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Piegare il linguaggio ad esprimere le nostre esigenze interiori, più ancora che i nostri sentimenti, è forse il momento più difficile del “far poesia”. L’ermetismo aveva creato un linguaggio comune, una “koinè”, che esprimeva il disagio dell’uomo contemporaneo, uscito da due guerre mondiali e proiettato, quasi gettato, in un mondo difficile da interpretare, Più recentemente dati linguistici di origine “comica” o popolaresca vengono trasfusi ed integrati in una complessità rivissuta, che cercando di ripercorrere i moti profondi dell’animo, non vuole nascondere l’esigenza di “canto” e di intimo “divertimento” cui la poesia è da sempre collegata. E da qui ossessive allitterazioni sono possibili ed anzi auspicate, quasi liberatorie, come in “Di onde”:
“A schiume. A spume (scure)
competono
a rincorrimenti/a ricontorsioni.
A caramelle/ a caramelle di caroselli.”
Viene in mente la “comicità totale” di Vito Riviello, dove sono ripresi certi modi che hanno origine in Apollinaire, con un’ingenuità tutta nuova, che ne lava via il senso trasgressivo. E da qui, anche in Filzi, il ricorso alle metriche popolaresche od infantili è quasi inevitabile:
“Giro giro tornio
lenta altalena
gioia di giostra
tritone e sirena”
Le indentature frequenti, così tipiche di certa poesia americana, come in E.E. Cummings, in Filzi ostentano un forte significato sperimentale, come in “Gioca a celare (cantiere)”:
“Gioca a celare /
giostra già brezza /
negl’ingranaggi di ferrocarezza.”
Il linguaggio tecnico, quasi rifiutato nell’ermetismo, qui entra a parte a pieno titolo del “far poesia” ed assume un proprio significato autonomo, perso tra il futurismo e la tentazione del neologismo ed impreviste convergenze montaliane: “vettori ovipari sul dado eolico”. Da qui, momenti di maggiore abbandono lirico sono anche presenti, come in una che a mio parere è delle più riuscite poesie della raccolta, “Disarmata interiore”, ancora molto montaliana:
“Il limitare all’entasi che smagra
tira a sè il riporto della vita
ti guardi controluce di sfuggita
in chiaro - ora scuro -, ora infinita”
Filzi mostra grande consapevolezza dei propri mezzi espressivi e parte dai dati acquisiti nella poesia, per cercare e creare una propria voce autonoma con, mi sembra, buoni risultati. In “Promesse di Marinaio”, il pendolo oscilla tra una sperimentazione consapevole e una ricostruita e direi quasi custodita semplicità e, quel che mi ha più impressionato favorevolmente, Filzi sembra far tesoro di ogni esperienza poetica passata per inserire il suo dato personale e cercare la propria storia poetica. Ne risulta una lettura gradevole, senza momenti di stanchezza, grazie anche alla varietà un po’ eclettica dell’ispirazione ed alla proposizione discreta e umana del proprio vissuto.
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