[Quattro racconti veri, quattro schizzi narrativi di lucida e cruda denuncia di alcuni dei drammi quotidiani più inquietanti dell’esistere contemporaneo: dalla sorda sopraffazione a danno dei più deboli alla dannazione senza redenzione di chi non ha voce, dal talvolta difficile compromesso dell’essere donna alle desolanti contraddizioni della Chiesa, dallo spettro sinistro delle sette sataniche al confronto irriducibile fra progresso e tradizione. Una scrittura ispirata non già ai grandi miti dello stile per lo stile, bensì alla naturale povertà delle cose ed al bisogno di dar voce a verità troppo spesso nascoste. (Quarta di copertina)]
Nelle quiete stanze del potere spirituale, Alessandro cerca di far sentire la sua voce. Ripete a sé stesso che questa Chiesa non può rimanere sorda alla sua invocazione.
Perché Alessandro è un credente, perché Alessandro crede nell’alto magistero della Chiesa e nel suo regolamento. Nonostante tutto, la sua voce non riesce a superare la mura pietrine. Anzi, il più delle volte, viene percepita come un disturbo che non merita risposta.
Alessandro crede, la moglie, Fiorella, no; lui non si limita ad affermare e dimostrare la sua fede: vuole verificarla. E si avventura in questa sua verifica con giustificata razionalità: quella stessa razionalità che si manifesta nella pratica di una fede audace. Tra questa e la fede in Dio, Alessandro riesce a cogliere un nesso strettissimo.
Un fitto carteggio. Una lettera, tra le tante, viene pubblicata su un settimanale cattolico. Una frase sicuramente colpisce chi legge,”…rivedere il rapporto con Dio, cercando di riportare la nostra vita nella verità”, a cui fa seguito una serie di considerazioni, più o meno condivisibili da parte di un cattolico osservante e praticante qual è Alessandro. Manca, però, la chiarezza, la definitiva chiarezza che dovrebbe stare nella risposta.
Il figlio di Dio non solidarizzò con i poveri, i peccatori, gli immorali? E questo che sembra, e lo è, un atto di ribellione non è un gesto che promuove l’amore? Quell’amore che permette, nello stesso istante, di essere pii e razionali, che afferma la sua supremazia senza escludere nessuno, neppure il “nemico”.
È lo stesso figlio di Dio che annuncia non le sanzioni, ma il perdono di Dio, assolutamente gratuito, che non esita ad accordare a tutti, aprendo così la via alla conversione e al perdono reciproco tra gli uomini.
Alessandro comincia a dubitare fino al punto da chiamare in causa la propria coscienza di cristiano, cattolico, chiedendosi le ragioni del silenzio, l’assenza di risposte che rimanevano confinate entro i sacri confini vaticani.
“Nemo habet de suo, nisi mendacium et peccatum.”, afferma il grande vescovo di Ippona. Ma, ci si domanda: ”la sua condizione è sufficientemente perché attraverso la penitenza egli possa accostarsi, domani, all’eucarestia?”. Il ”verbo” mediatore gli avrebbe offerto la grazia?
Il Santo Padre, unitamente agli Enti Ecclesiastici preposti per la difesa della dottrina della fede e al settimanale, vengono investiti del problema. Anche questa volta “…il silenzio sembra un tacito quanto imbarazzante accordo”.
Negli Atti (10.43) si legge:” chiunque crede in Lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome”.
Non è questo, forse, un dono che Dio fa della sua grazia, un dono che promana dalla sua generosità? E la grazia è gratuita.
Appare evidente il contrasto tra quanto viene diffuso dal Magistero della Chiesa, tramite i suoi servitori, e quanto, invece, promana dalla parola di Dio.
Nella vicenda di Alessandro, il silenzio assordante della Chiesa, nella sua interezza, impedisce alla Fede il cammino verso la Grazia.
Né è pensabile che la legge degli uomini possa sottoporre a procedimento una tale scelta.
Ci si muove, così, in un ambito molto ristretto: processare la discriminazione? Processare il significato inquisitorio delle risposte, anche quelle non date?
Alessandro deve restare vittima di un uso coloniale della catechesi, intesa come simbolo di pace, di tolleranza, simbolo riassuntivo delle nostre virtù e dei nostri buoni sentimenti.
C’è il tentativo, di una parte cospicua della Chiesa, di spuntare le armi di Dio opponendo al crocifisso che unifica, il crocifisso contundente, quello che offende con la sua indotta aggressività, quello che intende sugellare una supposta superiorità, le qualità di una parte della gente del mondo. Pochi sanno, e Alessandro probabilmente è tra questi, che il crocifisso, Dio, non si intrufolano tra le mura domestiche o tra le pieghe maleodoranti di dorate virtù, ma cerca, come dicevo, i peccati, l’ingiustizia, propugnando la ripulsa verso ogni crimine, sotto qualunque veste esso si presenti, riconducendo la nostra vita verso un comportamento più decoroso.
Forse, è significativo parlare dell’ “ira di Dio” quando cielo e terra si confondono, e l’uomo diventa protagonista di cataclismi, rovina, e campi di concentramento.
Bruno Previtali, una vita dedicata a raccontare, a radiografare l’animo umano, come si è spesso detto del suo peculiare modo di fare letteratura, sempre a cavallo fra narrativa e cronaca. Autore di numerose opere narrative fra cui Il gelso insanguinato, L’uomo dimenticato, La casa di cera, Il mondo degli acefali, Storie d’amore e di crudeltà, e della silloge poetica Radiografia dell’anima. Ha ricevuto negli anni numerosi premi e riconoscimenti.