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I titoli interrogativi, che ci introducono bravamente in medias res senza cinture di salvataggio, hanno una loro storia, che forse un giorno qualcuno scriverà. Credo siano nati con la pochade francese (ed in teatro hanno un senso, in quanto possono echeggiare una battuta che sarà recitata), hanno avuto un loro sviluppo nel futurismo, od in ogni modo erano abbastanza diffusi nell'anteguerra, poi sono passati per un certo periodo ad un certo cinema ammiccante, se non divertente (mi viene in mente “Ma papà ti manda sola?”).
Il fatto, secondo me indubitabile, è che per dare ad un'opera prima un titolo interrogativo, lungo, e, diciamocelo, teneramente fuori moda, come “Cosa ci fai tu, qui, con un fiore tra i capelli?” di Alice Trabucco, bisogna avere del coraggio (specie se si ha solo vent'anni). Il solo cedimento, umano e scusabile, al "timore reverenziale", grande malattia italiana, da cui altri popoli sembrano immuni, lo si ha alla fine del romanzo, quando l'autrice ritiene di esaminare il senso della sua storia, di discuterlo insomma col lettore. Lo dico con simpatia: in un mondo letterario in cui, trasgressione o no, domina incontrastata la paura di dire (non sia mai) qualcosa di nuovo o di diverso, il coraggio, anche al 95%, è merce rara.
Certo, il titolo potrebbe essere frutto di editing, però Alice, giovanissima scrittrice genovese, tiene anche fede al suo titolo: un romanzo che richiede qualcosa, e giustamente ha un titolo interrogativo. Prima di tutto, richiede un dramma; ma come accade spesso nella vita, il dramma è già accaduto, senza neanche manifestarsi, una specie di implosione, o meglio uno sfiorimento. Qui una storia d'amore è finita prima ancora di nascere davvero, e questo è un punto di partenza e di arrivo, di assenza ed allo stesso tempo di presenza, perché l'amore è eterno, almeno nella memoria: nella vita reale forse non esiste, è solo una sensazione. La memoria, che è quella della figlia, Celia (anagramma di Alice, non a caso), che rivive le emozioni all'incontro con lo scienziato e giovane professore, Gianmaria, idealizzato con tale inconsapevole e totale assorbimento, pur nei difetti, e persino nell'egocentrismo, che è tipico di chi ricerca, prima che l'anatomia del polmone, se stesso. Gianmaria poi partirà per gli Stati Uniti, a vivere (ed a morire, in effetti) in un cottage circondato da magnolie. Ed è qui che la storia allo stesso tempo termina e sboccia: Celia, che avrebbe dovuto nascere da quell'amore, si trova per caso a nascere da un altro, che forse non era neanche amore, o comunque era un altro amore, di una madre che non era Maria Schneider, come Maria ripete quasi ossessivamente nel romanzo; la tipica tattica inconscia dell'innamorato, che si sminuisce, si banalizza, per meglio esaltare l'oggetto d'amore. Di qui la continua ricerca di Celia, volta a materializzare l'uomo della Fulvia rally amaranto, che è poco più che un'ombra, sommerso dalle congetture e dai sogni di sua madre. La ricerca porta Celia tra lettere, poesie e lezioni sbobinate, fino ad un cimitero d'Oltreoceano senza sporcare né mai tradire il suo desiderio di catarsi attraverso il ritrovamento (l'agnizione, mi verrebbe da dire).
Chiudo con una parentesi: non è un libro che rincorre abilmente il filone giovanilistico, alla Moccia, né uno studio introspettivo di livello piuttosto infantile, del tipo dei due romanzi di Giulia Carcasi, per quanto la facoltà frequentata da Alice (ma anche da Celia, e da Maria, sua madre) sia la stessa. Piuttosto, la struttura è quella del continuo rimando nel tempo, che forse affatica a tratti la lettura, ma da cui si intuisce prima di tutto la profonda necessità che l'autrice aveva di riportare alla luce questa storia, e poi la tenerezza della sua illusione: Maria, la madre, ma anche Celia, la figlia, vorrebbero riportare a dimensioni umane, cioè comprensibili, questa figura di amante-marito-padre in realtà mai attuatosi pienamente; Maria avrebbe voluto essere accanto a Gianmaria, il giovane scienziato dal camice svolazzante, per cambiarlo, per ridurre forse a proporzioni accettabili un grande sogno, senza tradirlo. Ma sono cose che la vita non concede: soltanto un romanzo scritto con occhi di innamorata, come questo.
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