L’accusa è netta, inequivocabile.
Fin dalla prefazione del libro il Dottor Watson attacca senza mezzi termini Bram Stoker, definendolo autore di “una monografia illegittima” ispirata probabilmente dalla volontà del Professor Van Helsing di cancellare ogni traccia delle indagini di Holmes imbastite durante la permanenza del Conte Dracula sul suolo inglese.
“... Sono convinto che il Professor Van Helsing abbia indotto Stoker ad alterare deliberatamente i fatti ogniqualvolta la nostra linea d’indagine incrociava la sua, al fine di costruirsi una reputazione come investigatore del sovrannaturale...” (pag. 25).
È grazie a questo riuscito espediente che Estleman riesce a costruire uno dei migliori apocrifi holmesiani mai pubblicati e a far incontrare Sherlock Holmes e il Conte Dracula, due dei personaggi più radicati nell’immaginario dei lettori: il genio investigativo per antonomasia e la vera, terrificante personificazione del Male. Due figure che, grazie all’alchimia della scrittura e alla magia del cinema, hanno oltrepassato indenni le barriere del tempo, per arrivare vive, immortali, fino a noi. Non è un caso, infatti, se la dedica che apre il volume è indirizzata proprio ad Arthur Conan Doyle e a Bram Stoker, creatori dei due miti indiscussi che si sfidano a viso aperto nelle pagine del romanzo.
Fin dalla sua prima uscita, nel 1978, il libro è stato salutato da un coro quasi unanime di apprezzamenti, confermati da un numero considerevole di ristampe e traduzioni nelle varie lingue. Inoltre, la BBC ne ha tratto, solo tre anni dopo, un’ottima versione radiofonica.
La storia, narrata come sempre dal fido Watson, segue fedelmente il percorso stokeriano, dal naufragio nel porto di Whitby della nave fantasma – il Demeter – priva di equipaggio e carica di strane casse di terra, giù fino alla partenza della Czarina Catherine che porterà il Conte a Varna e allo scontro finale con Van Helsing. Ma è lo stile uscito dai tasti della vecchia macchina da scrivere di Estleman – e splendidamente trasportato nella traduzione italiana di Paolo de Crescenzo – a far dubitare a chi legge di avere fra le mani un testo apocrifo: uno stile dal respiro così tipicamente ottocentesco, così autenticamente doylesiano, da far completamente dimenticare la reale età del romanzo. Dalle descrizioni, dagli efficacissimi scambi di battute, dai frequenti riferimenti alle passate avventure e ai casi brillantemente risolti, scaturiscono uno Holmes e un Watson fin de siècle a dir poco perfetti. Non è da meno il tratteggio del Conte Dracula, fedelissimo alla creazione dello scrittore irlandese ma allo stesso tempo debitore della ricca iconologia cinematografica che il Principe delle Tenebre ha ispirato nel corso degli anni. Il taglio fortemente cinematografico giunge probabilmente al suo culmine in quella che si può considerare la scena clou del romanzo, quella in cui i due personaggi si fronteggiano e si studiano in casa di Holmes sotto gli occhi atterriti di Watson. È come se un abile proiezionista fosse riuscito a inviare nello stesso momento sullo schermo due pellicole che hanno per protagonista rispettivamente il fine investigatore e il malefico Conte. Il loro dialogo è quasi una partita a scacchi, oppure, a conferma dell’altra grande passione di Estleman, il confronto in perfetto stile western dei due antagonisti prima della sfida finale.
Un apocrifo, dicevamo; oppure un pastiche, se volete. Ma, al di là di etichette di genere più o meno pertinenti, Estleman è perfettamente riuscito ad amalgamare due creature così profondamente diverse, fondendole in quell’oscuro melting-pot che era la Londra di fine Ottocento, ricca delle sue nebbie e delle sue atmosfere umide e sinistre, nelle quali il brivido che corre lungo la schiena non è certo opera del gelo.