osservatorio sulla Camorra e l'Illegalità e collabora con L'Espresso. Suoi racconti e reportage sono apparsi su Nuovi Argomenti, Lo Straniero, Nazione Indiana, Sud, e si trovano inclusi in diverse antologie fra cui Best Off. Il meglio delle riviste letterarie italiane (Minimum Fax 2005), e Napoli comincia a Scampia (L'Ancora del Mediterraneo 2005). Nel 2006 per il romanzo Gomorra gli viene riconosciuto il Premio Viareggio, il Premio Giancarlo Siani e il Premio Stephen Dedalus.
In seguito al successo del libro, Saviano ha ricevuto minacce da parte di affiliati alla camorra. Il ministro dell'interno Giuliano Amato gli ha conferito una scorta e lo ha cautelativamente portato lontano da Napoli.
Gomorra di Roberto Saviano è diventato un film con la regia di Matteo Garrone, regista de L'imbalsamatore e Primo amore.