La dialettica tra uomo e donna ha praticamente infinite modalità, che investigate con un certo umorismo e curiosità possono svaporare in impercettibili varianti, tutte più o meno indimenticabile. Ci vuole una bravura non indifferente per ritrarre i personaggi in modo da renderli unici. Alessia Bottone nel suo “Amore ai tempi dello stage”, titolo con reminiscenza di Garcia Marquez, ulteriore ammiccamento al lettore, prova ad aprirci questa galleria di volti.
Dio solo sa quanto trovi offensivo il termine precario, applicato al lavoro. E’ come negare che qualcosa abbia significato, come sminuirne il senso quasi con cattiveria. Ma applicato all’amore, la precarietà assume un altro significato, quello del non volersi accontentare, del desiderare di andare a fondo nelle cose, nel non dare niente per scontato. Tutte cose difficili, in fondo, tutt’altro che ovvie al primo sguardo. Muovendosi con docile sicurezza tra vecchie barzellette ed aggiornati trattati di psicologia, l’autrice riesce ad intrattenere ed anche ad insegnarci qualcosa, se non altro a non giudicare le apparenze ed a cercare, o a sperare, in una, a volte improbabile, profondità.
E poi, a differenza di coloro che si (auto)definiscono precari, che sia sul lavoro o in amore, l’autrice non si lamenta, ma si commenta ad alta voce, e cerca, umoristicamente ma tenacemente, una via d’uscita, in un universo vagamente alla Achille Campanile di ragazze romantiche ma determinate, di uomini disattenti ed in discrasia con le suddette, di parenti petulanti, di situazioni imbarazzanti, ma più sbadate che equivoche. E, come l’autrice nella sua vita di presentatrice di questo libro, il tutto avviene con un continuo movimento interno che non ci permette di annoiarci anche se qua e là ci si attesta su qualche posizione un po’ più elevata per riflettere.
Ci sono luoghi comuni? In realtà questa è un’esposizione di luoghi comuni, con l’intento, tutt’altro che nascosto, di farci intravedere che qualche verità c’è, ma non è un libro fatto per chi si accontenta di fermarsi ai “si dice”. Nel mio piccolo, ho conosciuto legioni di uomini patriottici attaccati al proprio quartiere (per non aver coraggio di ammettere che la fifa di andare altrove è troppa, al punto di essere quasi paralizzante). E ci sono, eccome, donne che pur di far qualcosa insieme, si iscrivono ad un corso di latino americano (qualche anno fa si parlava di “salsaemerengue”, una parola sola) col partner. A volte questo funziona, nel senso che ci sono uomini in precedenza dediti solo al calcetto ed ai videogiochi che cominciano a danzare per casa con una mano sul petto, tra la costernazione del parentado, in altri casi la coppia cede di schianto (e spesso non solo in termini di ballo).
Ma la precarietà, come si diceva, non è affatto sinonimo di rassegnazione, anzi di una continua ed ostinata speranza, non tanto di trovare il “posto fisso”, lavorativo o sentimentale, ma di scoprire, tra tanti giri qua e là tra personaggi così vividi da diventare a volte grotteschi, ma mai perdendo una loro quasi adolescenziale mobilità un po’ “galvanica”, se stessi e la propria posizione nel mondo. Precario anch’esso, d’accordo, ma cui a questo punto guardiamo con un po’ di sorridente tenerezza, come le sensazioni che questo libro, che si legge in un fiato e con sincero divertimento, vuole lasciarci. E se vi capita di incontrare l’autrice in una delle sue presentazioni per l’Italia, prestatele un po’ d’attenzione, vedrete che ne varrà la pena. In fondo, sapete, siamo tutti precari (senza offesa naturalmente).