La verità è qualcosa
che sentiamo dentro
quando viene fuori
già non c’è più
(da Vocalizzi, p.64)
Scriveva Gianni Rodari nella Grammatica della fantasia: “Tra il mondo dei giocattoli e il mondo adulto c’è un rapporto meno chiaro di quanto possa sembrare a prima vista: da un lato, i giocattoli vi approdano ‘per caduta’, dall’altro per conquista”.
Reversibilità di Abele Longo, rappresenta una conquista per sé e per il lettore, per la sua capacità di dare anima alle piccole cose del quotidiano, di giocarci e di strapparci un sorriso inaspettato. Tutto ciò che gli è intorno, del presente e del passato (della sua terra d’origine a di quella dove oggi risiede), così come degli affetti, entra nei suoi versi con leggerezza ed ironia spiazzante, in bilico tra reale e surreale, con voli pindarici dell’immaginazione, senza però mai perdere il contatto con la realtà.
Come scrive lui stesso in un’intervista del 30 ottobre su 'La poesia e lo spirito' «(della poesia) ne ho fatto la mia ”officina”, come mi piace definirla, che mi dà la possibilità di staccarmi dal quotidiano per reinventarlo, cercare parole e immagini come coordinate di un viaggio sempre nuovo».
Se solo il pennuto avesse intuito,
mentre toglievi lacrime pungenti
e rinsecchite dalle ciglia finte,
la tua volubilità, quell’estetica
forgiata dalle suore; l’abbandono
concitato nell’atto del dolore;
si sarebbe fatto mezzo bicchiere.
Eccolo invece etere che singhiozza
dopo aver assistito al tuo sconcerto,
al ribrezzo di vederti di fronte
alucce rade ed ispide di gel.
(L’angelo del gel, p.30)
Il suo segno è indagatore, sperimentale sovverte il nesso delle cose, crea bizzarre analogie, troncamenti e ribaltamenti di senso, costruendo strutture significanti particolarmente inaspettate e originali. A sorpresa. Tutto ciò che ha un senso e un significato di conformità e che appare in equilibrio, può essere reversibile e dunque scomposto, invertito e sovvertito. L’incauto lettore viene quindi introdotto in meandri imprevisti, quasi metafisici, dove ci si fa allegramente beffa di stereotipi e luoghi comuni.
Quella mattina c’era qualcosa
che non riusciva ad afferrare
ma che nel pomeriggio
era già dimenticata.
saltò fuori a cena
così inaspettatamente
che ne pianse tutta la notte
(Qualcosa, p.51)
Lo stile è conciso, essenziale, spezzato, anche quando il componimento è più lungo. Fa da contraltare, alle delusioni-disillusioni della vita, una tensione costante verso un mondo magico e fiabesco che si traduce nella ricerca di un verso semplice , di una felicità perduta, cercata, forse ritrovata.
“Dimmela ogni parola
prima che la bocca finga
di essere uno sbadiglio
dammela come preghiera
e poi spegnimi la luce”
(Geco, p.52)
Ci guida lungo questa traccia, già in apertura, l’illustrazione di copertina con il The Rabbit della piccola Sofia Longo, che ci dà la sensazione di avere tra le mani un librino di fiabe, o di versi in libertà, alla Rodari. Un tentativo di dialogo con la parte più autentica e infantile di noi stessi e del mondo che ci circonda.
La lettura, seppure tardiva di questa raccolta, mi ha fatto scoprire l’animo gentile di un uomo e di un poeta “in bicicletta”, laddove quest’ultima -immagine che riccorre svariate volte nel testo- diviene simbolo di libertà, di cambiamento, voglia di dire, di indagare, di lasciarsi alle spalle le piccole cose di una vita, in attesa delle nuove. Con un sorriso. Con leggerezza.