Le filastrocche sono la prima forma di poesia con cui i bambini vengono a contatto: i bambini, come si sa, non si rendono conto della ripetitività che per noi adulti, oggi che dichiariamo (o forse fingiamo) tutti un'attività frenetica, specie se forse non facciamo niente di importante (voglio dire rispetto alle serissime attività dei bimbi, per cui ho un'istintiva e totale ammirazione), sembra uno dei peccati più gravi. Invece i bimbi vogliono non soltanto storie sempre nuove, ma nello stesso tempo anche ricordare o meglio impadronirsi di quelle vecchie, o raccontarle con varianti e sfumature diverse.
Della concezione diffusa ed un po' triste, che tante tradizioni si siano perse e che i bimbi siano tecnologizzati, quindi volti necessariamente a giochi complessi, hanno fatto le spese anche le filastrocche: le insegniamo poco, anche nella scuola materna, rispetto ad altri popoli, sia latino-americani per esempio sia del Nord Europa, e dopo è inutile lamentarci della sordità poetica e musicale (dei nostri figli, ma anche e soprattutto nostra). Ma non bisogna perdere la speranza: anche se dopo il grande Gianni Rodari e qualche tentativo interessante più recente, per esempio di Roberto Piumini, c'è francamente stato poco spazio per questo genere di semi-improvvisazioni poetiche, questo libro di Gioconda Ciaglia, “Il mondo incantato delle filastrocche”, edizioni Anthurium, dimostra che non solo ci sono mamme e maestre che ancora giocano con le parole, a beneficio dei propri figli ed alunni, ma che certe tradizioni sono ancora ben vive per fortuna.
Devo dire che il piacere con cui si sfoglia questa raccolta (la prima parte comprende filastrocche dell'autrice, mentre la seconda parte raccoglie brani della tradizione) si combina facilmente con la sensazione di semplicità dell'impaginazione e dell'idea: è l'aspetto più interessante del libro, perché richiede al lettore (piccolo o grande) di schierarsi, di recitare le filastrocche presenti, di arricchirle con disegni spontanei, come quelli riportati tra le pagine, e di inventare, che forse di tutte le nostre qualità creative umane è la più importante.
Siamo in buona compagnia: mentre c'è chi si addormenta al suono di una ninna nanna, e magari sogna di viaggiare a cavallo del mondo, dove Brasile e Siberia sono solo le diverse facce di un cuscino, scorrono grilli salterelli, boschi incantati e castelli stregati. Intanto l'anno passa e dalle maschere di Carnevale si giunge fino al Natale sgranando un mese dopo l'altro, ma c'è anche il molto realistico scolaro sbadato, in cui riesco facilmente ad identificarmi (per Babbo Natale mi manca la barba), che porta il libro ed il quaderno per la materia sbagliata, e non trova lo zaino, la matita, ecc. ecc. (completare a piacere).
Ecco: lo sforzo che si richiede da parte nostra non è quello di accettare questi fatti della fantasia per veri: mi piace di questo libro la tendenza di mostrare il progresso possibile, di invitare a misurarsi, di riempire i puntini di sospensione di nuove storie, nuovi personaggi e nel complesso, di una musica diversa, che si intoni alla personalità nostra e dei bimbi che abbiamo intorno.