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Dolce raggio di sole,
sono stanco. Stanco di dover fare l’eroe quando in fondo all’anima mi sento come l’ultimo e il più misero dei mortali. Sono stanco di sentirmi ricordare in ogni momento di essere il “predestinato” o l’”eletto”, il fortunato a cui la sorte ha assegnato un’impresa gloriosa e senza precedenti. Ma quale fortuna ci può essere nel vivere un’esistenza già pianificata, una vita non tua? Ostaggio di un sacrosanto rispetto nei confronti della famiglia e di un maledetto senso del dovere che mi obbliga a custodire, gelosamente, i sacri Penati e a guidare i sopravvissuti dell’infelice popolo troiano verso una nuova patria.
Ho gridato agli Dei dell’Olimpo che sono solo un uomo le cui spalle, già piegate da eventi luttuosi e funesti, non hanno più voglia di sostenere altri pesi. Ho chiesto di poter rinunciare al mio ruolo per vivere completamente il nostro amore, ma, sordi alle preghiere, mi hanno intimato di proseguire sulle orme già tracciate dal Fato. Quel medesimo Destino che con crudeltà e senza riguardo ha messo sullo stesso piatto della bilancia la gloria del vincitore e la tragedia degli sconfitti, che ha chiesto il sacrificio di migliaia di vite come prezzo per la vittoria e che ora si disinteressa del tributo di dolore pagato dai vinti.
Ho implorato l’oblio di cancellare, dalla mia mente, con la sua mano pietosa il clangore della guerra, la rabbia della fuga, l’umiliazione dell’esilio e l’immagine del tuo volto adorato, pallido e disfatto dal dolore dell’addio.
Non una volta, ma per l’eternità mi sono maledetto mentre, dalla nave che si allontanava, vedevo il tuo profilo non più sollevato, con regale dignità, a sfidare il futuro, ma tristemente ripiegato sul petto affannato dal peso insostenibile dell’abbandono. Mentre l’Aurora dorata accendeva di riflessi preziosi il mare libico e di bagliori fulvi i tuoi capelli ho, invano, invocato pietà per me, per te, per il nostro infelice amore, ma nessuno ha avuto misericordia e con il cuore di pietra ti ho vista sbiadire lentamente nella bruma mattutina… il destino era compiuto, non c’era più tempo per le lacrime. Agli eroi non è concesso piangere!
Oh madre Venere perché tutta questa sofferenza? Tu sai che non sono un vile, che non ho mai rinunciato alla battaglia, a lordarmi le mani di sangue nemico, che non mi sono mai sbarazzato del fardello del comando e allora, dimmi, perché vacillo, commuovendomi, al solo pensiero di nutrire in petto il più nobile dei sentimenti verso una donna altrettanto coraggiosa e leale?
Elissa agognata, regina del mio cuore, aiutami a dimenticare ogni dovere. Fa’ che gli strali di Cupido siano un balsamo per il mio spirito martoriato. Donami per una volta ancora il leggero tocco delle tue mani, l’ambrosia delle tue labbra, l’urgenza primitiva e selvaggia del desiderio e la passione che al solo sguardo si accende, languida, nei nostri corpi.
Fammi riverberare attraverso le tue iridi stellate il mio stesso impellente desiderio, inebriami col profumo delicato della tua pelle morbida e accaldata. Lasciati spogliare con lentezza esasperante e poi rivestire di piccoli baci delicati. Concedimi di impazzire quando, alle carezze sempre più intime e audaci, nel delirio di sensi ed emozioni, ti sentirò gemere e avvinghiarti a me gridando il mio nome.
In attesa che le Parche portino a compimento l’incarico loro assegnato e l’eternità ci ricongiunga nell’Ade, chiedo a Giove Supremo e agli Dei onnipotenti di perdonarmi se amerò te, più dell’onore delle armi e della mia stessa vita.
Indissolubilmente tuo
Enea
Principe dei Troiani
©
Cinzia Baldini
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