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Che mi sia concesso, finalmente, di poter grattare via la ruggine dell’infamia che da secoli si è incrostata alle mie ossa e fare in modo che oltre a te, che già sai, anche il mondo conosca l’integrità dei miei principi e la nobiltà dei miei ideali. Sono abbastanza disilluso da non aspettarmi il riscatto del mio nome e quello della mia discendenza, perché le leggere orme della mia reale esistenza, sono cancellate dall’enorme peso della storia, come quelle di un bambino che corre sulla spiaggia, dalla risacca del mare agitato.
All’inizio, quando sei apparso sulla scena, sono rimasto affascinato dal rapporto di familiarità che riuscivi ad instaurare con la moltitudine di persone che si radunava ovunque tu andassi, dal richiamo che faceva il tuo nome, dal senso di aspettativa che creavano le tue parole. Forse il turbolento momento storico che stavamo vivendo ed il forte risentimento contro i Gentili mi avevano convinto che finalmente era arrivato colui che ci avrebbe liberato dalla tirannia, il capo indiscusso che tutti attendevamo e che avrebbe permesso la rinascita del nostro popolo.
Poi, conoscendoti meglio, e sentendoti predicare la nuova dottrina, ho compreso. Il tipo di lotta che ci esortavi a sostenere non era uno scontro armato, né con essa ti proponevi di rovesciare il potere costituito. Non era per pavidità che ci sollecitavi a non incrociare le armi, a porgere l’altra guancia al nemico. Entrambi sapevamo che la nostra guerra non sarebbe stata meno dura perché ogni combattimento sarebbe stato senza quartiere e all’ultimo sangue, impari e spietato. Il nemico da sconfiggere era potentissimo, più dei Romani, era il peccato radicato negli esseri umani.
Che strano sentirti pronunciare parole e precetti non riferiti alla sola progenie di Abramo, ma, indistintamente, rivolti a tutti gli uomini. La tua filosofia avrebbe cambiato il mondo e questo non era esattamente quello che gli Zeloti, i miei compagni politicizzati, si aspettavano di udire. Né il tuo modo di agire e le tue parole, corrispondevano alle aspettative che il popolo ebraico aveva elaborato sul suo Messia.
Vivevano sulla propria pelle le angherie e le vessazioni di un dominio straniero sgradito e coltivavano l’attesa, ormai prossima, secondo i Testi Sacri, che il Figlio del loro Dio, li avrebbe liberati dal giogo Romano. La questione, quindi, riguardava solo ed esclusivamente i Giudei. Essi identificavano il regno di Dio con il regno unito di Israele, cioè uno stato vero, reale, legalmente costituito, con leggi, popolo e territorio, il cui Re, il Messia, appunto, ne avrebbe garantito l’esistenza e governato con giustizia.
Tu li hai confusi, perché con quell’insolito modo di predicare ti battevi per conquistare un regno astratto e per riscattare non solo il tuo popolo, ma tutta l’umanità.
Non avrebbero mai potuto comprendere che ti eri fatto uomo e venuto sulla Terra per far prendere coscienza ai che ognuno di loro aveva un’anima immortale a cui sarebbe stato concesso di entrare nel Regno di Dio attraverso la Resurrezione. E poi uno che muore sull’infamante croce romana non può essere un re….
Io, invece, ho creduto in te, da subito. Eri un leader per eccellenza ma mancava qualcosa che ti permettesse di attirare l’attenzione per ascendere al trono di tuo Padre e dimostrare che eri veramente suo figlio. Dovevi farlo in modo eclatante e stupefacente come si conviene al figlio di Dio. Dovevi entrare nella storia e quindi nella coscienza dell’umanità dalla porta principale. Ma per farlo non potevi certo andare contro i tuoi ideali o agire contrariamente a ciò che predicavi, avresti perso la tua credibilità.
Come avrei potuto aiutarti io, un uomo semplice, che non riuscivo a vedere oltre il mio naso ma che avrei dato la vita per te?
L’unica risorsa che avevo era la totale devozione nei tuoi confronti. Così, senza pensarci due volte, ho deciso di sacrificarla per la tua santa causa, sottovalutando forse le conseguenze della condanna ad una maledizione perpetua.
Quando mi hai voluto accanto a te nel ruolo di Apostolo, sono rimasto sconvolto. Mi sentivo oppresso da quella enorme responsabilità ma nel contempo mi esaltavano i discorsi che ti sentivo pronunciare durante le predicazioni. La mia anima era colma di te mentre, incredulo, assistevo al compimento dei miracoli. Non immagini il travaglio interiore, lo sconquasso spirituale e la tensione psicologica a cui mi hai sottoposto. Ancora lo ignoravo, ma lento ed inesorabile il nodo scorsoio stringeva già il cappio intorno al mio collo.
Come il tuono che segue al baleno, così i tuoi insegnamenti hanno tracimato ben oltre le aspettative della ristretta cerchia del popolo di Israele. La tua dottrina era rivolta a tutta l’umanità e, senza tema di smentita, posso dire che in breve tempo questa nuova visione della vita mutò il comune modo di sentire non solo di quell’epoca, ma di tutti i tempi a venire.
La tua fama crescente oltre agli onori di cui non ti è mai importato nulla, ti portò anche molti nemici, specie tra i Sacerdoti del Tempio.
Le tue parole oscuravano il loro potere come il fumo delle fiaccole le pareti del Sinedrio. Caifa convinse gli altri che la tua morte avrebbe portato nella tomba anche la tua religione, i tuoi concetti di fratellanza universale e di amore verso il prossimo ed, anche, la temuta teoria di eguaglianza sociale, ma così non fu. La tua scomparsa lasciò un’eredità di vita che permise al cristianesimo di germogliare e crescere rigoglioso. Con il tuo sacrificio avevi aperto la via e la tua vittoria sulla morte dimostrò a tutti i credenti la veridicità di ciò che ci avevi insegnato. La tua Resurrezione diede speranza a tutti gli uomini, anche ai più poveri, di poter entrare nel Regno dei Cieli e godere, in eterno, della grazia di Dio.
Ma se io, Giuda l’Iscariota, figlio di Simone, avessi rifiutato il mio ruolo e non ti avessi tradito, cosa ne sarebbe stato di te e dei tuoi alti ideali? Come avresti potuto dimostrare in modo così chiaro e così umano di possedere lo Spirito Divino? Perché gli uomini, misere entità gravide di peccato, mi hanno giudicato, quando tu, il Nazareno, non lo hai fatto? Ti proclamavi Figlio di Dio e se così era, non dirmi che non conoscevi da sempre ciò che ti era stato destinato? O qualcuno pensa che il Padre tuo non te lo avesse rivelato? Eppure, nonostante ciò, nessuno si è chiesto perché tu, Rabbi, non mi abbia ha mai scacciato dal tuo cospetto se mi avessi ritenuto un traditore e quindi una creatura del maligno. Nella tua immensa bontà non avresti cercato di mondare la mia anima dal peccato per strapparla all’inferno e riportarla nei pascoli celesti insieme al resto del tuo gregge? Tu, Maestro, non mi avresti spalancato le porte del Regno dei Cieli e accolto nel tuo generoso seno come il figliol prodigo?
Io so che tu mi amavi forse anche più di tutti gli altri apostoli perché sapevi che mi sarebbe spettato il compito più sporco ed infame. Come so che eri perfettamente a conoscenza che Pietro ti avrebbe rinnegato tre volte e Tommaso non avrebbe creduto alla tua Resurrezione. Eravamo stati chiamati a quel compito dal Padre tuo. Noi, tra tutti gli uomini, eravamo stati i prescelti, ed io, Giuda, avevo l’infelice compito di permettere al mortale Gesù di sacrificare la sua umana dignità ed il suo involucro corporeo per riappropriarsi della sua Essenza Divina e trasformarsi nel Cristo, come predetto dalle Sacre Scritture. E così è stato!
Non cerco il perdono, ho già espiato offrendoti la mia vita. È stato il tributo estremo che ho potuto offrirti, una dimostrazione dell’immensità e della purezza del mio amore. Mai ho disperato di ritrovarti, com’è stato, ad attendermi nella gloria del tuo Regno, alla destra del Padre tuo. Dei trenta danari, che dovevano rappresentare il simbolo materiale, la prova tangibile, del miserabile atto di tradimento da parte mia -uno dei tuoi adorati dodici discepoli- posso dirti che chi, ignobilmente, ha manovrato per offuscare la tua immagine e distruggermi moralmente e fisicamente, li ha lasciati accanto al mio corpo sotto l’albero di sicomoro. Ma un gesto così meschino ed infame, ha sortito l’effetto contrario di quello voluto e ha fatto risplendere di luce ancora più fulgida, all’occhio dell’uomo viziato dall’esteriorità, la grandezza della tua morte sulla croce. Tu sai che mai quel vile metallo avrebbe potuto corrompere la mia anima perché essa era già vincolata da una promessa all’obbedienza e consacrata a soddisfare il tuo volere, mio unico Dio.
Sbarazzarsi di te e delle tue idee sovversive e farne ricadere la colpa su di me era stata un’abile mossa politica studiata dal Sinedrio e avallata dal tacito assenso di Roma. Il disegno, partorito dalle loro menti arroganti e prevenute, però, non era lo stesso deciso dall’alto dei cieli.
Ora ritengo giunto il momento di spiegare, a chi, tra gli uomini di ogni tempo, ancora non lo abbia compreso, il ruolo assegnatomi, spesso trascurato, benché manifesto, nelle tue parole.
A chi nutre ancora dei dubbi, porrò una sola domanda: chi avrebbe voluto prendere il mio posto se mi fossi rifiutato?
Ecco, chi è Giuda: un traditore che in realtà non ha mai tradito, né venduto per trenta danari il suo Maestro, l’umile strumento che ha permesso al Piano Divino di trovare il suo compiuto adempimento.
Sia fatta la tua volontà per tutti i secoli dei secoli.
©
Cinzia Baldini
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