(…) Si dice che a portare fortuna sia il transitare in un sottopassaggio ferroviario mentre un treno passa sopra il ponte. (…) Camillo non credeva affatto a questo genere di idiozie, il che dimostrava ulteriormente, secondo lui, che non era superstizioso.
Secondo le regole della sua trenomanzia, come la chiamava segretamente e ironicamente, il passaggio era da ritenersi valido se, mentre lui si trovava con entrambi i piedi sulla luce del ponte, un treno scorreva al di sotto. Bastava che transitasse un solo vagone del convoglio e il passagio era da ritenersi fausto. Se quando imboccava il ponte l’ultimo vagone era gia passato….
Camillo è un borghese insicuro, un negozio di scarpe costose, una moglie sposata dopo sei anni di conoscenza, sei anni di nulla totale, sei anni di fidanzamento e sei anni ora di matrimonio.
Il rapporto sta andando in crisi, è l’alternanza del numero sei a decretarlo e poi quei gemiti sentiti in casa sua prima di inciampare sul gatto e cascare a terra prendendo una botta in testa, sono verità o fantasia?
Tantopiù che lui a casa ci era rientrato dopo che, circostanza eccezionale, a passare quella mattina erano stati tre convogli insieme, punteggio altissimo, giornata straordinaria.
Eppure da quel giorno la vita di Camillo prende una piega differente. Inizia a sospettare maniacalmente della moglie psuedo adultera, inizia a controllare ossessivamente ogni circostanza perdendo di vista la semplicità della vita, si attacca con maggior fervore alle sue certezze mentali, a quel gioco di carte solitario che con i suoi numeri di volta in volta cerca di dare risposte alla vita.
(…) Non si è ancora detto in cosa consistesse la sua cartomanzia. Era una specie di solitario di quelli tipo suicidio. Perché il solitario si possa dire riuscito bisognerebbe rimanere con dieci carte (…) Era un ottimo criterio quantitativo perché metteva a disposizione una scala di trenta punti per esprimere una valutazione. Se c’era da capire come sarebbe andata una vicenda personale, lo chiedeva al solitario, e partiva dal presupposto che sotto venti era già buono, fra venti e venticinque così così, fra venticinque e trenta male, sopra trenta malissimo.
Camillo è sempre più sicuro. Sua moglie lo tradisce. Lo hanno detto le carte. E, in un crescendo di crudeltà mentali che lui stesso partorisce, osserva la sua vita cambiare irrimediabilmente sotto la spinta delle sue stesse manie.
Camillo sta perdendo tutto, e questa è una certezza, ma Camillo ha davvero capito tutto? Ciò che nasce nella sua mente è ivi destinato a finire o c’è dell’altro?
Recami interpreta con ironico pessimismo le ossessioni di un uomo malato o forse no, gioca con il protagonista, gioca con il lettore; elegante e sapiente, mai una pecca, mai una volgarità.
Lentezza narrativa eppure molteplicità di eventi, mai un momento di esitazione, il lettore si aggrappa alle cetezze inverse del protagonista. Recami gioca sporco, anche il lettore crede di avere delle certezze, no Camillo è proprio malato e guarda dall’alto in basso il malcapitato vittima della furia autodistruttiva. Il lettore in realtà vive il romanzo come il protagonista, c’è qualcosa che sfugge, sempre e comunque, alla sicurezza di ciò che non si vede, c’è qualcosa che inganna quando la realtà pare esattamente come dovrebbe apparire.
Un romanzo attuale travestito da romanzo di altri tempi, più introspettivo de “Il ragazzo che leggeva Maigret” e più elegante di “Prenditi cura di me”, magistrale.