What the hell am I doing drinking in L.A. at 26?
Hell-A-L.A., Hell hell-A-L.A.
Bran Van 3000 - Drinking in L.A.
The streets were dark with something more than night.
Raymond Chandler, The Simple Art of Murder
Parafrasando l’incipit dell’ottimo Say Goodbye di Delfina Rattazzi(1), si può dire che ci sono posti e momenti in cui l’orrore si cristallizza.
Los Angeles rientra a pieno titolo fra questi posti: ha oltre 17 milioni di abitanti, sparsi in quartieri enormi che passano quasi senza soluzione di continuità dalle ville miliardarie di attori e registi famosi ai caseggiati fatiscenti di disoccupati ed emarginati; è un melting pot ribollente di contrasti stridenti e di profonda inquietudine. È quindi un luogo dove non mancano momenti nei quali il terrore esplode in tutta la sua sinistra potenza, liberando, in una sorta di anomalo fallout, tragiche ispirazioni negli artisti che hanno eletto la Città degli Angeli a metropoli ideale per le loro creazioni.
Basta pensare, per esempio, alla Los Angeles Nera di James Ellroy, teatro nel 1947 dell’assassinio di Elizabeth Short, la Dalia Nera, il cui corpo fu rinvenuto in un campo di periferia orrendamente mutilato e dissanguato.
Oppure, spostandoci su un piano cinematografico e forzatamente fantastico, considerare la Los Angeles del 2019: immaginaria ma non troppo, madida e brulicante, territorio infido e spesso ostile dove il Blade Runner Rick Deckard dà la caccia ai replicanti Nexus 6, androidi evoluti e avidi di vita, sentimenti e umanità, nell’indimenticabile film di Ridley Scott(2).
Quasi a metà strada fra i due momenti appena ricordati – cioè nei primi anni Ottanta – e ancora a Los Angeles si colloca la vicenda dai toni epici narrata nel romanzo Hanno Sete di Robert McCammon, una storia di vampiri di stampo classico nella quale Bene e Male sono i supremi antagonisti, sempre ben distinti e distinguibili. Una storia cupa ma non pessimistica, scritta con uno stile fluido e accattivante; un’epopea ricchissima di personaggi profondamente caratterizzati, con situazioni e ambienti del più puro stile horror, e dove anche lo scatenarsi della furia degli elementi diventa un’arma nelle mani dei due eterni contendenti.
Ma procediamo con ordine.
Il prologo del romanzo, ambientato in un piccolo paese dell’Ungheria, ci presenta uno dei protagonisti, il piccolo André Palatazin. Gli occhi fissi sulle fiamme del focolare che a malapena li difende dalla notte e dal freddo di un inverno che sembra senza fine, André e sua madre aspettano già da tre giorni il ritorno del padre di lui. L’uomo, insieme ad altri abitanti del villaggio, è partito da casa per cercare di porre fine a certi fatti misteriosi e malvagi che stanno accadendo, ma altrettanto misterioso e decisamente sconvolgende sarà agli occhi del piccolo André il tanto atteso ritorno: sono solo pochi istanti che il padre ha rimesso piede in casa, che la mamma afferra un grosso fucile da caccia e gli spara, devastandogli il volto. Il bambino è atterrito, confuso, non riesce a comprendere quel gesto... né tantomeno riesce a capire come quel cadavere orrendo possa rialzarsi e andare loro incontro. Ma non c’è tempo per le spiegazioni; madre e figlio si danno a una fuga disperata, circondati dal buio e dalla neve sempre più fitta, e inseguiti dal grido sovrumano di quella cosa che un tempo era suo padre: “Ti troverò!”.
Molti chilometri e molti anni più tardi, André – che nel frattempo ha americanizzato il proprio nome in Andy – è detective capo alla squadra omicidi di Los Angeles. Sua madre è già morta da un po’ ma spesso gli appare, in una specie di sogno a occhi aperti, seduta sulla sedia a dondolo e intenta a guardarlo, o meglio, a fissare un punto appena sopra le sue spalle, quasi volesse metterlo in guardia da un grave pericolo che incombe su di lui. A volte appena latente, altre volte anche troppo viva e presente, quella notte terribile e incomprensibile che ha vissuto da piccolo è comunque rimasta un mistero. Ma non è il soprannaturale né tantomeno i vampiri a occupare la mente del detective. Tutte le sue forze sono al momento concentrate sui delitti di un serial killer detto Lo Scarafaggio per il macabro biglietto da visita che è solito lasciare alle sue vittime: uno sciame di scarafaggi dentro la bocca delle malcapitate prostitute che hanno la sfortuna di trovarsi sulla sua strada. Un’indagine difficile, un assassino abile e sfuggente... niente a che vedere con quella che sembra una bravata da teppistelli, la profanazione di alcuni cimiteri da parte di ignoti, ma che fin da subito fa scattare qualcosa nella testa di Andy, qualcosa che, a livello inconscio, egli intuisce essere inspiegabilmente collegata all’assurda esperienza che ha vissuto da bambino.
Andy Palatazin e Lo Scarafaggio sono solo due dei tanti personaggi che vivono nelle pagine di questo romanzo corale. Ognuno di loro ha un proprio ruolo da svolgere nella storia, un proprio peso specifico, da parti opposte della barricata. Il detective e gli altri uomini comuni, eroi per caso e loro malgrado, usciti dalla mano sapiente di McCammon, andranno a formare un piccolo manipolo. Male assortiti, apparentemente inermi, ma saranno pronti a buttare a mare anche il più labile rimasuglio di razionalità pur di affrontare l’epidemia maligna che insidia le anime di Los Angeles. Sì, perché di una vera e propria epidemia si tratta: ogni umano morso dai vampiri diventa vampiro a sua volta e va a ingrossare l’esercito famelico guidato dal demoniaco Principe Vulkan, il non morto originario della stessa terra di Palatazin e che già aveva imperversato in quei luoghi lontani al tempo dell’infanzia del detective.
Ma eccoli, alcuni di questi cavalieri inconsapevoli che si battono al fianco di Palatazin.
Uno dei più coinvolti emotivamente nella lotta contro i vampiri è Padre Ramon Silveira, un ex tossicodipendente che sta dedicando la propria vita – o almeno quanto ne resta, dato che è affetto da S.L.A. – a estirpare droga e violenza dai quartieri più poveri di East Los Angeles.
Gayle Clark è invece una giornalista che, per cercare di sfondare nel famelico mondo dell’informazione, si spaccia per una reporter senza scupoli e scrive articoli scandalistici per uno squallido tabloid cittadino. Si trova invischiata in questa battaglia disperata quando il suo ragazzo, divenuto vampiro, tenta di azzannarla e trascinarla dalla parte del Principe Vulkan.
Un ruolo importante è anche quello di Wes Richer, un giovane attore che sta appena assurgendo al successo televisivo grazie alla sua ottima interpretazione e a un’azzeccata serie. E anche quello della sua ragazza, Solange, che, grazie ai suoi poteri di medium, è una delle prime a rendersi conto della terribile minaccia che sta per sconvolgere le loro vite. Durante una drammatica seduta spiritica, proprio sulla sua tavoletta Ouija si formano le parole “hanno sete” che danno il titolo al romanzo.
E infine il piccolo Tommy Chandler, studente modello angustiato dai compagni che lo considerano il classico secchione. Per sfuggire alle loro prepotenze, Tommy si rifugia nella lettura o nella visione di storie horror, acquisendo così quelle particolari conoscenze sul soprannaturale che si riveleranno presto utilissime per combattere gli invasori.
In definitiva, McCammon ci ha regalato un buonissimo romanzo che, nonostante le oltre cinquecento pagine, è impossibile centellinare. Il lettore si trova come imprigionato nel turbine di avvenimenti e trascinato col fiato sospeso verso un finale apocalittico... che certamente non troverete in queste righe.
1 Delfina Rattazzi, Say Goodbye, Cairo Editore, 2006
2 Il romanzo di P.K. Dick, Il Cacciatore di Androidi, da cui il film è liberamente tratto, si svolge invece a S. Francisco.