William Blacker, scrittore e giornalista mezzo inglese e mezzo irlandese, decide di vivere una vita diversa, in un altro tempo e un altro spazio, lasciandosi alle spalle la modernità e superando i limiti della sua vita che sembrava già definita e ormai impossibile da cambiare. La sua narrativa di viaggio dimostra un’altra volta che esistono tanti posti sconosciuti e poco esplorati, il suo racconto personale è dettato dalle impressioni dirette vissute nei tanti anni passati in contatto diretto con il popolo romeno, le tradizioni, la lingua e la società.
Tra la zona rurale di Maramures e quella della Transilvania, l’autore ha vissuto insieme a una famiglia di contadini, con un secondo padre che l’ha iniziato alla seconda vita, quella contadina, e ha sposato una ragazza zingara, dalla quale ha avuto un figlio, affascinato dalle tradizioni rom, condividendo esperienze belle e nuove e conoscendo poco a poco i costumi tradizionali, i balli, le usanze, gli spostamenti a cavallo e carretto che d’inverno si trasforma in slitta. Libero da pregiudizi, riesce a penetrare e a capire uno dei popoli più misteriosi e meno conosciuti d’Europa, gli zingari.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’autore si mette in viaggio per esplorare i Paesi dell’Europa centrale appena liberati. Visita la Romania, subito dopo la rivoluzione e la caduta del regime di Ceasusescu, che aveva lasciato un paese affamato e povero. Un anno dopo, l’autore ritorna in Romania, questa volta per un viaggio a piedi di villaggio in villaggio, attratto dalle bellezze naturali e le tradizioni ricche del popolo romeno.
Quando diciotto anni prima, a ventisette anni, avevo fatto per la prima volta rotta verso questo Paese, non avevo idea di cosa vi avrei trovato. I villaggi e le campagne erano pieni di colore, di gente simpatica, facce gioiose. Non credevo che in quell’angolo d’Europa si nascondesse un mondo così. Gli uomini del villaggio indossavano bluse bianche ricamate; le donne, ampie sottane variopinte e fazzoletti in testa. Stretti in cerchio, battevano i piedi sull’erba e cantavano a gran voce i canti dei pastori. Non c’era nulla, pensavo, di più vivo e pittoresco. Guardavo quella gente, che sorrideva e rideva. Nel mio taccuino mi chiedevo come avessimo mai potuto convincerci che la nostra civiltà moderna era meglio di quella. E ricordavo come durante i miei primi viaggi il popolo romeno mi avesse fatto sentire il benvenuto ovunque andassi. Quella generosità e le loro cortesie d’altri tempi mi avevano colpito. ( …) Pensavo di essere nato troppo tardi per poter incontrare da qualche parte la vita contadina descritta da Tolstoj e Hardy, ma mi ero sbagliato. Ecco i resti di un mondo antico, un mondo medioevale, isolato grazie alle montagne e alle foreste.
Il protagonista del libro, l’autore stesso, descrive minuziosamente i dettagli degli abiti tradizionali, i ricchi ricami delle bluse e le particolari babbucce fatte di strisce di cuoio, fissate da lacci che salivano fino al ginocchio, le opinci, le scarpe dei contadini di un tempo, diffuse in tutta l’Europa fino all’inizio del Novecento. Rimane colpito dalla bellezza dei monasteri dipinti della Bucovina, capolavori dell’arte bizantina, con le pareti esterne interamente affrescate, i colori unici e straordinari: il blu dei lapislazzuli, i verdi, i rossi, i gialli che splendono ancora dopo quattrocento anni di intemperie, perfettamente incorniciati dal verde dei boschi delle colline circostanti.
Convinto che i contadini che lavoravano e aravano la terra fossero più felici di lui, con le loro semplici attività quotidiane, arriva in Romania semplicemente per viverci e lavorarci prima che ne venisse cambiato per sempre l’antico stile di vita. In Romania tutto ciò era sopravvissuto a quarant’anni di comunismo, ma era solo questione di tempo prima che la modernità varcasse le montagne.
Da nessuna parte in Europa avevo visto villaggi altrettanto inalterati nel tempo: bellissime, vecchie case, in legno o in pietra e mattoni, con eleganti stucchi, verande decorate, grondaie intagliate e tetti di scandole. (…) I romeni che avevo conosciuto in tutto il Paese erano le persone più cortesi, educate e disponibili che avessi mai incontrato.(…) I boschi di queste terre si estendono per chilometri e chilometri: ovunque faggi, querce e carpini a perdita d’occhio.(…) Gli zingari, un esotico lampo di luce nel paesaggio: la pelle bruna, i piedi nudi, nastri e conchiglie tra i capelli, file di ampie sottane variopinte, collane di monete d’oro. Le donne sembravano indiane. (…)Ovunque incontravo uomini e donne che smettevano di lavorare, si appoggiavano alla falce o alla zappa e si mettevano a chiacchierare con me come se avessero avuto tutto il tempo del mondo a disposizione. Camminavo per chilometri attraverso colline disseminate di fiori selvatici o attraverso gigantesche foreste, fitte e qualche volta inquietanti, finché al tramonto imboccavo un sentiero di terra battuta che conduceva a un villaggio che, per quanto sperduto, brulicava di abitanti, giovani e vecchi. (…) Non riuscivo a togliermela dalla testa la Romania. Era come l’ala di un castello lasciata chiusa per un secolo: dovevo assolutamente esplorarla a fondo, osservare il ciclo delle stagioni, studiarne in ogni dettaglio l’antico stile di vita, volevo udire i suoni, sentire gli odori, andare ai mercati, danzare e cantare. Volevo respirare a pieni polmoni l’aria pulita di questo mondo in cui mi ero imbattuto per caso.
In un’intervista, Blacker dice che la fusione con la Romania rimane per sempre, tramite il figlio mezzo rom e mezzo inglese. S’impegna moltissimo a difendere la comunità zingara dalle persecuzioni cui sono storicamente abituati e a ristrutturare le case abbandonate dai sassoni ritornati in Germania dopo la caduta del comunismo, che rischiano di andare in rovina e allo stesso tempo di perdere lo stile unico e particolare di queste costruzioni. Spiega la sua attrazione forte per la Romania e la sua decisione di continuare a vivere almeno sei mesi all’anno affianco al figlio rimasto nella custodia della mamma nel paese natale, dicendo che desiderava molto vivere di nuovo in un posto bello scoprendolo quasi per caso in Romania, facendo riferimento alla sua infanzia trascorsa nelle campagne inglesi. Può sembrare romantica la mia scelta del posto dove vivere, in un paesino sperduto in mezzo alla comunità rom romena, ma io so solo che mi trovo bene qui. E’ il posto adatto per me.