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Baudelaire: Les fleurs du mal
traduzione di Fortuna Della Porta
Pubblicato su SITO
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Da: Les fleurs du mal
Charles Baudelaire
XLIX
Il veleno
Il vino sa ricoprire il più sordido bossolo
D’un fasto miracoloso
E fa sorgere più d’un portico favoloso
Nell’oro del suo vapore rosso
Quasi un sole a cadere in un cielo brumoso
L’oppio dilata ciò che non ha steccati
Allunga l’infinito-abbondanza
dilata il tempo, scava inebrianza
E di piaceri neri e scurati
Riempie l’anima oltre ogni sua portanza
Tutto ciò non vale il veleno che spilla
Dai tuoi occhi, dai tuoi occhi verdemare
Laghi in cui la mia anima trema e indietro riappare
I miei sogni vi accorrono spillati
Per dissetarsi a quelle forre amare.
Tutto ciò non vale il terribile arcano
Della tua saliva che morde,
che sprofonda nell’oblio la mia anima non discorde
e, la vertigine capriolando,
l’arrotola estinta alle corde della morte
LI
Il gatto
Nel mio cervello rimena
Come nel suo appartamento
Un bel gatto, forte, dolce e suadente.
Quando miagola lo si sente appena
Tanto il suo timbro è tenero e discreto;
che pur la sua voce si placa o si sprofonda
essa è sempre consistente e fonda.
È questo il suo fascino e il suo segreto.
Questa voce che perle gitta e filtra,
nel fondo mio più caliginante,
mi riempie come un verso tracimante
e mi esalta come un filtro.
Addormenta i più crudeli vermi
E contiene tutte le estasi;
per dire le frasi più estese
non ha bisogno di termini.
No, non c’è un archetto che addenti
Sul mio cuore, perfetto strumento,
e faccia più regalmente
cantare la sua corda più toccante,
della tua voce, gatto misterioso,
gatto serafico, strano gatto
in cui tutto, come in un angelo, fatto
tanto sottile e armonioso
II
Della sua pelliccia bionda e bruna
emana un profumo sì dolce, che una
sera ne fui impregnato per averlo
accarezzato una volta, non più di una.
È lo spirito familiare del clivo;
giudica, presidia, inala
ogni cosa nella sua cabala;
che sia fata che sia divo?
Quando i miei occhi, da questo gatto che amo
tirati come da un amante,
si ritraggono dolcemente,
e io che in me stesso ricamo
vedo scosso
il fuoco delle sue pupille pallide,
chiari fanali, opali calide
che mi contemplano fisse.
LXXXI
Alchimia del dolore
Qualcuno ti illumina col suo ardore,
un altro in te mette sua doglia, Natura
Quello che dice all’uno: Sepoltura!
Dice all’altro: Vita e splendore!
Ermete, sconosciuto che mi assisti
Che sempre mi hai intimorito,
tu mi rendi uguale a Mida,
il più triste degli alchimisti;
Per te io cambio l’oro in ferro
E il paradiso in inferno;
Nel sudario dei nembi
un diletto cadavere afferro,
E i celesti erbosi lembi
Assemblo di grandi tombe.
XII
La vita interiore
Da tempo abitato gli ampli portici
Che il sole marino tingeva di mille ceri
E i grandi pilastri diritti e fieri
Rendevano, la sera, ad antri basaltici.
Onde, nel rovesciare immagini sideree,
fondevano con arte solenne e mistica
gli onnipotenti accordi della ricca musica
ai colori del tramonto riflesso dalle mie iridi.
È là che ho vissuto in voluttà calme
In mezzo all’azzurro, i marosi, gli splendori
E schiavi nudi, impregnati di afrori,
che mi alleviavano la fronte con le palme
all’ unico affanno tesi d’approfondire
l’amaro segreto che mi teneva a languire
L
Cielo brumoso
Vorrei dire il tuo sguardo d’un vapore cagliato
Il tuo occhio indecifrabile (è blu grigio o di prato?)
Alternativamente tenero crudele sognatore
riflette l’indolenza del cielo e il pallore.
Ricordi i giorni bianchi tiepidi e velati
Che sciolgono in pianto i cuori stregati
quando in ignoto sgomento carpiti
I nervi accesi beffano gli spiriti assopiti.
Somigli talvolta agli orizzonti radiosi
Che rischiarano i soli dei tempi nebbiosi...
Come splendi paesaggio bagnato
infiammato dai raggi spioventi da un cielo turbato!
O donna affascinante, arie amate!
Adorerò la tua neve e le vostre brinate
e saprò anche trarre dall’ irriducibile agghiaccio
piaceri più aguzzi del ferro e del ghiaccio?
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