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Fuori dal gioco
di Patricia Wolf
Pubblicato su PB11
Anno
2003-
Le Streghe
Prezzo €
13-
100pp.
Collana Easy book ISBN
Una recensione
diCarlo Santulli
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Votanti:
331 Media
78.46%
Il tema della raccolta di racconti di Patricia Wolf, “Fuori dal gioco”, é la diversità. Diversità intesa come particolarità della vita, delle esperienze, ma anche diversità vista come disagio. In effetti, il racconto che apre la raccolta e che mi é sembrato uno dei più riusciti, “L’alieno”, ci proietta subito verso un mondo lontano, anche se racchiuso tra quattro mura non troppo diverse da quelle di casa. E’ la diversità che abita tra noi, vista come nello specchio deformante di un bar, quasi un Benni rovesciato:”Nel periodo delle elezioni arrivavano gli esasperati Sentivi i nomi rimbalzare qua e là insieme all’acqua con cui Renzo il barman rimetteva a nuovo i bicchieri e al ticchettare del registratiore di cassa. Mi ricordo ancora di quando nominavano Berlinguer e Andreotti ma penso che Andreotti ci sia sempre stato in quell bar, come nella vita politica italiana quindi per me che politica ne mastico poca é giusto un flashback da niente” (L’alieno).
L’attenzione al multiplo, al doppio, quasi alla schizofrenia tra la componente positiva e quella negativa della personalità, si trova quasi a raccogliere ed a spiegare tutte la difficoltà della vita, tra quel che si sogna e quel che si può realizzare: “Spalancò i suoi occhi e si guardò finalmente. Era una donna ancora piacente, con le forme appena appesantite dal tempo, quella che vedeva. Una donna dalla chioma fluente e le occhiate morbide assassine” (Cinderella), “E risentivo la voce di mia madre da piccola e intravedevo ombre sui muri che mi spaventavano e riuscivo a guardarle senza paure. Riscoprivo le mie angosce stupide e inconcludenti e sentivo come tutta la rabbia che avevo sempre gettato nelle mie piccole conquiste sentimentali, si stava quietando in quell’attimo” (Light my fire).
Non é un caso che nella raccolta si parli spesso di calcio, dove la differenza tra il successo ed il fallimento é data, al di là di ogni sforzo e professionalità, dall’estro di un attimo, dalla fulminea giocata: “Era un campione in crisi. Un centravanti che non prendeva più la mira giusta per far gol […] Appena il giorno prima aveva giocato la decima partita consecutiva senza mai centrare lo specchio della porta. Un tiraccio altissimo, un colpo di testa troppo angolato e un “liscio” dell’ultimo minuto su un passaggio perfetto, da una posizione tutto sommato comoda. Ci voleva una gran faccia tosta a mancarlo. Fangio l’aveva mancato” (Il tappo).
Così, l’origine ed il filo conduttore della raccolta é chiaro ed univoco: quella letteratura on-the-road che, da Kerouac a Bukowski, vive del mito dell’avventura, dello sballo, dell’amore facile. Patricia Wolf lo vive con più romanticismo di quanto i suoi modelli richiedano, al limite, a volte, di una sommessa commozione. Rivive inoltre in queste pagine il mito dell’Inghilterra, della vita, del rock, delle donne di questo paese, mito che io personalmente, vivendoci, non posso che guardare con bonario scetticismo e un po’ di malinconia. Anche perchè, dovendo trovare un limite in questo libro, è proprio la ripetitività di certe situazioni, troppi padri disattenti e madri fuggite col primo venuto, troppe sbronze, e poca caratterizzazione di certi personaggi, come per esempio nel peraltro pregevole duetto quasi-tragico di “That is that”.
Peccato, perché l’autrice ha uno stile molto vitale e fortemente personale, quando segue una sua strada autonoma, in quei ritratti insoliti, colti tra la gioventù ed un’acerba maturità, che spaziano dal periodo successivo al troppo decantato ’68 fino ad oggi. Ritratti che ci suggeriscono, come lettori, di seguire le prossime mosse di Patricia Wolf con molta attenzione.
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