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Vergogna
di J.M. Coetzee
Pubblicato su SITO
Anno
2005-
Editore Einaudi
Prezzo €
10-
234pp.
ISBN
2147483647
Una recensione di
Flaviana Zaccaria
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VERGOGNA, CHI NE RIMANE FUORI?
Spesso si pensa di sapere, di capire, di poter riuscire a comprendere e a trovare una logica in tutto, ma non è così, soprattutto quando ci si trova davanti ad una realtà nuova, diversa, priva non solo di una identità, ma soprattutto di una logica che non sia quella della violenza e di una colpa che viene lavata con il sangue. La storia del Sudafrica non è mai stata semplice, a discapito di tutti i libri di storia e le parole dei tanti, è una storia che non può essere definita con poco. Tante sono le popolazioni, tante sono le contraddizioni che da sempre hanno caratterizzato uno stato sociale di razzismo che però razzismo (così come lo possiamo vedere nei nostri stadi e nelle strade europee) non è, perché privo di quell’odio feroce e desiderio di distruzione dell’altro che porta ai pestaggi e all’infrangere delle più comuni regole di non violenza (a parte ovviamente di casi isolati); è una storia di diritti violati, di diritti mai esistiti e giustificati da uno stato di fatto. Si è da sempre gridato allo scandalo, si è additato a quella gente nascondendo dietro quel dito puntato una realtà di ferocia e razzismo sfrenato in tutto il resto del mondo, in Europa, tra le guerre di religione che ancora macchiano le strade “bianche” e le cacce agli aborigeni nelle zone pluviali e australi; in questa terra si sono avute guerre, guerre di liberazione, guerre che però non sono rivoluzioni, e che nella ferocia della parola guerra mostrano tutto il lato nascosto, l’odio che non è mai morto, che sta trovando ora uno sfogo, facendo della “vittima” un aguzzino ancora più violento e feroce del “carnefice”: il Sudafrica, così come ce lo presenta Coetzee, pieno di incoerenze, illogicità che di nuovo cercano suffragio sull’irrazionalismo e su stati di fatto, presenti e passati, solo che sono al contrario, e puntano a una distruzione che sia più visiva, e mortificante. La realtà del Sudafrica è questa: una violenza estrema, fatta di stupri e di crimini che non trovano neanche più spazio sui giornali, tanto sono frequenti, violenze che si perpetuano, complici anche una giustizia che ha lo stesso volto dei carnefici e un senso di colpa che fa abbassare la testa, e dimenticare che non è questa giustizia, che non può essere questa la rivincita. Odio chiama odio, violenza chiama violenza: è un circolo vizioso senza fine, e ciò che mi meraviglia di più è che proprio chi ha subito questa violenza per primo e per lungo tempo, non abbia capito questa lezione così semplice, non abbia compreso come la distruzione non ripaga di nulla, se non portare ad un abbrutimento, perché nulla giustifica l’ingiustizia, nulla legittima la violenza e il sopruso; in tempo di rivoluzione sono cose scontate, ma in tempo di pace è solamente un atto di violenza gratuita, che elimina ogni ragione a chi a vinto, annullando ogni differenza tra il ribelle e l’ingiustizia che si vuole combattere.
Nel libro di Coetzee, c’è proprio questo: non una traccia di un razzismo retaggio di “vecchio regime”, ma una convivenza e un’accettazione che trova riscontro nei racconti e nei documenti dell’epoca (a disposizione di chiunque voglia andare in quella bellissima terra), una non-discriminazione che si adatta alle nuove leggi e regole senza troppe recriminazioni, almeno finché si rimane nella legalità, ed è proprio questo il problema: la criminalità presente è una realtà molto forte e visibile, una realtà con cui bisogna fare i conti tutti i giorni, un pericolo sempre in agguato, soprattutto nelle zone dove il controllo e la legge è più nelle mani della comunità che in quelle della giustizia legale. Ed è davanti a questa violenza che l’apertura e la comprensione vacilla: David ne è l’esempio, è colui che non può e non vuole concepire una violenza che si radica nella vendetta di un passato, che trova l’omertà e la copertura di coloro che parlano della “mia gente” e guardano allo stupro come ad un “brutto incidente”, un incidente che si chiude con l’accettazione di esso come uno stato di fatto, uno scotto che si deve pagare se si vuole vivere in pace e nelle proprie terre. Lucy stessa, l’altra metà offesa e silente, afferma tutto ciò, tutta la violenza subita non ha che lo scopo di impossessarsi della terra, mostrare la propria superiorità fisica e tiranneggiare al mero scopo di poter erigersi a protettore, per potersi impossessare di diritto della terra. Lucy sembra accettare tutto questo, sembra non voler mettersi contro per una questione di sensi di colpa, di peccati da espiare, ma in realtà lei non vuole altro che tentare di trovare il suo spazio di pace, è pronta ad accettare tutto, anche di tenere il figlio di quel sopruso, a patto che poi possa continuare a vivere in pace in quella terra. In questa situazione, si ritorna al titolo del libri, vergogna, ma vergogna per chi? Per il Prof. Laurie e la sua relazione con la giovane, per Lucy in quanto bianca colonizzatrice, o per i criminali e la loro violenza gratuita?
La strada intrapresa da Lucy è la strada del silenzio e della non violenza, dell’accettazione e della sottomissione in favore di un futuro di quiete e pacifica convivenza, alla ricerca di un punto di partenza, di un compromesso per ricominciare, anche a costo di subire passivamente una violenza “violenza-riscatto delle violenze subite durante gli anni dell’apartheid”, ma può essere considerata questa la soluzione? O non è che una negazione dei valori di civiltà e umanità?
Il suo cedere davanti alla caduta negli stessi errori del passato, se non peggiori, da parte della popolazione liberata, non è che un tornare indietro, e nell’affermazione dei diritti umani e civili, quanto è vero che per andare avanti bisogna tornare indietro?
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