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Vivendo un paesaggio intimamente drammatico, anche se comunicativo e quasi conversativo, come quello elbano, avviene, come difatti fu caratteristica di alcuni scrittori vissuti ed innamorati dell'isola, come per esempio Raffaello Brignetti od Oreste Del Buono, di volgersi ad una descrittività, tanto esasperata quanto profondamente avvertita. Credo che questo avvenga particolarmente se dell'isola non si è nativi, o almeno, nel caso in cui si riesca ancora a percepire pienamente la diversità del paesaggio rispetto a quello continentale.
In poesia, vivere ed immedesimarsi in un paesaggio può portare forse inevitabilmente ad un'idea dell'inconsolabilità e quindi quasi dell'eternità delle sensazioni quasi tattili che il paesaggio stesso rivela. E' tattile ed impalpabile la farfalla col suo desiderio di volo nelle ali “bruciate dal sole e dal grano”. Lo è anche quell'acqua piovana, affacciata all'altra acqua del porto (“Come una nave lenta affonda/così le luci galleggiano/sprofondano nelle tenebre molli”), che in certo senso ristabilisce il legame (ma è stato mai reciso?) col continente-mondo. Ed il continente può essere anche un treno che sbuffa e le facce stanche, la solitudine di viaggiatori che scende da un'altra giornata, sicché si riesce a passare dalla sensazione alla concretezza.
A questo punto, può trovare anche spazio qualche scorcio d'attualità, il sasso dal cavalcavia (“nessuno può fermare la noia”), osservazioni che si attagliano anche alla cronaca del nostro vivere quaotidiano. Uno stanco russare od un guardarsi allo specchio, rimpiangendo i vent'anni (chissà poi perché...) (“del passato non ricordo ed io/cerco i vent'anni che non ho”). Una sorella persa di vista, con quell'incomprensione tipica dei familiari lontani che raggiunge vette e sfiora ambiti forse non circoscrivibili dalla poesia, sorella quasi invocata (“Ma tu non perdere/ non perdere il sapore, il gusto/ti è importante”).
Una discorsività fitta di enjambements e rimandi interni ed esterni, ed assonanze anche a sensazioni e pensieri non ancora rifiniti e limpidamente chiari. La rima può sciogliersi in ritmi di filastrocca, solo fintamente modesti (“scarpa scarpetta tienimi stretta”), in realtà sintomo di una complessità probabilmente non ancora risolta a modi compiuti di lirica.
Il canto è necessariamente, forse inevitabilmente spezzato, e la vita non aiuta il verso a ricomporsi. Non può stupirci quindi se su tutto domina ancora quel senso malinconico e fugace di acquazzone estivo scalpitante tra le case sparse (e qui ritorna l'Elba), un senso che offre un'eternità sottile, ma ritrovata senza sforzo apparente.
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