Curata dalla scrittrice Lorella De Bon per conto del portale culturale «L(’)abile traccia», Volpe bellissima. Liriche per Alda Merini è un’antologia elettronica di poeti vari, che presto diventerà cartacea.
Può essere scaricata gratuitamente dalla seconda tabella bianca dall’alto della pagina web https://www.labileabile-traccia.com/rivista_000000.htm e per introdurvela meglio ne pubblichiamo qui di seguito il saggio d’apertura, specificando subito che esso è stato composto quando la compianta Alda Merini era ancora in vita.
CARA ALDA, QUESTI SIAMO NOI...
-prefazione di Lorella De Bon-
Quest’antologia da me curata e dedicata interamente ad Alda Merini è seconda, in ordine di tempo, rispetto a quella uscita nel 2006 per i tipi dell’Associazione “Terre Sommerse” di Roma. Perché allora un’altra raccolta di poesie? Innanzitutto per una mia necessità, quasi un bisogno fisico di tributare la mia personale gratitudine a chi, attraverso le sue liriche, mi ispira e mi incoraggia a scrivere. Poi, per diffondere sempre di più la figura di una poetessa che, come tante altre figure letterarie femminili, non è conosciuta e soprattutto apprezzata come meriterebbe. Perché la cultura, e la poesia in particolare, è ancora preda di stereotipi duri a morire, che escludono la donna relegandola entro altri e ben più angusti confini chiamati pregiudizi.
Ma il Poeta non ha sesso, non conosce differenze di genere, non si autolimita. Perché allora tarpargli le ali? Come ha detto Alda Merini nell’intervista rilasciata in occasione della precedente antologia, “si nasce costituzionalmente poeti”, uomo o donna non fa differenza. L’importante è scrivere, ricercare la verità dentro noi stessi, scavare senza pietà tra le pieghe dell’anima e raggiungere il fondo del pozzo, per riemergere o soccombere. L’importante è scrivere, perché “il poeta opera civilmente, lavora per gli altri. Il poeta è felice quando sa che quello che scrive serve anche agli altri, questa è la forza che mi fa ancora scrivere”.
Stavolta siamo noi piccoli poeti a scrivere per te, cara Alda, che sei la nostra forza, la nostra musa ispiratrice. E siamo felici di regalarti i nostri versi, così che possano in qualche modo riscaldarti il cuore.
Cara Alda, questi siamo noi…
Liliana Arrigo – esalta l’immagine della donna, facendole oltrepassare stereotipi e luoghi comuni, decantandone la bellezza, l’intelligenza e la capacità d’accoglienza. E di se stessa ammette la vulnerabilità, i sogni e i segreti, l’orgoglio e il grande bisogno d’amore. La poesia di Liliana sonda l’anima femminile in tutte le sue molteplici sfaccettature, e lo fa con discrezione, con una sorta di timidezza, a dire che la vera bellezza non ha bisogno di gesti eclatanti.
Alberto Barina – immagina un manicomio dove solo i poeti possono trovare ospitalità e rifugio, dove i versi scorrono senza timore di pregiudizi o indifferenza, al riparo dal silenzio cui la società costringe le menti libere. La poesia di Alberto, semplice e schietta, seppur venata di triste malinconia, è comunque votata alla speranza e all’amore.
Andrea Cambi – riflette, non senza amarezza, su se stesso e sulla propria esistenza, domandandosi se gli altri soffrano come lui, in una sorta di complicità universale che abbraccia passato, presente e futuro. La poesia di Andrea si nutre di un’introspezione acuta e a tratti spietata, che attinge sia ai ricordi che al presente, per dar voce a un’anima tormentata, in viaggio nel tempo.
Margot Croce – scava alle radici del sogno, là dove il dolore e l’assenza costituiscono una fonte inesauribile di ispirazione artistica, là dove la Poesia, seppure imbellettata, è voce sincera di un’anima sanguinante. La poesia di Margot non teme la verità, né il dolore, anzi li affronta di petto, traducendoli in versi pieni di pathos rivolti a chi, forse, non vuole o non sa ascoltare.
Maria Stella Filippini – osserva attenta il mondo, sensibile ai particolari, ai contorni e ai gesti, talvolta alla cattiveria altrui, ma decisa a stare ferma sui propri passi, aggrappata alle proprie convinzioni. L’osservazione e l’immobilità sono per lei sinonimo di libertà, di un macrocosmo per pochi eletti. La poesia di Maria Stella è colta, raffinata, ricca di metafore e immagini tratte dal mondo naturale.
Vittorio Fioravanti – utilizza immagini di distruzione per parlare, invece, di speranza e di fede, come se l’attesa potesse portare a una svolta, a una trasformazione nella vita dell’uomo. La poesia di Vittorio, decisamente raffinata e dalla profonda musicalità dei versi, si arricchisce di atmosfere magiche grazie all’utilizzo degli aggettivi, prepotente e mai a sproposito.
Silvana Fiori – chiede scusa se scrive di sé, domandandosi al contempo a chi affidare la propria anima imperfetta e spesso scomoda. Ma di fronte al dolore che il tempo non lenisce, c’è sempre una nuova primavera a rasserenare la mente e il corpo, a colorare l’angusto parco che circonda il manicomio. La poesia di Silvana è essenziale e molto attenta ai particolari, quasi una ricerca maniacale di ciò che, seppur nascosto, racchiude in sé una ricchezza inestimabile.
Fabio Franzin – il suo è un ritorno alle origini della parola e dell’uomo, al tempo degli istinti e delle brutalità a detrimento anche del genere femminile. Il suo è un interrogarsi sulle motivazioni della violenza contemporanea, sempre in agguato dietro pareti di convenzioni e perbenismo. La poesia di Fabio è presa d’atto delle distorsioni della società, spietata denuncia delle ingiustizie perpetrate a danno dei più deboli.
Sara Grosoli – si appella alla madre quale unica figura salvifica dal Male, dall’indifferenza che troppo spesso annebbia la vista dell’uomo, facendolo precipitare in un abisso senza fondo. La poesia di Sara è di raffinata bellezza, definita con cura quasi maniacale e con un’estrema ricercatezza di termini e immagini, talora a discapito dell’immediatezza del messaggio.
Ardea Montebelli – partendo da alcune citazioni dall’Ecclesiaste, affronta il tema del Bene e del Male in versi brevi, carichi di significato, quasi a dire che il senso stesso della vita risiede nelle piccole cose, troppo spesso dimenticate. La poesia di Ardea si nutre di sapienza antica e di fede, riproponendo con un linguaggio moderno e immediato temi dal valore universale.
Alessandro Monticelli – affronta il tema dell’amore che, giorno dopo giorno, si trasforma in silenzio e indifferenza, un amore forse scontato, sottovalutato, ma che pulsa appena più giù della pelle, pronto a scattare fuori dal corpo con veemenza. La poesia di Alessandro è pacata, soffusa, una presa d’atto malinconica di ciò che, tra esseri umani, potrebbe essere e invece non è.
Francesco Scaffei – fa esplicito riferimento ai temi della pazzia e del manicomio, a tratti con sottile ironia, ma sempre con un sentimento di comprensione e tenerezza, che invece non riserva ai “savi ignoranti”, agli “pseudo tranquilli”. La poesia di Francesco, spietata nei termini, si colora di complicità e tenerezza nei confronti di chi, a suo dire, è libero davvero.
Sara Scialdoni – autrice dell’unico pezzo in prosa incluso nell’antologia, fa propri i temi cari ad Alda Merini, fagocitandoli con avidità e riproponendoli in maniera del tutto originale e sofferta, a dire che si può vivere a dispetto, anzi in virtù, del lutto e del tormento d’amore. La poesia di Sara è omaggio esplicito a colei che definisce “Beatrice” o “Laura”, nei confronti della quale esprime in versi un’affinità sorprendente.
CARA ALDA, QUESTI SIAMO NOI...
-prefazione di Lorella De Bon-
Quest’antologia da me curata e dedicata interamente ad Alda Merini è seconda, in ordine di tempo, rispetto a quella uscita nel 2006 per i tipi dell’Associazione “Terre Sommerse” di Roma. Perché allora un’altra raccolta di poesie? Innanzitutto per una mia necessità, quasi un bisogno fisico di tributare la mia personale gratitudine a chi, attraverso le sue liriche, mi ispira e mi incoraggia a scrivere. Poi, per diffondere sempre di più la figura di una poetessa che, come tante altre figure letterarie femminili, non è conosciuta e soprattutto apprezzata come meriterebbe. Perché la cultura, e la poesia in particolare, è ancora preda di stereotipi duri a morire, che escludono la donna relegandola entro altri e ben più angusti confini chiamati pregiudizi.
Ma il Poeta non ha sesso, non conosce differenze di genere, non si autolimita. Perché allora tarpargli le ali? Come ha detto Alda Merini nell’intervista rilasciata in occasione della precedente antologia, “si nasce costituzionalmente poeti”, uomo o donna non fa differenza. L’importante è scrivere, ricercare la verità dentro noi stessi, scavare senza pietà tra le pieghe dell’anima e raggiungere il fondo del pozzo, per riemergere o soccombere. L’importante è scrivere, perché “il poeta opera civilmente, lavora per gli altri. Il poeta è felice quando sa che quello che scrive serve anche agli altri, questa è la forza che mi fa ancora scrivere”.
Stavolta siamo noi piccoli poeti a scrivere per te, cara Alda, che sei la nostra forza, la nostra musa ispiratrice. E siamo felici di regalarti i nostri versi, così che possano in qualche modo riscaldarti il cuore.
Cara Alda, questi siamo noi…
Liliana Arrigo – esalta l’immagine della donna, facendole oltrepassare stereotipi e luoghi comuni, decantandone la bellezza, l’intelligenza e la capacità d’accoglienza. E di se stessa ammette la vulnerabilità, i sogni e i segreti, l’orgoglio e il grande bisogno d’amore. La poesia di Liliana sonda l’anima femminile in tutte le sue molteplici sfaccettature, e lo fa con discrezione, con una sorta di timidezza, a dire che la vera bellezza non ha bisogno di gesti eclatanti.
Alberto Barina – immagina un manicomio dove solo i poeti possono trovare ospitalità e rifugio, dove i versi scorrono senza timore di pregiudizi o indifferenza, al riparo dal silenzio cui la società costringe le menti libere. La poesia di Alberto, semplice e schietta, seppur venata di triste malinconia, è comunque votata alla speranza e all’amore.
Andrea Cambi – riflette, non senza amarezza, su se stesso e sulla propria esistenza, domandandosi se gli altri soffrano come lui, in una sorta di complicità universale che abbraccia passato, presente e futuro. La poesia di Andrea si nutre di un’introspezione acuta e a tratti spietata, che attinge sia ai ricordi che al presente, per dar voce a un’anima tormentata, in viaggio nel tempo.
Margot Croce – scava alle radici del sogno, là dove il dolore e l’assenza costituiscono una fonte inesauribile di ispirazione artistica, là dove la Poesia, seppure imbellettata, è voce sincera di un’anima sanguinante. La poesia di Margot non teme la verità, né il dolore, anzi li affronta di petto, traducendoli in versi pieni di pathos rivolti a chi, forse, non vuole o non sa ascoltare.
Maria Stella Filippini – osserva attenta il mondo, sensibile ai particolari, ai contorni e ai gesti, talvolta alla cattiveria altrui, ma decisa a stare ferma sui propri passi, aggrappata alle proprie convinzioni. L’osservazione e l’immobilità sono per lei sinonimo di libertà, di un macrocosmo per pochi eletti. La poesia di Maria Stella è colta, raffinata, ricca di metafore e immagini tratte dal mondo naturale.
Vittorio Fioravanti – utilizza immagini di distruzione per parlare, invece, di speranza e di fede, come se l’attesa potesse portare a una svolta, a una trasformazione nella vita dell’uomo. La poesia di Vittorio, decisamente raffinata e dalla profonda musicalità dei versi, si arricchisce di atmosfere magiche grazie all’utilizzo degli aggettivi, prepotente e mai a sproposito.
Silvana Fiori – chiede scusa se scrive di sé, domandandosi al contempo a chi affidare la propria anima imperfetta e spesso scomoda. Ma di fronte al dolore che il tempo non lenisce, c’è sempre una nuova primavera a rasserenare la mente e il corpo, a colorare l’angusto parco che circonda il manicomio. La poesia di Silvana è essenziale e molto attenta ai particolari, quasi una ricerca maniacale di ciò che, seppur nascosto, racchiude in sé una ricchezza inestimabile.
Fabio Franzin – il suo è un ritorno alle origini della parola e dell’uomo, al tempo degli istinti e delle brutalità a detrimento anche del genere femminile. Il suo è un interrogarsi sulle motivazioni della violenza contemporanea, sempre in agguato dietro pareti di convenzioni e perbenismo. La poesia di Fabio è presa d’atto delle distorsioni della società, spietata denuncia delle ingiustizie perpetrate a danno dei più deboli.
Sara Grosoli – si appella alla madre quale unica figura salvifica dal Male, dall’indifferenza che troppo spesso annebbia la vista dell’uomo, facendolo precipitare in un abisso senza fondo. La poesia di Sara è di raffinata bellezza, definita con cura quasi maniacale e con un’estrema ricercatezza di termini e immagini, talora a discapito dell’immediatezza del messaggio.
Ardea Montebelli – partendo da alcune citazioni dall’Ecclesiaste, affronta il tema del Bene e del Male in versi brevi, carichi di significato, quasi a dire che il senso stesso della vita risiede nelle piccole cose, troppo spesso dimenticate. La poesia di Ardea si nutre di sapienza antica e di fede, riproponendo con un linguaggio moderno e immediato temi dal valore universale.
Alessandro Monticelli – affronta il tema dell’amore che, giorno dopo giorno, si trasforma in silenzio e indifferenza, un amore forse scontato, sottovalutato, ma che pulsa appena più giù della pelle, pronto a scattare fuori dal corpo con veemenza. La poesia di Alessandro è pacata, soffusa, una presa d’atto malinconica di ciò che, tra esseri umani, potrebbe essere e invece non è.
Francesco Scaffei – fa esplicito riferimento ai temi della pazzia e del manicomio, a tratti con sottile ironia, ma sempre con un sentimento di comprensione e tenerezza, che invece non riserva ai “savi ignoranti”, agli “pseudo tranquilli”. La poesia di Francesco, spietata nei termini, si colora di complicità e tenerezza nei confronti di chi, a suo dire, è libero davvero.
Sara Scialdoni – autrice dell’unico pezzo in prosa incluso nell’antologia, fa propri i temi cari ad Alda Merini, fagocitandoli con avidità e riproponendoli in maniera del tutto originale e sofferta, a dire che si può vivere a dispetto, anzi in virtù, del lutto e del tormento d’amore. La poesia di Sara è omaggio esplicito a colei che definisce “Beatrice” o “Laura”, nei confronti della quale esprime in versi un’affinità sorprendente.
Lorella De Bon