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Questa raccolta di poesie di Casavino nasce da una profonda esigenza di raccontare se stesso, e le proprie vicende, un’esigenza che si scontra con le difficoltà e le insidie presenti nelle parole. E’ come se queste insidie creassero uno stato di convalescenza da una ferita, presente fin nel titolo, uno stato che è visto dall’autore come una rinascita, lunga e faticosa, eppure quasi prepotente nel suo manifestarsi (“Le narrazioni del buio/non ostacolano la luce”). D’altro canto se la cultura, specie filosofica, serve all’autore come un filtro per le proprie esperienze di vita e di pensiero, nondimeno essa agisce, nei riguardi della poesia, come un limite difficile da valicare. E la coscienza del limite dell’uomo senza qualità affacciato sul mondo moderno, lo vincola a cercare una voce poetica che sia autentica e resista alla stessa autocritica suscitata dal proprio disagio.
Questa difficoltà si riflette nella scelta quasi subliminale del frammento come mezzo espressivo, che solo riesce a superare le barriere imposte dalla stessa raffinatezza culturale e poetica dell’autore. Il frammento nasce liberamente dal ricordo, e questo, oltre a permettere una maggiore fusione del contenuto con la forma, consente di cercare il bagliore improvviso e lirico, la definizione per assurdo, piuttosto che tentare un’impossibile ed inevitabilmente imprecisa, specie quando si tratta di sentimenti, caratterizzazione positiva.
Nella tradizione di certa poesia ermetica, il frammento parte dalla personale constatazione della situazione del poeta (“La scommessa è persa”) o di ciò che accade in natura (”La via era piena di sole”), per giungere all’osservazione intima del significato profondo di quell’accadimento, che può essere rivelato da un’altra azione, solo apparentemente slegata dalla prima (“Una lampadina rotola nel vento”), oppure da un’amara ammissione d’impotenza (“Non puoi grattare la verità/da un marciapiede immaginato”).
Quando i due momenti dell’osservazione e del disincanto si fondono in quello che non può essere altro che memoria, ricordo che non si estingue, si giunge alla poesia come spiegazione complessa, ma solo per questo profondamente ed autenticamente reale, dell’atto (“E’ quasi timido il tuo piede/ sul tappeto indiano./ E’ bello respirare l’acqua/ dopo che vi hai immerso tutta la tua vita...”). La memoria che, come la filosofia da sempre c’insegna, può sola essere l’antidoto contro la morte, ed è il vero amore, quello che non può spegnersi (Ora lo so:/ l’amore è memoria”). Dove il ricordo permane, anche la natura può riaffacciarsi, come infatti accade in questi frammenti poetici, quando una maggiore distensione descrittiva viene ad instaurarsi, quasi in un momento d’imprevista e non cercata lirica serenità (“[...] c’è un fiore di marzapane/da dare alle rondini di domani”).
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