È il Cinquecento, con Gaspara Stampa (1523-1554), il secolo in cui si vedono le prime poetesse di un certo valore, donne vissute alle corti dove non mancavano libri e letterati con cui scambiare opinioni, insegnamenti ed esperimenti poetici. Le poetesse del Cinquecento furono tutte donne di cultura, sia le signore e principesse come Vittoria Colonna (1490-1547) e Veronica Gambara (1485-1550), sia le cortigiane "oneste" come Veronica Franco (1546-1591) e Tullia d’Aragona (1510-1556). Singolare presenza quella delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento, così vistosa e riconosciuta da assumere l’aspetto di un’istituzione. Roma e Venezia ne contavano un gran numero e alcune di esse sapevano a memoria il Petrarca, leggevano i classici latini, rimavano sonetti, suonavano e cantavano. Aggiungevano alla miseria del loro mestiere una personalità più alta, spirituale e artistica che le innalzava nell’opinione della gente. Vedevano ai loro piedi letterati insigni, grandi artisti, potenti prelati e anche re. Nelle loro rime si trova un platonismo amoroso, un che di manierato, ma anche di elegante.
Fra gli spiriti più sinceri si distinse Gaspara Stampa, bella e intelligente, morta a 31 anni a Venezia, che uscì da questi schemi per la passionalità e la forza per cui proclamò il diritto della donna ad amare sempre e comunque fuori da ogni sanzione legale. Suo è il celebre verso:
"vivere ardendo e non sentire il male"
Le sue rime furono pubblicate postume dalla sorella, ma furono rivalutate solo nell’Ottocento.
Accanto a lei la tragedia della siciliana Isabella di Morra (1520-1545), pugnalata dai fratelli a venticinque anni per una colpa non commessa, riporta i toni al più cupo e torbido Medioevo. I suoi versi sono così schietti e strazianti che fanno di lei un "caso particolare" che non ammette paragoni.
Ben più celebre, tuttavia, resta Vittoria Colonna, dalla malinconia raccolta e dall’alta tempra morale, forse per la sua sorte di giovanissima vedova e la sua amicizia con Michelangelo che le fu devoto e avvolse il suo sentimento per lei in alte forme spirituali.
Ricordiamo per importanza anche Veronica Gambara, soprattutto per la nobiltà del suo stile. Ecco dunque che in questo periodo alcune donne possono far valere la loro voce e i palpiti dell’anima attraverso la cultura.
Nel Seicento dilagò l’aspirazione a comporre poemi e pure la gentildonna veneziana Lucrezia Marinella volle cimentarvisi con l’ "Enrico ovvero Bisanzio conquistata" che trattava di Enrico Dandolo e della quarta Crociata. Poi c’è stato un periodo di silenzio.
Però dalla seconda metà dell’Ottocento in poi anche le donne, specialmente di classi alto-borghesi, cominciano ad affacciarsi ai corsi superiori di studi e, per mezzo della cultura, hanno modo di far valere il loro genio. Perché non sono tanto gli studi regolari il vademecum per la poesia, quanto e soprattutto la cultura in generale.
E proprio in questo quadro storico-culturale, anche in un piccolo centro di provincia della bassa padana, dove la vita rurale è il vero motore di vita, una giovane donna,come Bice Benvenuti, può avere l’opportunità di distinguersi, con valore, in un campo ancora testardamente maschile.
Bice Benvenuti apparteneva all’aristocratica famiglia dei Conti Benvenuti, figlia del Conte Francesco. In lei sgorgava anche il nobile sangue dei Conti Terni De Gregori, sua nonna era infatti la Contessa Marianna Terni De Gregori.
Nella vita di Francesco Benvenuti, uno degli storici più importanti nell’economia culturale ottocentesca della piccola cittadina di Crema, ricoprì un ruolo speciale la figlia Bice, l’unica tra i figli a comprendere fino in fondo quella passione del padre per la scrittura e la letteratura. E proprio la morte prematura della giovane portò Francesco a vivere gli ultimi momenti della sua esistenza in un profondo e costante stato depressivo. Di Bice Benvenuti si poteva dire che venne educata alle mansioni tipicamente femminili e allo studio delle lingue straniere, ma nonostante ciò manifestò sempre il suo spiccato talento artistico. Nel tempo libero amava dipingere e suonare il pianoforte oppure dilettarsi nella lettura. Seguì le orme di gran parte della sua famiglia facendo della scrittura la sua ragione di vita. Con il saggio “La musica in Crema,cenni storici”ottenne un premio con menzione all’Esposizione Nazionale del 1881. Sempre in quello stesso anno pubblicò nelle appendici del giornale La Perseveranza alcuni suoi racconti, tra i quali :” Il Guanto Vecchio; Violette; Campagna Romana; Povero colonnello; In mezzo al mare”; quest’ultimo venne tradotto in tedesco e pubblicato dal Bund di Berna. La bibliografia della giovane scrittrice presentava anche lavori non inseriti in riviste o giornali specializzati, tra questi :” Nuvoloni d’autunno; Un telegramma; Su e giù per l’Italia”. La Nuova Antologia aveva aperto le sue pagine alla Benvenuti e qui vi pubblicò due racconti. Il primo a carattere storico si intitolava “ Un ufficiale del secolo XVII” e narrava le gesta,le strane avventure di un antenato della stessa autrice…il tutto veniva tratteggiato con brio e accompagnato con raffronti storici ed opportune riflessioni. Mentre il secondo,” Genova e le sue riviere”, rappresentò il testamento della giovane Bice in quanto, dopo aver concepito in terra ligure la sua ennesima fatica letteraria,di lì a poco sarebbe morta per una grave malattia ai polmoni. E la sua morte colpì anche gli organi di stampa che ne diedero notizia a pieno titolo e non solo quelli letterari, come la Perseveranza o la Rassegna, ma anche un quotidiano come l’Algemeine Zeitung. La critica del tempo fu sempre molto benevola nei confronti del suo talento, di lei si diceva che possedeva uno stile dalla naturalezza innata che si traduceva nell’utilizzo di una lingua pura mai troppo ricercata