A volte ritorna… Si, il tempo trascorso e dimenticato, a volte ritorna in modo infido, insinuante, ammaliatore oppure sensuale, accattivante e adulatore o, molto più semplicemente, quando meno te lo aspetti, si ripresenta sotto forma di una vecchia “cartolina dai bordi un po’ consumati, dalla scritta giallognola – i punti esclamativi erano due, ne rimane visibile solo uno-, usurata dal tempo e dai passati, innumerevoli maneggiamenti, a riportare quei giorni, quegli anni, ai bordi della memoria”. In “Fine ottanta, novanta quasi” il romanzo con cui Alba Gnazi esordisce, a buon diritto, nel mondo della narrativa, troviamo una rappresentazione dai contorni molto ben definiti di questo elemento, innato e originario, che accompagna la vita di ogni essere vivente. La vicenda narrata si sviluppa nel periodo storico così chiaramente definito dal titolo: la fine degli anni ottanta e gli inizi degli anni novanta del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. Il tempo che, scorrendo a tratti in un rivolo pacifico e tranquillo in altri, in una fiumana impetuosa e travolgente, diversifica qualitativamente l’umana esistenza. Il suo fluire implacabile ed irreversibile, viene arricchito, capitolo dopo capitolo, dall’apporto costante di nuova potenza vitale: sentimenti, emozioni, dolore, sofferenza, che, come affluenti, convergono in esso. Queste acque primordiali, sulle cui rive si specchiano scenari, paesaggi e situazioni di vita reale, vera, vissuta, assumono di volta in volta un aspetto limpido e cristallino oppure fermo e limaccioso a seconda che riproducano momenti di intensa gioia e immagini di pacata serenità oppure, rimandino a situazioni malinconiche e ad eventi drammatici. Non di rado, poi, si ramificano originando piccole polle o si disperdono, inaridendosi, nel terreno. Così, in maniera del tutto naturale, galleggiando nel tempo, filtrando dai ricordi si disvela la storia di “Fine ottanta, novanta quasi”. La trama è molto semplice, ma su di essa si avviluppano argomenti difficili, complicati, scottanti, come possono essere quelli che scaturiscono dal “contrasto generazionale” o per meglio dire dal difficile rapporto genitori/figli. Come opportunamente ci fa notare l’autrice, le conseguenze che ne derivano, non sono meno gravi delle cause che li hanno generati. Nel libro si parla, infatti, della totale mancanza di dialogo tra queste due componenti basilari della famiglia, se si vuole circoscrivere il discorso in un ristretto ambito personale, altrimenti, della società, se lo si trasferisce in una panoramica più ampia e generale; delle incomprensioni latenti o dichiarate; degli stati di depressione giovanile o, nei casi ancora più gravi, della volontà di autodistruzione fisica praticata attraverso quelle tecniche perverse, avvilenti e mortificanti che i medici definiscono “problemi di disordine alimentare”. L’autrice, in alcuni paragrafi fortemente drammatici, senza perdersi o indugiare in chiacchiere inutili ma servendosi di pochi tratti decisi e potenti, offre al lettore, con sconvolgente vividezza, le immagini delle crisi di bulimia che squassano il corpo e la mente di Lucia, una delle giovani protagoniste di questo romanzo: “… racconta delle scorte di cibo che tiene nei cassetti, tra i calzini e le magliette, a quelle che infila nella scarpiera. Racconta delle sensazioni che prova, del senso di vuoto che l’assale e la lascia agghiacciata e quasi incapace di respirare prima dell’attacco della Bestia; racconta delle dita che sanno dove andare quando lo stomaco deve crearsi spazio; racconta delle volte infinite in cui, dopo aver creato spazio, torna in cucina e ricomincia daccapo come se non avesse assorbito niente”. Di contro, a bilanciare la crudezza di una realtà che in molti, ancora preferiscono ignorare o fingere di non vedere, c’è la solare figura di Tina, l’altra protagonista principale, che accende di luce il romanzo con la sua presenza fresca e radiosa: “Le mura rimbombano e tutta la casa sembra prendere vita dalla sua presenza, dal frastuono colorato che porta con sé, dal suo odore –un sentore lieve di sudore e vaniglia, chewing gum e deodorante al mughetto. Ha le labbra rosse e le guance paonazze. Affacciandosi in cucina, cerca di ricomporsi, abbassa lo sguardo, chiede cosa c’è per cena e ruba un pezzetto di crostata di more, annusandola golosa e leccandosi le dita, ma non guarda sua madre negli occhi. La sua espressione è sognante, imbarazzata”. Entrambe giovanissime, da poco uscite dall’adolescenza, ognuna con il suo carattere ancora in via di maturazione, fanno il loro ingresso sul palcoscenico della vita. Le problematiche sia di ordine psicologico che di carattere pratico che dovranno affrontare, il passaggio dalla scuola media a quella superiore, i problemi familiari, i primi turbamenti ormonali, le porteranno a crescere in fretta e ne segneranno per sempre le personalità anche se in maniera diversa l’una dall’altra. Benché “Fine ottanta, novanta quasi” sia un romanzo e non un saggio, Alba Gnazi non si è limitata a confezionare per i suoi lettori una semplice fotografia a colori di questo senso di inadeguatezza e di disagio sia dei giovani che delle famiglie, ma prova a ricercarne cause e responsabilità e le offre al lettore, attraverso i dialoghi e le riflessioni delle figure, principali e secondarie, che si avvicendano nella storia. Si evince chiaramente, infatti, che dietro le pagine del libro c’è stato un approfondito e scrupoloso lavoro di documentazione e di ricerca di testimonianze dal vivo. Uno dei meriti, a mio avviso, da riconoscere all’autrice è quello di aver rielaborato e, quindi, riproposto, con sensibilità tipicamente femminile, alcuni temi di patologica sofferenza collettiva. La Gnazi, insomma, ha sferrato, con grazia, un violento pugno nello stomaco alla società attuale che rincorrendo effimeri piaceri e crogiolandosi dietro insulsi, falsi principi non riesce a dare certezze e motivazioni esistenziali adeguate, alle nuove generazioni. I brani musicali, citati spesso durante il racconto, come le brevi liriche che, a tratti, spezzano piacevolmente la lettura e il finale in crescendo, pieno di speranza, danno il giusto tocco di originalità al romanzo e ne permettono la fruibilità ad una vasta gamma di pubblico, dagli adolescenti ai nonni, passando per le generazioni di mezzo dei fine ottanta, novanta quasi.