Una giovane donna in cerca di risposte, di una sua collocazione, delle sue origini e della sua storia personale e familiare ed una città: Venezia, unico indizio ricavato dalle lettere che hanno segnato la sua giovane esistenza. Non poteva esistere migliore e più ideale ambientazione per il romanzo d’esordio di Mara Montagner, “Mia Cara Elen”, la cui trama scorre e si dipana lungo le strette viuzze e le ombrose calli della magica città lagunare. La vicenda narrata è un tema classico e caro a molti autori ma la specifica che rende originale questo romanzo rispetto alla moltitudine, e il motivo per cui ne consiglio la lettura, è, in primo luogo, per il sapiente gioco di luci e di ombre, di nebbie e di sole, che l’autrice riesce ad alternare nella narrazione non solo a livello meteorologico ma anche attraverso i personaggi i quali appaiono sulla scena, inizialmente vividi e reali e, poi, lentamente sfumati senza mai, però, sparire in maniera definitiva. Il secondo motivo, per l’indovinato “sdoppiamento” necessario ad assecondare la progressione della storia. La singolare divisione che si staglia netta e puntuale tra ciò che riguarda gli aspetti più propriamente tecnici, come l’impaginazione o il carattere di scrittura, e, più di tutto, tra prosa e poesia. Una regia sapiente, insomma, che riesce ad evidenziare la sconvolgente lotta che dilania l’anima e la mente della protagonista, la quale si trova a voler dare soluzione agli infiniti perché riguardanti alcuni aspetti oscuri della sua vita, rimasti irrisolti fin dall’infanzia; sostituire certezze ormai non più tali e dare voce ai lunghi silenzi di una madre fisicamente presente ma emozionalmente distaccata e lontana. Da questo rapporto di amore e odio, indifferenza e abitudine, consumato nei confronti della genitrice, scaturisce, pressante, il bisogno di mettersi in viaggio per rintracciare il padre mai conosciuto. Una lacerante e dolorosa ricerca che diventerà il percorso della sua personale via crucis in cui i ricordi, i rimproveri, i rimpianti, i rimorsi, i pensieri mai espressi e le colpevoli omissioni, ne saranno le stazioni. Una divisione in due parti dicevo, in cui in una prende forma il racconto vero e proprio, dove il lettore viene informato in brevi e concisi paragrafi, attraverso un linguaggio scorrevole e fluido, sugli avvenimenti trascorsi o che avverranno, una sorta di colonna sonora che sottolinea o anticipa, con un adagio o un crescendo di note, gli eventi che saranno sezionati, analizzati e metabolizzati nell’altra la parte, nella zona dell’introspezione, della riflessione intensa. Ed è proprio qui, dove il linguaggio diventa più elaborato, spesso aulico, che l’ispirazione poetica di Mara Montagner si sublima e assume le caratteristiche di suggestiva liricità. Dove con la ripetizione cantilenante ed ossessiva di alcune parole o di intere frasi, le emozioni si trasformano in sentimento e i pensieri più profondi vibrano palpitanti tra le righe e ghermiscono il cuore e l’immaginazione di chi legge. Ho immaginato il racconto narrato sommessamente dall’autrice per permettere al lettore di ascoltare, insieme a lei, la voce della città di Venezia, ossia il sussurro della marea che gorgoglia e scorre, come linfa vitale, nelle strade, sotto i ponti, al di sotto delle case, fin nei più reconditi recessi per poi lentamente fluire, quasi per osmosi, nelle vene della giovane americana. Elen infatti è nata a New York ma concepita, ed è questo che scoprirà, in Italia in seguito ad una violenza di cui è stata vittima la madre. Quando la marea, dopo aver coperto tutto e dato la sua forma agli oggetti che incontra nel suo scorrere, tornerà verso il mare, non porterà Elen con sé. La giovane, infatti, dopo esserne diventata parte e trascinata sul fondo, imparerà ad elevarsi al di sopra di essa. Quando riemergerà dai gorghi ribollenti, porterà con sé la consapevole certezza di non dover cercare oltre la sua storia. L’antica città lagunare le ha svelato l’arcano, le ha restituito il tempo trascorso, il suo passato ma allo stesso tempo, dopo la catarsi finale, impensabile e inattesa, ha permesso la sua rigenerazione infondendole una sottile speranza, una nuova promessa di felicità.