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Personalmente, non credo molto alle esposizioni fuori dagli schemi, primo perché faccio fatica a riconoscere gli schemi, secondo perché dichiararsene fuori significa di solito essere i primi a dichiararne l'importanza, magari negativa, magari paradossale.
Tuttavia Emiliano Grisostolo è, come già dimostrato dall' "Ultima notte", dove si cimentava con lucidità e consapevolezza in una riflessione romanzata sull'orrore causato dalla pena di morte, un narratore di confine. Di confine non soltanto per vicinanza fisica con la frontiera italiana, per quel che ancora oggi, in epoca di Europa Unita, questo, in modo forse contorto, ma non trascurabile, può significare, ma per le storie narrate, che non ripropongono vie scontate, ma cercano, ai bordi della realtà, un altro confine, più reale. Ne '' Il grande burattinaio '' vive una storia tragicamente attuale, ch ha per protagonista un bambino di soli tre anni strappato alla madre, Arno, che è in fondo solo merce di scambio, e come tale viene trattato.
Lo stile di Grisostolo è molto consapevole, e si concede spazi aperti, quasi poetici, per cercare non tanto di addolcire quanto di contestualizzare la storia, per poi tornare solidamente nel merito di questa vicenda, che scorre dura e spietata tra esecutori materiali, poliziotti annoiati e molta indifferenza.
Qui nasce, in certo senso, il problema etico dell'autore, che non vuole narrare una storia dura e difficile per suo puro gusto personale. Invece, tutto appare giustificato e legato allo svolgimento, e devo ammettere che non c'è il minimo compiacimento né letterario né spettacolare. Per questo, riterrei piuttosto ingeneroso liquidare il breve romanzo, già il quarto, dell'autore friulano, come un poliziesco, un thriller o qualunque altro genere si avvicini loro. Qui siamo al di là dei generi, nel senso che si percepisce un'urgenza nel racconto, che si riveste di una trama abbastanza diversa da quella della narrazione di genere. Ci sono notazioni psicologiche, anche nel caso dei rapitori di Arno, che danno un connotato realistico e più profondo alla storia, cercando non di giustificare il crimine, ma di inserirlo nel suo ambito più generale. C'è poi la natura, le acque, il sole, il buio e poi il mare, tutti elementi che non spariscono dietro i volti dei protagonisti, ma che si riaffacciano di volta in volta: ancora una volta, i potenti tendono a prevalere, il che è forse una legge, anche se pessimistica, naturale. Ed aspettarsi un lieto fine sarebbe forse troppo, ma la propria parola vera l'autore riesce ad esprimerla nella tenerezza che permea il racconto, e tanto basta.
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