Tutto ha inizio con il subbuglio del quindici luglio. Il giorno prima del compleanno. Quella sorta di fase mistica interiore, che scombina i piani tra messa a punto, valutazione complessiva e coabitazione con noi stessi. Da qui in poi è discesa. Un pamphlet creativo letterario in cui l'autrice mette tutta sé stessa, apre il suo mondo, rende la sua visione delle cose. Ogni argomento trattato non è oggetto buttato in pasto alla curiosità famelica di chi vive nell'altrui vicenda, ma una riflessione profonda, ancor più densa e intensa in quanto fatta sulla propria pelle. Carmen è in grado di vagliare i più svariati argomenti ed universi semantici con una naturalezza e una profondità per cui accostare, in limitrofe righe, cellulite e scrittura, non è sacrilego, al contrario divertente. Genesi della possibilità di riconoscere che anche le manovre più creative, il lato più libero di vivere che possediamo, può star nella vita insieme a tutto ciò che di più terreno ci sia intorno. Oltre, naturalmente, all'ammirevole capacità di mettersi a nudo. Non si tratta solo di scrivere, ma di mettersi in gioco, di scoprirsi, di farsi leggere, di regalarsi. Con tutti i rischi che ciò comporta. Una dose di coraggio occorre sempre, per far le cose, qualsiasi esse siano, in modo viscerale: "è un po' come vendere l'anima, se non al diavolo, alle masse scatenate che potranno farci sopra di tutto, dal piangere al ridere, allo sputarci".
A pagina sette scopri che ha già indossato la sua personalità per mille strade, cercando quella giusta. Tra penna, teatro, libri e racconti. Il suo destino affamato d'inchiostro vuole raccontarci qualcosa e lo fa prima di tutto partendo da cosa non sarà, da cosa non è stata e da cosa, soprattutto, non è. E mentre lo fa, spoglia meccanismi sociali in un modo spiazzante, chiaro. Con naturalezza. Dal femminismo al mobbing, al pianto sociale, per spaccati periferici del sud, che si vogliono sempre insanguinati o devastanti. La denunciata incapacità di rigore al pettegolezzo, la devozione alla misura scientifica delle cose: lode al dosaggio sensoriale in cucina, lode allo spiccato senso di moda votato al proprio unico e personale gusto. Lei è sé stessa, riesce in alcune cose più che in altre, ma non alla maniera di, è istintiva, dedita all'ascolto delle persone, del corpo, della natura, della vita. Forse lo scrittore, nella sua funzione, è qui, in questo nucleo, il saper essere ricettivo di stimoli, dovunque e comunque arrivino. Ogni traccia di vita è possibile di mille declinazioni e non passibile di altre. Quel che accade in qualche modo è veicolo e va approfondito, vissuto, sentito, metabolizzato da ogni organo. Lei mette il marchio su quel che oltrepassa con sano egocentrismo: " Fatelo. Fate tutto quello che desiderate profondamente fare[...]è il desiderio a renderci capaci, quando si unisce alla volontà e ne arma la mano. Almeno avrete provato."
Il suo personale vissuto è quel cielo tra le dita che quando provi a chiuderlo non ti riesce o non ti va. Senza ostica prepotenza, s'infila in discorsi di spessore enorme, esponendo il suo punto di vista. Senza addentrarsi nel merito delle sue considerazioni, condivisibili o meno le si ritenga, il plauso va al fatto che abbia idee precise, che conduca in qualche modo la sua esperienza in costruttive analisi. Un forte elemento d'indipendenza giocato su ogni fronte. E la critica feroce, che forse può essere miccia di rabbia per qualche paladina di femminilità, si rivela altro, si rivela opinione proprio di chi quegli stessi valori vuole difenderli con saggezza, giustizia e determinazione. Donna oggetto in testa... Sperimentatrice e ricercatrice, dovizia da antropologa. Senza peli sulla lingua, sfacciatamente onesta e libera. La vita c'è, ce la ritroviamo, in qualche modo, soffiata addosso, tanto vale viverla al meglio. Tutto spiegato con un sostrato filosofico, mentale, disponibile, con qualche stacco integrativo di inserti pratici: bucce di papaia, lap dance per pavimenti, dalla conserva terapeutica, all'esercizio psico-fisico, attraverso una disamina venata di analisi sociologica. Fino alla dissacrante e quanto mai verosimile disamina del benavente e meno benestante Signor Rossi, immortalato nel suo ruolo di androide immolato al miracolo della tempistica sociale nell'aderire a tutte, ma proprio tutte, le aspettative da uomo di successo. (Tracollo personale a parte ovviamente). E la storia del successo, semmai si avessero dubbi, te la liquida in due righe a pagina 51: declinazione delle proprie doti in modo funzionale e non gratuita, a scopo illustrativo. Un puzzle, contaminazione valoriale e argomentativa di quel che si ha dentro. Siamo disseminati in argomenti, circostanze, ricordi, persone, ma siamo noi, parti di noi da ricongiungere. Quel che più ho amato è la rappresentazione di quel mondo interiore sterminato che alcuni soggetti hanno come sorgente sempiterna e attiva. Forse, viene da chiedersi, la comunicazione più interdetta appare essere quella con noi stessi:
"Si è fatto tardi e non me n'ero accorta. Grazie a Dio, potrei aggiungere. Ricordo come, quando e perché ho cominciato questo scritto. Per lo stesso motivo di sempre, un gioco di coincidenze nutrito a rabbia, frustrazione e qualcos'altro che ogni volta mi fa guardare alla penna come alla chiave di casa mia. [...]Adoro questo strano gioco proprio per quel che è: uno strano pazzesco gioco che mi diverte da morire e mi affascina. Non è la mia vita, ma qualcosa che ne fa parte. Niente potrà mai rappresentare la mia vita poiché essa è rappresentata da tutto.
Siamo umani, istintuali, emotivi, carnali:
"siamo sempre in viaggio, anche quando crediamo di essere fermi, di non sapere più dove andare, perfino quando siamo certi di aver trovato la nostra dimora, con essa continuiamo a viaggiare".
Siamo.