L'anno scorso, di questi tempi, vi parlavo de “L'ombra di Babbo Natale” di Rosa Tiziana Bruno, una bella favola moderna che mostrava il gran vecchio dalla barba bianca immerso in quella che senz'ombra di dubbio era una crisi d'identità. Un momento di perplessità come possiamo averne tutti, a volte, al risveglio, con lo scoprire di non saper più bene cosa siamo e che ci stiamo a fare al mondo (lasciando perdere quel che ci dice quella che ci ostiniamo a chiamare realtà...). Di solito, per fortuna, sono cose che si risolvono, o meglio, che possiamo in qualche modo superare con le nostre sole forze (così, se vi ricordate, accadeva per Babbo Natale nel caso di cui sopra): non sempre è così però (e poi non siamo tutti Babbo Natale...). A volte non riusciamo, anzi siamo pure scoraggiati dal tentare, quando per esempio, come si dice, “la scienza non può nulla”, nel caso di certe malattie incurabili. Eppure, ricercatori, medici, professori (un tempo si diceva, i “luminari”), tutti quanti proviamo magari a gonfiare il petto, a fare la voce grossa, a firmare con tre nomi e un paio di cognomi, ma non c'è nulla da fare. Il limite non su può valicare (o almeno: la scienza ancora non l'ha fatto, tirandoci dietro i nostri poveri mezzi di manovali della ricerca, perché è di questo che si tratta).
Qualcuno però, come il protagonista de “Il dottor Maus e il settimo piano” di Nino Genovese può salire quei sette piani che, percorsi a ritroso in una famosa novella di Dino Buzzati, segnavano l'appressarsi ineluttabile della morte, anziché della guarigione, tra sotterfugi e provvedimenti in apparenza soltanto burocratici. Qui, Paolo Maus, medico siciliano, “alto un metro e una banana, magro come un grissino e con pochi capelli col riporto”, sale al Settimo Piano (maiuscolo) e scopre, da quarantasettenne pieno di passione per il suo lavoro, ma realista e forse leggermente disincantato, che certo la morte è inevitabile, ma intanto forse qualcosa si può fare, se si è aperti alla speranza, quella che confina coi sogni. Insomma, se si crede a Babbo Natale, al punto che a quarant'anni e passa, gli si scrive una lettera, si danno anche delle possibilità alla scienza, pur di fronte a mali spesso ancora incurabili, come la leucemia: in breve, può accadere anche qualche miracolo, magari potrebbe apparire di colpo qualche rimedio universale di cui non sospettavamo l'esistenza.
Si dice tanto, e lo pensa anche Maus, che i bambini, ed anche gli adulti, siano diventati scettici sugli accadimenti un po' magici, ma occorre riconoscere che la vita stessa è un piccolo miracolo, quando in cambio di una guarigione si chiede soltanto un sorriso, quello che salva e che rinnova l'amore. Perché l'errore è che Babbo Natale non ha niente a che fare con regali sempre più grandi e costosi, quelli li comprano i genitori e i nonni nella fantasmagoria dei centri commerciali, ma invece vorrebbe soltanto vederci sorridere felici: se ne dubitate, chiedetelo a Paolo Maus, medico di famiglia nel piccolissimo paese di Acquitrino.